28 maggio 2014

SGOMBERATO IL MAINASSO


riceviamo e diffondiamo:

IL MAINASSO SOFFIA ANCORA
Questa notte, 27 maggio, la questura ha sgomberato, con un imponente spiegamento di forze, il
Mainasso occupato da appena 2 mesi.
Ciò non ci scoraggia, ma anzi ci spinge ad andare avanti per la nostra strada senza esitazioni.
Per 2 mesi uno spazio di proprietà delle Opere Pie (il famigerato Ente Morale), abbandonato da
tempo (e che tale rimarrà, blindato e oscurato), è stato sottratto alle dinamiche imperanti del
profitto, della passività e dell'alienazione. Non ponendosi obbiettivi specifici a termine, un semplice
fondo di pochi metri quadrati è diventato un posto di ritrovo per chiunque si ostini a voler vivere il
piacere dell'incontro, della condivisione e del confronto, per chiunque si ostini a voler vivere ancora
le strade.
Un posto dove ospitare iniziative, cineforum, cene, incontri... Sempre con la priorità di sostenere e
portare la solidarietà a chi è colpito dalla repressione per essersi battuto contro questo stato delle
cose, contro questa società infame nella quale vorrebbero costringerci a vivere.
Uno spazio ritorna al suo precedente stato di inerzia, ma chi lo ha vissuto non intende limitarsi in
alcun modo.
Per questo le iniziative previste verranno mantenute, a partire da stasera, con luoghi e modalità che
saranno comunicati di volta in volta.

STASERA alle 21 in PIAZZA DELLE ERBE per la rassegna “VERITA' E CONFLITTO TRA
INDIVIDUO E AUTORITA'”, I DIAVOLI di Ken Russell
LUNEDI 2 GIUGNO dalle 19 presentazione del progetto editoriale CROCE NERA
ANARCHICA
VENERDI' 6 GIUGNO dalle 19 presentazione dell'opuscolo “DIVIDE ET IUDICA – IL
LABIRINTO PROCESSUALE DEL 15 OTTOBRE”
SABATO 7 GIUGNO dalle ore 18 aperitivo in sostegno ad un compagno sotto processo per i
blocchi stradali avvenuti in seguito alla morte di un operaio in porto nel 2007
ANCORA!
PER LA RIVOLTA!
PER LA LIBERTA'!

27 maggio 2014

NAVARRA: ATTACCATO IL CONSOLATO D'ITALIA IN IRUNA

da contra.info

In solidarietà con i/le compagnx anarchici/che e ricordandosi alla settimana internazionale in solidarietà con: Nicola; Alfredo; Gianluca; Adriano; Marco Camenisch; Mattia; Claudio; Niccolò; Chiara e tuttx gli/le altrx che non includiamo in questa lista, il venerdì 23 di maggio 2014 abbiamo lanciato pittura nel consolato d’Italia in Iruña/Pamplona (vicino alla stazione centrale di polizia). Questa volta è solo pittura, ma non ci fermeremo fino a quando non li/le vediamo tuttx liberx.
Va per voi compagnx.
Questo è solo l’inizio…
10, 100, 1000 nuclei anarchici

MA GLI ANARCHICI NON VOTANO?


Ma gli anarchici non votano?
Alfredo M. Bonanno
Dirsi anarchico vuol dire molto, ma può anche voler dire nulla. In un mondo di identità flebili, quando tutto sembra sfumare nella nebbia dell'incertezza, considerarsi anarchico può essere un modo come un altro di seguire una bandiera, nulla di più.

Ma l'anarchismo a volte risulta un'etichetta scomoda. Può insinuarti domande nella mente cui non è poi facile dare una risposta. Può farti notare le strane contraddizioni della tua vita: il lavoro, il ruolo che la società ti ha imposto, lo status a cui tu stesso hai partecipato, la carriera a cui non sai rinunciare, e la famiglia, gli amici, i figli, la fine del mese e lo stipendio, la macchina e la casa di proprietà. Ahimé, fissare una distanza tra questi corredi e le proprie idee di fondo, tra quello che siamo e il nostro essere anarchici, assomiglia molto a quella lotta tra l'essere e il dover essere che faceva sorridere Hegel: il dover essere finisce sempre per soccombere.
Così siamo anarchici perché leggiamo i giornali anarchici, perché consideriamo il pensiero e la storia dell'anarchismo il nostro pensiero e la nostra storia. Siamo anarchici perché ci ingrottiamo nel movimento al riparo delle intemperie della vita, perché lo consideriamo la nostra casa sicura, perché ci piace vedere le facce dei compagni, sentire le loro piccole storie casalinghe e raccontar loro le nostre storie casalinghe, il tutto da ripetersi all'infinito, e così sia.
Se qualcuno solleva problemi, non tanto con la propria lingua più o meno tagliente, ma con le cose che fa, ponendo a repentaglio questo essere presso di sé, al sicuro, questo sentirsi protetti come in casa propria, allora lo richiamiamo all'ordine, elencandogli al completo i principi dell'anarchismo, cui restiamo fedeli. E fra di questi c'è quello del non andare a votare. Gli anarchici non votano, altrimenti che anarchici sarebbero!
Nessuna grinza. Eppure, specialmente negli ultimi tempi, sono state avanzate delle obiezioni, delle perplessità.
Che senso ha non andare a votare. Un senso ce l'ha, hanno detto molto anarchici, in particolare fra i più anziani. Ce l'ha perché il voto è una delega e gli anarchici sono per la lotta diretta. Bello, rispondo io, bellissimo.
Ma quando questa lotta consiste solo nel testimoniare i propri principi (quindi anche il proprio astensionismo) e nulla più, anzi consiste nel ritrarsi imbarazzati quando qualche compagno decide di attaccare gli uomini e le realizzazioni del potere, oppure consiste nel restare in silenzio di fronte all'azione degli altri, quando è questa la lotta, allora sarebbe meglio anche andare a votare.
Per chi considera il proprio anarchismo l'acquietante palestra delle proprie e delle altrui opinioni su come immaginarsi un mondo che non c'è – né mai ci sarà –, mentre i giorni si susseguono, per lui, uno dopo l'altro, nel grigiore monotono delle mattinate tutte uguali, dei gesti uguali, degli uguali lavori e affetti e passatempi e vacanze, per costui che senso ha il proprio astensionismo, se non quello di ribadire, con poca spesa e sufficiente nitidezza, il proprio sentirsi anarchico. Ma, ben considerando, se il suo anarchismo è solo quest'insegna polverosa e ridicola, in un terreno di certezze monotone e scontate, ben venga la sua decisione di andare a votare. La sua astensione non significava nulla.
Potrà senza grosse ambasce votare alle politiche, e anche alle amministrative. Riflettendo bene potrà scegliere così di difendere uno straccio di democrazia che, in fondo in fondo, è sempre meglio di una dittatura che riempirebbe gli stadi e i campi di concentramento in attesa di redigere liste di proscrizione. I carri armati per le strade (mitico segno del potere dilagante e indiscriminato, quando vai al muro per una semplice parola, per un simbolo mal capito da ottusi esecutori di ordini in divisa), sono faccenda pericolosa, meglio le chiacchiere insulse, e in fondo opinabili, di un pagliaccio qualsiasi in abito democratico. Non scherziamo con queste cose, meglio correre a votare, specialmente in un momento in cui milioni di persone sembrano non capire il valore del voto. L'astensione a milioni non ha più senso anarchico, si rischia di essere confusi con la massa incolta che non sa neanche mettere una croce sulla carta o che si allieta a poco prezzo scarabocchiando frasi oscene sulla scheda.
Poi ci sono i compagni che sostengono posizioni vicine al municipalismo libertario e al sindacalismo rivoluzionario di base. Questi, sempre secondo la mia opinione, non dovrebbero correre dietro alle fanfaluche dell'astensionismo. Il loro obiettivo dovrebbe essere, quanto meno, la partecipazione massiccia e significativa, alle elezioni amministrative, per fornire ai propri rappresentanti strumenti idonei a governare la cosa pubblica in periferia. Forse gli anarcosindacalisti (ma ce ne sono ancora?) potrebbero anche votare alle politiche, ma questa dovrebbe essere decisione ben ponderata, per quanto personalmente la considero scelta del tutto coerente con le idee di lotta sindacale.
Restano molti altri anarchici. Restano quelli per i quali il proprio anarchismo è scelta di vita e non una concezione da contrapporsi in un tragico e irrisolvibile ossimoro ai mille problemi di apparenza che la società codifica e impone.
Per questi compagni l'astensione è solo una delle tante occasioni per dire di no. La loro azione anarchica si realizza nel corso di ben altri fatti e sono proprio questi fatti a dare luce e significato diverso a quel loro dire di no.

["Canenero" n. 29, 2 giugno 1995]

PROSSIME INIZIATIVE




BLASPHEMIA - APERIODICO ANARCHICO: PRIMO NUMERO


È uscito Blasphemia, aperiodico anarchico.[...]
Questo  giornale  nasce dall’insofferenza ai settarismi che sembrano essere in espansione anche dove meno li si attendeva,  ha la pretesa di stimolare riflessioni, che portino ad incontrarsi, non su una affinità ridotta alla familiarità che ci lega a volti e presenze scontati...
[...]
Chi scrive si è incontrato ed ha sentito l’impulso di mettere tutto in discussione, di non dare niente per scontato, di ricominciare a ragionare e a seguire l’intimo desiderio di distruggere il mondo. Per farlo occorrono idee, occorre coraggio, occorrono progetti, teorie e azioni, conoscenze e irriverenze, prospettive e ricerca, là dove è possibile, di affinità. È necessario tornare ad osare nei pensieri e nelle azioni. Senza attese, senza indugi, senza chiese.
Questi sono alcuni degli argomenti che cercheremo di affrontare ed approfondire nelle pagine che seguiranno, convinti della necessità per i compagni, aldilà dei confini territoriali, di incontrarsi, scontrarsi, discutere, progettare, agire.
In questa scia di pensiero si inserisce la motivazione per cui si è deciso di non fare circolare la rivista che avete sotto mano attraverso internet. Il modo in cui si diffonde un’idea è parte integrante del percorso di lotta, soprattutto se questa idea è un tutt’uno con la pratica, ragion per cui non può essere affidata ad uno strumento di comunicazione che non solo è invenzione, usufrutto del nemico, ma può essere responsabile della creazione di realtà fittizie.

Per contatti e richiesta di copie:

C.P. 116
Piazza Matteotti
80133 Napoli

mail: blasphemia@autistici.org

LA PRIGIONE DEGLI SGUARDI: NOTE DI MATTIA SUL PROCESSO IN VIDEOCONFERENZA



riceviamo e diffondiamo:
La prigione degli sguardi
Note sul processo in videoconferenza

La catena dei forzati e lo sguardo pubblico


Fino al 1836 in Francia sopravviveva la tradizione di far marciare in catene i condannati alla prigione. I futuri galeotti venivano incatenati tra loro con collari di ferro e costretti a marciare sulla pubblica via trascinando i segni della propria condanna e mostrando al popolo, che accorreva numeroso, le conseguenze pronte ad abbattersi su chi violava la legge.
Il cammino verso la reclusione, l’ultimo viaggio prima di sparire dietro l’opacità segreta delle prigioni, avveniva dunque sotto gli occhi di tutti, in un cerimoniale pubblico di forte impatto visivo in grado di sprigionare sentimenti contrastanti. La partenza di queste catene umane richiamava il popolo in massa, esibiva il condannato alla folla, alle ingiurie, agli sputi, ma anche alla commozione, alla simpatia, alla complicità; lo esponeva allo sguardo pubblico e mostrava il suo sguardo al pubblico, in un rituale complesso il cui esito non era scontato.
“In tutte le città dove passava, la catena portava con sé la sua festa”. Non solo collari di ferro e catene, segni obbligati della punizione, adornavano i forzati in marcia, ma anche nastri di paglia e di fiori intrecciati, stracci di tessuti colorati, rammendati dagli stessi forzati su strambi copricapo e berretti sfoggiati per l’occasione. Un tocco colorato e irriverente di follia gioiosa, di scherno arlecchino e cenciaiolo, poteva trasformare questa marcia lugubre in una “fiera ambulante del crimine”, una sorta di tribù nomade e galeotta che irrideva i ferri a cui era stata ridotta, malediceva i giudici e ne ingiuriava i tormenti.
E poi quei canti, i canti dei forzati. Canti di marcia intonati collettivamente che tanto impressionavano la plebe e presto diventavano celebri passando di bocca in bocca. Canti che spesso “eccitavano più la fierezza di fronte al castigo” di quanto “non lamentassero il rimorso di fronte al crimine commesso”.
Tutto questo concorreva a incrinare un cerimoniale di giustizia inscenato dal potere come rituale della colpa e del pentimento, lo rendeva socialmente pericoloso perché capace di rovesciare i segni del potere, di mutarne l’ordine del discorso, di soverchiarne il codice morale.
Così scrive la «Gazette des tribunaux» il 19 luglio 1836: “non fa parte del nostro costume il condurre così degli uomini; bisogna evitare di dare, nelle città che il convoglio attraversa, uno spettacolo così orrendo, che d’altronde non è di alcun insegnamento per le popolazioni”. Di lì a poco il trasporto dei condannati verso le prigioni non sarebbe più avvenuto attraverso riti pubblici. Una mutazione tecnica interverrà a ripulire le pubbliche vie di un tale contraddittorio spettacolo: la vettura cellulare.

La vettura cellulare e lo sguardo panoptico.


Michel Foucault, attento studioso della nascita della prigione e dei suoi dispositivi accessori, scrive che “l’imprigionare, che assicura la privazione, ha sempre comportato un progetto tecnico” e che “la sostituzione nel 1837 della catena dei forzati con la vettura cellulare” è “sintomo e riassunto” di una mutazione tecnica, di un “passaggio da un’arte di punire a un’altra”.
La vettura cellulare non è da intendersi nei fatti semplicemente come un carro coperto adibito al trasporto dei condannati che prima venivano sottoposti al castigo supplementare della ferratura pubblica; è piuttosto da considerarsi come un’innovazione tecnica che segna un cambio di paradigma. Questa vettura era concepita come una prigione su ruote foderata di latta.
Impenetrabile allo sguardo esterno, sfila triste per le vie senza rivelare nulla di quanto contiene. Gli sventurati che vi montano, siano essi già condannati o in attesa di giudizio, viaggiano sempre in catene, ma ora in piccole celle singole che impediscono non solo di guardare verso l’esterno, ma anche di incontrare lo sguardo degli altri “passeggeri”. Un corridoio centrale permette invece alle guardie di controllare a vista tutti i trasportati attraverso uno sportello.
Così la «Gazette des tribunaux» descrive questo meccanismo di controllo interno: “l’apertura e la direzione obliqua degli sportelli sono combinate in modo che i guardiani tengano incessantemente gli occhi sui prigionieri, ascoltano le minime parole, senza che quelli possano riuscire a vedersi o a sentirsi tra loro”.
Non un semplice carro coperto, dunque, ma un dispositivo tecnico elaborato con obiettivi precisi: nascondere il condannato allo sguardo pubblico, impedire al condannato lo sguardo verso il mondo di fuori, negare lo sguardo complice tra forzati, perfezionare lo sguardo sorvegliante. Non una semplice scatola mobile di latta, ma una “vettura panoptica”, una prigione degli sguardi che annulla i fasti sbeffeggianti delle catene dei forzati e li rende ciechi, silenziosi, invisibili e controllabili.
L’opacità segreta delle prigioni si estende e anticipa il suo arrivo; la sua ombra ingloba il condannato e lo sottrae alla vista prima ancora che lui metta piede nella prigione stessa. Il pudore borghese delle riforme trasporta senza più mostrare come castiga, senza più dare spettacolo. Niente più gioco di sguardi tra popolo e criminale, l’unico sguardo tollerato è quello del guardiano sul penitente recluso.

La videoconferenza e lo sguardo disincarnato


Veniamo all’oggi e all’Italia. L’ultima frontiera nel campo dei “trasporti per motivi di giustizia” è il processo per videoconferenza, dove il trasporto semplicemente non avviene, se non in forma immateriale.
L’imputato di un processo che si trovi già in carcere per precedenti condanne, o che sia sottoposto a carcerazione preventiva, può essere processato a distanza, senza che debba abbandonare il carcere in cui è ristretto. Accompagnato in una sala attrezzata all’interno del carcere, segue il dibattimento su un apposito schermo, sotto l’occhio vigile delle guardie penitenziarie e quello tecnologico di una telecamera disposta a catturare la sua immagine e a ritrasmetterla nell’aula dove si celebra il processo che lo vede imputato.
Come il passaggio dalle “catene” alla “vettura cellulare”, l’introduzione della videoconferenza segna un passaggio che riassume in sé un cambio di paradigma. La videoconferenza è infatti un dispositivo tecnologico e come tale non è neutrale, ma al contrario la sua mediazione comporta mutazioni profonde che affondano nella viva carne di chi ha sfidato la legge.
Ne I miserabili, Victor Hugo descrive così il dispositivo punitivo per eccellenza, il patibolo: “il patibolo è visione. Il patibolo non è una struttura, il congegno inerte fatto di legno, di ferro e di corde. Sembra una specie di essere dotato di non so quale tetra iniziativa; sembra che quella struttura veda, che quella macchina oda, che quel meccanismo comprenda, che quel legno, quel ferro, quelle corde vogliano. Nella spaventosa fantasticheria che la sua presenza suscita nell’anima, il patibolo appare terribile a partecipe di ciò che fa. Il patibolo è complice del carnefice; divora, mangia la carne, beve il sangue. Il patibolo è una specie di mostro fabbricato dal giudice e dal falegname, uno spettro che sembra vivere una sorta di spaventevole vita fatta di tutta la morte che ha dato”.
La videoconferenza, a differenza del patibolo, non è un dispositivo che esegue una pena già comminata, tanto meno quella di morte che non è più prevista nel codice penale, ma ancor più del patibolo, articolata com’è di microfoni e telecamere, è una “struttura” che “vede”, una “macchina” che “ode”. Certo, non “mangia” la “carne”, ma a suo modo “disincarna” l’imputato, smaterializza il suo corpo, lo riduce a un insieme di bit producendo un impatto visivo e di senso all’interno di un processo che non è da sottovalutare: per suo tramite la presenza dell’imputato, ancorché lontana, diviene spettrale, il suo corpo viene trattato come una interferenza video cui la parola può essere concessa o sottratta con semplice “clic”. Trionfo del pudore riformatore che già ripulì le strade dalle catene umane dei forzati e che ora, attraverso le nuove tecnologie, “libera” le aule di giustizia da quella presenza incomoda e stridente perché vi appaia indisturbata l’astrazione del diritto. Negato è anche l’abbraccio tra coimputati che neppure in quella circostanza possono rivedersi. Nessuno scambio affettivo neppure con il pubblico, che neanche appare sullo schermo. Nessuno sguardo complice, nessun saluto ai propri familiari e amici. Una volta entrati in carcere, seppure in via preventiva, non se ne esce più, neppure per il processo. Intombati, cementati. La giuria stessa è portata a considerarti così pericoloso da non poter essere tradotto al suo cospetto. In qualche modo la tua colpevolezza è già implicitamente designata nei modi di quella tua “presenza”.
In tutto questo, l’imputato ridotto a spettatore passivo. Osserva il suo processo su uno schermo come fosse una puntata di “Forum” o di “Quarto grado”. Unico suo diritto, come da tradizione televisiva, telefonare al suo avvocato durante l’udienza. Eppure è della sua vita che si sta parlando. Suo il corpo eventualmente destinato alla reclusione. Sua la vista amputata dell’orizzonte. Suo il tatto privato della stretta dei suoi cari. Suo l’olfatto orfano della primavera. Suo, infine, lo sguardo, abbattuto o fiero, che affronta il “castigo”, preventivo o definitivo, giorno dopo giorno. La videoconferenza è l’alleata tecnologica che perfeziona la prigione degli sguardi. Codarda, moltiplica gli occhi che scrutano chi ha offeso il confine della legge, ma non trova più il coraggio di guardarlo dritto negli occhi. Metafora cibernetica di una giustizia bendata che si dota di protesi oculari meccaniche, ma rimane sempre cieca.

Conclusioni decantanti


Introdotta in Italia per i detenuti sottoposti a regime di 41bis, la videoconferenza applicata ai processi sta ora rapidamente prendendo piede per tutti i detenuti meritevoli, dal punto di vista della giustizia, di un “occhio” di riguardo. È il caso di Maurizio Alfieri, rapinatore riottoso non incline alla domesticazione carceraria; è il caso di Gianluca e Adriano, anarchici accusati di diverse azioni dirette contro l’Eni, magnati dei rifiuti e altri consorzi veleniferi; potrebbe essere, quantomeno già lo è nella volontà della procura di Torino, il caso di Claudio, Chiara, Niccolò e dello scrivente, accusati di un atto di sabotaggio contro il cantiere dell’Alta velocità di Chiomonte. Una deroga speciale al “diritto di difesa”, che prevede la presenza fisica dell’imputato accanto al difensore durante il processo, giustificata con il solito pretesto della “sicurezza” e dell’“ordine pubblico”. Una novità pericolosa, quella della videoconferenza destinata ad attecchire e a estendersi rapidamente se non subitamente estirpata, dacché, si sa, è l’eccezione di oggi a forgiare la norma di domani. Il paradigma che sottende a questa nuova “mutazione tecnica” è complesso, ed è difficile qui e ora computarne e sviscerarne tutte le declinazioni. Sicuramente il tipo di dibattimento processuale che va delineandosi vede una progressiva scomparsa dell’imputato, un crescente condizionamento a priori della giuria e lo strapotere inquisitorio dei pubblici ministeri. Quella che ho cercato di fare qui è di evidenziare alcune ricadute di questa mutazione tecnica concentrandomi sulla questione dello “sguardo”, cioè sullo scambio visivo tra occhio galeotto, occhio giudicante e occhio pubblico. Molte altre considerazioni altrettanto e anche più pregnanti potrebbero essere fatte. Ad esempio su come la videoconferenza impedisca al difensore di confrontarsi con il proprio assistito durante l’udienza; o ancora come nella spettacolarizzazione dei processi gli effetti speciali e le illusioni ottiche siano spesso più determinanti dei fatti concreti di cui si discute. Ma la mia fede nel diritto è talmente scarsa che non sto a entrare nel merito di certi particolari. Preferisco concludere queste note approssimative attorno al processo in videoconferenza citando alcune vecchie canzoni galeotte, di quelle cantate nelle strade dalle catene dei forzati. Parole schiette che da sole dicono quasi tutto.
“Avidi di infelicità, i vostri sguardi cercano di incontrare tra noi una razza infame che piange e si umilia. Ma i nostri sguardi sono fieri.” “Addio, perché noi sfidiamo e i vostri ferri e le vostre leggi”.

Mattia Zanotti
dalla sezione di Alta Sorveglianza del carcere di Alessandria,
fine aprile 2014


per scrivergli:Mattia Zanotti
Casa di Reclusione
Via Casale San Michele, 50
15100 Alessandria

COMUNICATO DI ADRIANO SUL RIFIUTO DEL PROCESSO IN VIDEOCONFERENZA



Diffondiamo il comunicato che, dal carcere di Ferrara, ci è giunto oggi in vista dell'udienza del prossimo lunedì per il processo che vede imputati Adriano e Gianluca per una serie di attacchi contro responsabili delle nocività.

Dentro come fuori le galere, contrastiamo la videoconferenza!

Un abbraccio solidale ai compagni sotto processo.

Cassa AntiRep Alpi occidentali




Spendo solo poche parole a sostegno della scelta di non presenziare all’udienza del 26 maggio, ed eventualmente alle prossime, essendo stata disposta la videoconferenza.
L’applicazione di tale dispositivo rientra, per ora, nell’infame logica della differenziazione dei circuiti detentivi, dove l’individuo recluso e imputato viene demonizzato e disumanizzato data la notevole “pericolosità sociale”.
Sperimentato nel 41 bis vuole ora estendersi ai prigionieri classificati A.S. e in ogni processo dove la solidarietà e conflittualità sono o potrebbero essere caratterizzanti e quindi elementi di disturbo e opposizione per chi, applicando codici in vestaglia e bavaglino, svolge il proprio lavoro, decidendo sulla libertà fisica altrui. Non possedendo peraltro alcuna virtù, ma avendone facoltà. Dato il diritto. Data la legge.
La videoconferenza pone limiti ben precisi a discapito di chi è sotto processo, favorendo da ogni punto di vista accusatori e giudicanti.
Ragionando poi ad ampio raggio, le limitazioni potrebbero non riguardare solo l’ambito processuale…
Considerate le magnifiche sorti del progresso, tale strumento di contenzione, anche per ragioni economiche, vorrà un domani estendersi ulteriormente e dilagare in molti se non in tutti i processi. Non ci vuole poi molto ad allestire stanzette con schermi, microfoni e telefoni. Lor signori sempre troveranno una “valida” motivazione per giustificarne l’impiego. Come ovvio che sia, la non neutralità dell’avanzata tecnologica si mostra in ogni ambito e sempre rivela l’essere asservita al Potere.
La virtualizzazione di un processo, per quanto significativa, è in fondo poca cosa comparata alle nefandezze dell’autorità (in questo caso giudiziaria) ma è comunque indicativa in relazione a quella che è la virtualizzazione della vita, volta a controllare e annichilire, dove vengono meno emozioni, espressività e sensorialità… dove viene meno la bellezza stessa della vita e la libertà di viverla realmente.
Mi risparmierò quindi di sentirmi uno scemo, ritrovandomi seduto davanti a uno schermo per assistere inerme al teatrino che vedrà come coprotagonisti assenti me e mio fratello Gianluca.
Sarà quindi un giorno di galera come un altro, dove la rabbia è una costante, ma si cerca, per quanto possibile, stabilità e un po’ di serenità. Non nascondo la tristezza di non potere rivedere e magari riuscire ad abbracciare le persone a cui tengo e sentire il calore di compagnx solidali.

Solo nella lotta la liberazione! Sol nell’anarchia la libertà!

Adriano
17-05-2014


Per scrivergli:

Adriano Antonacci 
CC di Ferrara
Via Arginone 327
44122

ROMA: SERVIZI INDISCRETI

riceviamo e diffondiamo:

Roma, servizi indiscreti.

Ieri, 20/5/2014, poco prima delle 13, appena uscito dal lavoro e dopo aver messo in moto la vespa per tornare a casa sono stato avvicinato da una donna. Credevo volesse qualche informazione stradale invece chiamandomi per nome e cognome si presenta con un po' di imbarazzo per una funzionaria dei servizi segreti. Mi chiede cortesemente di ascoltarla solo due minuti al fine di una proposta lavorativa... declino e rimando, senza darle modo di aggiungere altro, la proposta al mittente in modo meno garbato di lei; appena partito urlando ha ripetuto di farle il piacere di ascoltarla, pronunciando il nome di un compagno che frequento e dicendo che costui già forniva loro dei piaceri... a proposito di ciò, approfitto anche in questa sede per rinnovare tutta la mia stima, affetto, fiducia e solidarietà alla persona tacciata di questa infamia.

Niente di nuovo, ovvio, se non fosse che a pochi isolati da casa mentre mi fermo al semaforo rosso, mi si accosta uno scooter con 2 ragazzi a bordo, casco ed occhialoni da sole indossati, mi puntano una pistola sotto l'ascella e premono il grilletto più volte, ovviamente il ferro era scarico sennò non starei qui, praticamente una manciata di secondi dopo, ripartono facendo inversione, non prima di assicurarmi che la prossima volta la pistola sarebbe stata carica. Confermo che non ho intenzione di sparire dalla circolazione, non ho viaggi in programma e non mi sfiora l'idea di un suicidio. Scrivo per mia tutela e per conoscenza dei compagni confermando il mio anarchismo determinato ed intransigente. Adesso, per onestà, non necessariamente deve esserci un nesso tra i due episodi, il tipo col ferro non ha accennato nient'altro oltre a quello che già  ho scritto, rassicuro che non ho problemi con nessuno, di nessuna natura, qualche ovvia antipatia ma impossibile pensare che questa possa trasformarsi in una minaccia armata. Quindi o le cose sono collegate oppure dei tipi qualsiasi mi hanno scambiato per qualcun'altro...

Questo, in modo sintetico ciò che è successo, sarebbe da ragionare e discutere molto su queste ed altre dinamiche degli apparati repressivi, nel frattempo la logica consiglia che ove e quando simili episodi si verificassero di far circolare il più possibile tali nefandezze tra i compagni.

La salute sia in voi…

21 maggio 2014

ITALIA PROGETTO FENICE - COSPIRAZIONE DEL FUOCO NERO

FONTE

riceviamo da mail anonima e diffondiamo:
(Italia)
Diamo vita alla Cospirazione del fuoco nero, con un attacco compiuto il 7 maggio 2014. A due anni dal giorno in cui i nostri compagni Anarchici e fratelli Nicola Gai e Alfredo Cospito colpirono l A.D. per Ansaldo Nucleare Roberto Adinolfi con dei colpi d'arma da fuoco. A loro, con vendetta e amore sono dedicate queste nostre azioni.

Durante la notte del 7 maggio abbiamo posizionato un ordigno incendiario su un distributtore di benzina, l'ordigno forse mal costruito stando all'inesperienza, non ha svolto il suo compito di distrutore tramite il fuoco, ma fisicamente armati di alcune trance abbiamo tagliato tutti i tubi di erogaione del carburante. Mentre appena un mese prima abbiamo attacato
fisicamente alcuni bancomat.

Abbiamo trascorso molto tempo a riflettere sulla questione dell'informalità e il dar vita a un gruppo d'azione. Durante queste riflessioni, tra risate e inquietudini, dibattiti accesi, desideri e ansie, progetti e strategie, abbiamo deciso di dar vita alla Cospirazione del Fuoco Nero ed entrare in guerra con la megamachina del dominio.

Siamo Anarchici d'azione, rifiutiamo qualunque modello centralista di organizzazione che attenui la nostra rottura con tutto l'esistente. Parliamo di una nuova Anarchia e di conflittualità permanente, senza dogmi nè "avvanguardie rivoluzionarie".

Come Cospirazione del Fuoco Nero siamo e saremmo una rete informale di cellule autonome d'azione diretta. Una rete che lotta per l'Anarchia con le lancette puntate sul Qui ed Ora.

Abbandoniamo definitivamente il basso profilo dell'Anarchismo sociale, e passiamo a un conflitto permanente contro ogni Potere, senza arrestarci di fronte alle conseguenze legali, mettendo in gioco tutti noi stessi.

Siamo Anarchici e non avvocati preoccupati delle leggi del nostro nemico. Ci liberiamo dal cappio al collo e della frustrazione e della sconfitta.

Tutte le azioni che compieremmo e rivendicheremmo come Cospirazione del Fuoco Nero, formano parte della guerra Che dichiariamo al dominio, alla civilizzazione e alla sua società.

Purtroppo molto pochi oggi sono quelli che parlano e propongono una sovversione esistenziale delle nostre condizioni di vita, quelli che rivendicano una liberazione totale di fronte alla degradazione della nostra esistenza.

Esistenza che viene valutata in base al possesso di oggetti morti e illusioni. Pertanto, per noi la questione non è se siamo più o meno liberi in questo mondo, ma se accettiamo di continuare a vivere in una maniera che ci opprime.

Vediamo intorno a noi tante persone, inclusi poveri, operai, carcerati, immigrati ecc. Che vivono dipendenti da questo mondo e dalla sua civilizzazione come se fosse la cosa più preziosa che hanno. Per questo noi, come Anarchici  Nichilisti, dichiariamo guerra a tutto, alla mano che tiene la frusta come alla schiena che la sopporta.

Riteniamo che non basti dedicarci a ideologie indulgenti che offrono sempre un alibi all'immobilità e alla passività del "popolo sfrutato". E' questo "popolo oppresso" che ogni 4 anni vota per i propri tiranni, è il "popolo" che vede nei propri padroni dei modelli da imitare, è il "popolo" quello che entra in estasi con la droga del consumismo, è il "popolo"
che crede come una religione nella proprietà, é il "popolo" che chiede "più polizia, più carceri, più tecnologia...". è basandosi su questa critica che fa irruzione la tendenza Anarchica Nichilsta e la nostra prospettiva antisociale.

Queste azioni che rivendichiamo con questo comunicato Andiamo a inserirle nel PROGGETTO FENICE, sono per noi stessi, per i nostri fratelli e le nostre sorelle in guerra contro qualunque potere,sono per i nostri compagni e la nostra compagna della CCF incarcerati come per chi continua fuori, sono per i compagni Anarchici Gianluca Iacovacci e Adriano Antonacci, per Niccolò Blasi, Claudio Alberto, Mattia Zanotti, e la compagna Chiara Zenobi come per tutti i compagni e tutte le compagne nei circuiti dell' Alta Sorveglianza qua in Italia come in qualunque nazione, sono per Andreas Tsavdaridis e Spyros Mandylas sono per i nostri fratelli e le nostre sorelle sequestrati nelle galere del dominio in ogni parte del mondo, dall'Indonesia al SudAmerica.

COSPIRAZIONE del FUOCO NERO - FAI-FRI
NIENTE MENO DI TUTTO!
CON LE LANCETTE
PUNTATE SUL QUI ED ORA
!

TRENTO 23 MAGGIO: IL PENSIERO FUORILEGGE-ALLA FIERA DELLE OPINIONI CONSENTITE-INCONTRO CON A.M.BONANNO

IL PENSIERO FUORILEGGE
ALLA FIERA DELLE OPINIONI CONSENTITE


Anche quest'anno si ripete il Festival dell'Economia, vetrina ideologica del capitalismo. Il tema è tutt'altro che neutro: come si seleziona la classe dirigente. Come far passare dosi da cavallo di austerità manovrando un consenso sempre più risicato.
Nemici del capitalismo e dei suoi festival, dello stato e della sua classe dirigente, ci ostiniamo a diffondere pensiero critico e ribelle per trarne le debite conclusioni pratiche.
Esiste una cosa chiamata "crisi"?
Come si stanno ristrutturando lo stato e il capitale?
La storia delle rivolte e delle insurrezioni è finita?

Ne parliamo con Alfredo Maria Bonanno, redattore della rivista e delle edizioni "Anarchismo"

VENERDI' 23 MAGGIO DALLE 2O.30 allo spazio anarchico El Tavan in via Cervara 53 a Trento.

anarchiche e anarchici di Trento e Rovereto

eltavan@autistici.org

AGGIORNAMENTI SUL COMPAGNO MARCO CAMENISCH - RICHIESTA DI TRASFERIMENTO

riceviamo e diffondiamo:

Marco Camenisch nei giorni scorsi (dal 15 al 20 maggio) è stato portato in isolamento punitivo nella cella bunker del carcere di Lenzburg (Svizzera) dopo che ha rifiutato l’ennesimo test delle urine, l’ennesima provocazione.
Nei prossimi giorni (tra il 22 e il 23.5.2014) verrà inoltre trasferito in un nuovo carcere nel Canton Zugo. Ancora non è chiaro se questo trasferimento è una ritorsione contro il rifiuto di Marco dell’ennesimo test delle urine o se già era nei piani dell’Amt fur Justizvollzug (Ufficio Esecuzione Pene e Misure) di Zurigo.
Il fine pena di Marco è previsto per l’ 8.5.2018. La liberazione anticipata continua ad essergli rifiutata usando come motivi una sua “violenza cronica” associata ad una visione delinquenziale che avrebbe del mondo.

Questo è il contatto che al momento si ha:

Marco Camenisch
Strafanstalt Bostadel
Postfach 38, CH-6313 Menzingen, Schweiz
Tel. +41 41 757 1919, Fax +41 41 757 1900

Seguiranno aggiornamenti

MARCO LIBERO!

20 maggio 2014

NON RESTIAMO A BRACCIA CONSERTE...

da Finimondo

La nostra vita scorre nei campi. Campi di lavoro. Campi rieducativi. Campi di consumo. Campi di divertimento. Campi di reclusione. In tutti questi campi, viene applicata la stessa logica: renderci obbedienti e farci contribuire al progresso della società attuale. Far funzionare la macchina sociale. Poco importa dove essa vada. Poco importa che distrugga tante vite. Poco importa che trasformi tutti in prigionieri. L'importante è esserci, parteciparvi, non metterla in discussione e perfino acclamarla. A testa bassa, col cervello annichilito, col cuore pietrificato, e andare avanti.
Lo Stato ha avviato una generale stretta di vite, è innegabile. La moltiplicazione di forze dell'ordine nelle strade, la loro brutalità crescente e istigata dalle autorità, l'installazione di telecamere di sorveglianza, la militarizzazione dei trasporti pubblici, la messa in sicurezza dei templi del denaro come banche e supermercati per contrastare i furti, tutto ciò va di pari passo col rafforzamento del controllo sui disoccupati e su chi prende un sussidio. La gestione della pace sociale, questa pace chimerica tra sfruttati e sfruttatori, tra dominanti e dominati, al fine di garantire il buon andamento dell'economia e del potere, sembra prendere una piega molto più apertamente repressiva. Tuttavia non serve a niente mobilitarsi per difendere ciò che non c'è più, o per difendere il modo con cui il potere ci amministrava e ci sfruttava un tempo. Ciò a cui dovremmo pensare, in questo momento e adesso, è come affrontare questo generale inasprimento, per prendere l'iniziativa e passare all'attacco. Non abbiamo niente da difendere in questo mondo, tutto ciò che potrebbe offrirci (carriera, consumo, «celebrità») non ci interessa, tutto ciò che ci impone (lavoro, obbedienza, abbrutimento) ci disgusta. Come diceva un manifesto apparso sui muri di Bruxelles qualche anno fa: «Questa società tiene tutti al guinzaglio; la sola differenza è la sua lunghezza. Noi non siamo fra coloro che si battono per un collare meno stretto, per un salario più alto, per una polizia meno brutale, per dei politici e padroni più premurosi e onesti. Vogliamo semplicemente ciò che qualsiasi essere tenuto al guinzaglio dovrebbe avere a cuore: vogliamo tagliarlo, appiccare il fuoco alla gabbia, schiacciare tutti quelli che ci tengono o vorrebbero tenerci al guinzaglio».
Parallelamente al generale giro di vite, a Bruxelles assistiamo a una vera e propria offensiva delle autorità per cambiare il volto della città. Bruxelles, capitale dell'Unione Europea e metropoli capitalista, accogliente per i ricchi, gli imprenditori, gli eurocrati e la classe media avida di consumare fino a morirne. Uno degli aspetti di questa offensiva sono i nuovi progetti di ristrutturazione urbana e edilizia, perché tutti i potenti accarezzano l'idea totalitaria che trasformando l'ambiente si trasformi l'uomo. Mentre il brutale assalto alla zona del Canale a Molenbeek erige un muro di loft, di alberghi e di bar di lusso, sono in previsione o in costruzione almeno quattro centri commerciali a Heizel, ad Anderlecht, a Schaerbeek e vicino a Machelen. In cima alla zona europea, gli edifici che testimoniano l'arroganza del potere oscurano il cielo, la trasformazione della zona attorno alla Gare du Midi nel quartiere degli affari prosegue e lo Stato ha previsto la costruzione della più grande prigione della storia belga a nord della capitale, ad Haren. Ma il potere e il capitalismo non sono cose astratte, non sono fantasmi che dirigono e determinano la nostra vita senza che si possa toccarli. Si concretizzanno e si materializzano davanti ai nostri occhi, in tutti quei cantieri, nei controllori di ogni tipo, nelle torri commerciali, nelle barriere della metro. Noi non lottiamo contro fantasmi, le nostre lotte mirano direttamente alle concretizzazioni del potere. Non vogliamo negoziare la nostra servitù, cerchiamo di darci i mezzi per distruggerla. Per questo abbiamo bisogno di idee e di iniziativa, di complicità e di incontri con altri rivoltosi, di pietre e di molotov, di lucidità e di passione. Di fronte ai progetti e alle misure del potere, non abbiamo speranza se crediamo che altri lotteranno al nostro posto, che le organizzazioni politiche e sindacali incarneranno il nostro rifiuto, che occorre costruire una rispettabilità agli occhi dei potenti per muoverli in nostro favore. No, le cose non vanno in questo modo e non sono mai andate così. È verso lotte autonome e autorganizzate, offensive e dirette, che la nostra attenzione dovrebbe dirigersi. Ci sono recenti esempi che sono sufficientemente eloquenti. Pensiamo alla Turchia, dove la battaglia avviata da alcune decine di oppositori alla ristrutturazione di piazza Taksim si è trasformata in sommossa generalizzata in tutto il paese. Pensiamo ad Amburgo, dove la resistenza alle retate di clandestini ha dato fuoco alle polveri in un paese che si vanta di tenere la popolazione totalmente sotto controllo. E riflettiamo su Bruxelles, con quei quartieri ancora refrattari all'ordine capitalista e statale, con condizioni di sopravvivenza sempre più dure per tutti, con una brutale offensiva del potere per realizzare la sua morbosa metropoli della merce e del controllo. Ogni conflitto apparentemente circoscritto e limitato può domani incendiare le strade. Ma, allora, occorre che le lotte diventino offensive, anche se si è in pochi, anche se nessuno può darci garanzie di riuscita. Il cantiere di un centro commerciale può essere sabotato. I controllori dell'agenzia del lavoro possono essere scoraggiati a continuare il loro lavoro da Gestapo. I cavi delle telecamere possono essere tranciati. L'auto di un eurocrate o di un imprenditore può essere incendiata. Ma, allora, occorre prendere l'iniziativa, osare fare appello a quelle capacità di donne e uomini liberi che l'autorità cerca di distruggere: la creatività e l'immaginazione, il coraggio e la riflessione. Alcune lotte sono già in corso, come quella contro la costruzione della maxi-prigione a Bruxelles. È una lotta che non cerca una rappresentazione mediatica o politica. Si espande, come una corrente sotterranea, nei quartieri, nella mente e nel cuore di coloro che non hanno intenzione di rassegnarsi di fronte a un avvenire di sfruttamento o di reclusione che il potere sta allestendo. Cerca di produrre delle fessure, di aprire brecce per attaccare tutti i responsabili di quel progetto ammorbante, su modello di ciò che intendono fare di Bruxelles. La maxi-prigione è in qualche modo simbolo del sogno del potere che ci vuole anestetizzati o rinchiusi. Impedire direttamente, con la lotta e tutte le pratiche di sabotaggio e di azione diretta che ne sono parte, la costruzione della maxi-prigione, significa aprire la possibilità che salti tutto in aria.
Contro tutti i campi, soffi il vento della libertà
Sabotiamo i progetti del potere, siamo incontrollabili
Per l'autorganizzazione e l'attacco, qui ed ora
(da un volantino [visibile qui] distribuito a Bruxelles a margine di una mobilitazione contro il rafforzamento del controllo sui disoccupati. Poiché tale iniziativa raggruppava la flora e la fauna del recupero politico e sindacale, inglobando ogni possibile espressione di rabbia e di rifiuto, abbiamo scelto di disertare quella noiosa messa in scena e di distribuire il volantino altrove nella città)

RADIOCANE: SE SOLO AVESSI UN CUORE..INTERVISTA AL COMPRESSORE

Sensazionale! Forse per l’amarezza di essere stato venduto all’asta come uno schiavo qualsiasi, forse per ragioni più insondabili, il compressore Atlas Copco XAHS 416, scovato – non possiamo rivelare né quando, né dove, né come – dagli instancabili segugi di Radiocane, decide finalmente di vuotare il sacco. Scottanti rivelazioni! Uno scoop senza precedenti! Altro che Report!


ascolta:

https://www.radiocane.info/se-solo-avessi-cuore-intervista-esclusiva-al-compressore/

GERMANIA: TERZO CAMPO INTERNAZIONALE PER LA DISCUSSIONE E L'AZIONE DIRETTA


Terzo War-Starts-Here-Camp
dal 17 al 25 Agosto 2014
Campo Internazionale per la Discussione e l'Azione Diretta

Smascheriamo, fermiamo e sabotiamo il GÜZ!
La guerra inizia qui. Oggigiorno i politici sono abbastanza chiari riguardo la loro posizione: non ci saranno più freni dalla Germania per quanto concerne le operazioni militari. Basta con le guerre - una lezione importante imparata dalla storia tedesca - è una posizione superata. La Germania difende la propria posizione di potere e protegge la propria ricchezza con ogni mezzo.
La militarizzazione procede su tutti i livelli della società. Un politica straniera apertamente aggressiva si fa strada con un aumento nelle esportazioni di armi e nelle missioni offensive della NATO. Con la società tedesca l'esercito "Bundeswehr"  si dà da fare per dare un'immagine dei soldati come di "cittadini in uniforme". Campagne pubblicitarie e regali natalizi dai bambini ai "nostri" soldati sono parte della strategia. Il reclutamento di massa ha luogo nelle scuole, nelle università e nelle fiere di orientamento lavorativo. L'esercito in Germania viene utilizzato per contrastare gli effetti dei flussi che spingono per la normalizzazione della militarizzazione. I confini tra esercito e popolazione civile si dissolvono ulteriormente. Lontano dai riflettori le forze armate occidentali praticano la repressione come risposta generale alle proteste in tutte le città del mondo. I governi hanno pochi dubbi per quel che riguarda la sorveglianza di massa per raggiungere l'idea di una "Sicurezza Integrata".
Siamo stanchi di questa apparente condizione di normalità - e siamo incazzati. Interferiremo in maniera risoluta ed irriducibile. Ti invitiamo a partecipare al terzo War-Starts-Here-Camp contro la militarizzazione ed il neocolonialismo ad Agosto del 2014.
E' qui che inizia la guerra - fermiamola qui!


Il terzo War-Starts-Here-Camp
Il terzo campo antimilitarista si terrà del 17 al 25 di Agosto 2014 vicino a Magdeburg nelle immediate vicinanze del "GÜZ". Il “Gefechtsübungszentrum des Heeres” (GÜZ) è un'area di addestramento all'avanguardia per le forze NATO. E' un presidio centrale delle forze militari tedesche e internazionali e contiene tutte le sfaccettature della militarizzazione.
In opposizione al "GÜZ" costruiremo il nostro campeggio che offrirà uno spazio per workshop, lezioni, discussioni, viaggi ed azioni dirette di ogni tipo. Il War-Starts-Here-Camp sembra essere il posto giusto per ritrovarsi. Dopo di esso vogliamo lasciare il posto con più capacità e motivazione per le nostre lotte quotidiane.
Durante l'ultimo War-Starts-Here-Camp abbiamo interrotto con successo la normale quotidianità militare locale. Abbiamo portato supporto ai pochi che resistono alla militarizzazione da più di 20 anni ed abbiamo ricevuto a nostra volta sostegno da parte loro. Insieme siamo stati in grado di trasformare la lotta contro il GÜZ in una questione pubblica in quella regione. Il campeggio antimilitarista e le azioni contro l'esercito hanno prodotto un ampio feedback. Durante gli anni trascorsi abbiamo guadagnato molta esperienza. Vogliamo costruire partendo da questa esperienza. Sappiamo di essere in grado di interrompere la guerra nella "pacifica" Europa Occidentale.
Molte persone subiscono gli effetti della militarizzazione, del neocolonialismo, della repressione (armata) e la loro resistenza coinvolge molte lotte differenti. Vogliamo connettere queste lotte, metterle in relazione tra loro e infine andare oltre!
Quest'anno vogliamo intensificare la discussione internazionale sui diversi aspetti della guerra e della militarizzazione insieme alle nostre strategie di resistenza antimilitarista.
Il sentimento di resistenza collettiva può costruire solide connessioni politiche. Nella giornata di azione interromperemo le normali operazioni del centro di addestramento militare con differenti forme di azione diretta!
Nel ritrovarci tutti insieme nel campeggio e nel lottare contro la normalità delle operazioni militari del "GÜZ" vediamo l'opportunità di un forte momento di un movimento antimilitarista internazionale.


L'area di addestramento militare “Gefechtsübungszentrum Heer” (GÜZ)
Il GÜZ si estende per un'area di  230km². La guerra viene preparata e praticata con un sistema di simulazione con armi laser. Tutti i soldati tedeschi che vengono mandati all'estero vengono preparati nel GÜZ poco prima di andare in Afghanistan o in Kosovo. Il gestore è "Rheinmetall", un'azienda leader nella manifattura di armamenti. "Rheinmetall" presta quest'area all'esercito tedesco ed a molti altri eserciti NATO. La guerra viene praticata e preparata proprio qui. Qui si possono riscontrare molti aspetti della militarizzazione. La costruzione di una città per gli addestramenti antiguerriglia chiamata "Schnöggersburg" renderà questo centro di addestramento militare unico in Europa.
Vogliamo rendere visibile questo luogo di preparazione bellica e colpirlo duramente!

Entra a far parte del Campo
Militarizzazione, "Sicurezza Integrata", repressione e guerra sono sempre un attacco a tutti i movimenti sociali ed a tutte le persone che combattono per una società libera. I movimenti sociali e politici sono diversi come lo sono i loro punti di vista sulla guerra e sull'esercito. Partendo da questo presupposto, vogliamo creare una resistenza comune - dal riconoscere le nostre differenze. Uno dei principali obiettivi del War-Starts-Here-Camp 2014 è un campeggio politicamente variegato nel quale ci si rispetta a vicenda e si discutono le nostre differenze nella solidarietà. Speriamo nel contributo di molti differenti gruppi e aree. E' per noi importante lavorare insieme senza falsi compromessi o consenso forzato sulle azioni. Vogliamo un dialogo faccia a faccia con tutti coloro che sono ispirati dalla sincera avversione per la condizione di distruzione che affligge il mondo. Vogliamo condividere le nostre conoscenze e discutere delle nostre differenze nella solidarietà. Ci saranno molti incontri in preparazione al War-Starts-Here-Camp. Questi incontri sono intesi come una piattaforma composta da tutti i gruppi interessati ad entrare in contatto con l'organizzazione del campeggio, a costruire una rete e a prendere parte ad un dibattito politico su teoria e pratica antimilitarista.
Nel 2013 gruppi politicamente differenti hanno partecipato al War-Starts-Here-Camp con delle chiamate proprie.
Vogliamo incoraggiare voi ed i vostri gruppi politici a scrivere una vostra chiamate per il War-Starts-Here-Camp 2014, usando le vostre analisi su guerra e antimilitarismo. Potete contribuire con le vostre iniziative e le vostre azioni ad una più ampia resistenza contro la guerra ed il sistema bellico.

War starts here – let’s stop it here!
La guerra inizia qui - fermiamola qui!

MESSICO: INTERVISTA A CROCE NERA ANARCHICA MESSICO



da Informa-azione.info

Questa è la prima di tre parti di un’intervista alla Croce Nera Anarchica Messico, sulla situazione repressiva che si sta vivendo a Città del Messico, in particolar modo a partire dal 1 dicembre 2012 quando riprende il potere il PRI, partito che ha governato per oltre 70 anni questo paese. La repressione sta colpendo diversi settori del movimento sociale ma specialmente gli anarchici, ultimo degli spauracchi creati con maestria da questo governo illegittimo.

In questo primo audio raccontano qual’è il loro contributo alla lotta, a 10 anni dalla creazione di questa “arteria messicana” della Croce Nera. Illustrano brevemente come in Messico si sia formato l’attuale stato-nazione, nato dalle ceneri di una rivoluzione tradita e di quanto la sua identità attuale sia dipesa dalla struttura dell’unico partito che lo ha governato fino al 2000.

Parlano dell’enorme operazione poliziesca messa in atto il primo dicembre 2012, un precedente che marcherà le successive repressioni fino ad oggi: la tattica dell’incapsulamento, gli arresti arbitrari, la stigmatizzazione di settori del movimento attraverso i mezzi d’informazione…

Ascolta il contributo

DOWNLOAD BOLLETTINO CROCE NERA N.0


Clicca qui, ti si aprirà una nuova pagina. Clicca col tasto destro sul bottone “Download now” e scegli “salva destinazione con nome…”

da Crocenera.org

ACCOLTELLATO UN COMPAGNO - TRENTO

riceviamo e diffondiamo:

I FASCISTI HANNO ACCOLTELLATO UN RAGAZZO, ORA BASTA.
Venerdì 16 maggio , verso l'una di notte, ad Arco, un fascista ha accoltellato un antifascista, che ora si trova all' ospedale Santa Chiara con il fegato perforato e varie lesioni.
L'intenzione dei fascisti era quella di colpire gli organi vitali.
E' mancato poco che il ragazzo non morisse.
Da mesi abbiamo reso pubblico che i fascisti girano con i coltelli, e che a Trento di sono resi responsabili di diverse aggressioni. Sui muri è apparso un loro programma piuttosto esplicito: "più antifascisti bucati".
" L'Adige " e " Il Trentino " online parlano di un "battibecco" oppure di uno scontro tra "diverse tendenze politiche", omettendo di dire a quale aera politica appartiene l'accoltellatore.
Se l'accoltellato fosse stato un fascista i giornali avrebbero già aperto la caccia all'anarchico.
Non si tratta di sviste, ma di una linea ben precisa, pianificata con la Questura.
I fascisti, in Trentino come in sempre più parti d'Europa, vengono spalleggiati dalle istituzioni e coperti dai giornali.
Proviamo schifo, ma non stupore.
Sveglia!
C'è bisogno di aggiungere altro? Volete aspettare il morto per mano fascista per poi lamentarvi dei "metodi violenti degli antifascisti"?
Fate finta di niente anche questa volta?
LUNEDì 19 MAGGIO, ALLE ORE 17:00, SAREMO DAVANTI ALL'OSPEDALE SANTA CHIARA PER ESPRIMERE TUTTA LA NOSTRA SOLIDARIETA' AD ANDREA, E PER AFFERMARE CON FORZA UN MESSAGGIO MOLTO SEMPLICE: ORA BASTA.

Antifascisti e Antifasciste

16 maggio 2014

IN UNA PAROLA..



In una parola, l’innamorato della vita vuol goderla pienamente… Non potrei definire ciò che è la felicità: però anche il refrattario che non si adatta all’ambiente prova soddisfazioni… Mi si dirà che questa lotta [per un migliore domani] è piena di ostacoli, che i cardi della via sono molti. Però, se vi piacciono ardentemente delle rose fragranti, rosse come il sangue che vi scorre generoso per le vene, e per coglierle, onde offrirle all’essere più amato, dovete attraversare una palude od una spinosa boscaglia — sono sicura che supererete questi ostacoli e, giungendo alla meta, infangati, insanguinati e sgualciti, spunterà un sorriso trionfale, d’immensa soddisfazione, su le vostre labbra.
Non concepisco che vi siano individui i quali vivono la vita in modo burocratico. Ristagnano, vegetano e muoiono…
Io opino che la Rivoluzione bisogna farla e non aspettarla. Ecco perché qualunque atto contro lo Stato e contro gli altri puntelli dell’attuale regime è necessario e quindi plausibile…
Il senso della vita in tutta la sua pienezza, nell’ambiente in cui viviamo, forma questa corrente d’azione che fa tremare gli sgherri dell’ordine costituito.»
Severino Di Giovanni

Epopea d’amore la nostra
Giocare intorno al fuoco che prova sforzi sovrumani per bruciarci;
Volare, come una farfalla intorno alla fiamma;
Creare il pericolo;
Correre per i precipizi più difficili per allenare i muscoli;
Creare la forza;
E corriamo sempre con lo stesso fervore, con lo stesso ritmo;
agire.
Al di sopra di tutte le critiche.
Al di sopra della “morale”.
Al di sopra del male
Al di sopra della vita.
Per la vita.
E siamo solo all’inizio.
Andremo così, verso la meta irraggiungibile:
Creando,
Conquistando.
Amando.
L’impossibile.
L’intangibile.
La vita.
“Nella morte per la vita.”
Nella morte, per l’amore…
Severino Di Giovanni

IL COMITATO PER CLEMENT PUBBLICA IL PRIMO BOLLETTINO IN SUA MEMORIA


ClementQuesto blog è dedicato alla memoria di Clement Meric, ucciso a Parigi il 5 giugno per mano nazista, quindi ci è venuto spontaneo iniziare a riportare uno stralcio del primo bollettino pubblicato dal Comitato per Clement. Successivamente tradurremo il resto. In questo numero vengono discussi i fatti avvenuti e si restituisce una verità troppo spesso oscurata dai vaneggiamenti e dai deliri dell’estrema destra e da alcuni media compiacenti; si ricorda l’impegno di Clement, in particolare nella lotta antispecista, si pubblica la lettera inviata ai parenti di Pavlos, assassinato da Alba Dorata in Grecia e, infine, vengono riassunte le settimane di proteste e gli omaggi a Clement, fatti nel mese di giugno. Di seguito quanto successo il 5 giugno 2013.
CLEMENT E’ VIVO E LOTTA INSIEME A NOI!
Il Comitato comprende amici, parenti e compagni di Clement, che lavorano a stretto contatto con la famiglia e gli avvocati. Si è posto l’obiettivo di seguire i processi, di organizzare una campagna politica in modo che nessuno dimentichi Clement e di raccogliere fondi per le spese necessarie a questi obiettivi. Il comitato userà tutti i mezzi legali a sua disposizione per opporsi a coloro che vorrebbero infangare la memoria di Clement. Il Comitato per Clement utilizza diversi mezzi di comunicazione per sostenere e diffondere il proprio lavoro.
I fatti:
Mercoledì 5 giugno 2013, tre antifascisti e il padre di uno di loro si recano ad un mercatino privato di abbigliamento che offre prezzi vantaggiosi. Alla fine della vendita, dopo aver pagato per i loro acquisti, arrivano due uomini e una donna con un look apertamente neonazista: magliette con scritte razziste, bomber, teste rasate, ecc . Due dei tre amici, usciti per primi, vedono dei tirapugni negli zaini che han lasciato all’entrata. La guardia alla porta li guarda e con tono sorpreso, dice: “Esistono ancora persone così? “.
Nel frattempo, all’interno del negozio, il terzo amico è in coda con il padre. Le sue convinzioni antifasciste gli proibiscono di restare in silenzio davanti a quegli individui i cui tatuaggi sono la glorificazione del nazismo, a dispetto dei suoi milioni di vittime. È importante sottolineare che, mentre i gruppi violenti di estrema destra intendono appropriarsi delle nostre strade, attaccando i bar omosessuali, sorvegliando le strade e attaccando le donne velate, noi ci rifiutiamo di guardarci attorno. Questo è quanto successo, che è stato chiamato provocazione. Ciò permette oggi di dire che ” il gruppo di estrema sinistra è stato il più violento”, ma rispondere verbalmente all’esibizione di simboli razzisti e qui apertamente nazisti, non è che ciò che ognuno di noi dovrebbe fare?
I tre amici, poi, lasciano il negozio e si dividono dal padre di uno di loro, che va a casa. Si incontrano con Clement, amatore di abbigliamento e di moda, assiduo di questo negozietto con nuovi arrivi quotidiani. Gli dicono che ci sono neonazisti nel negozio e decidono di non rimanere a lungo, dopo lo scambio verbale. Vengono avvicinati da una delle guardie del negozio che gli chiede di non creare problemi. Lo rassicurano che con le braccia cariche di borse della spesa, su una strada trafficata e di fronte a una telecamera di sorveglianza, sarebbe veramente stupido per provocare una rissa.
Pochi minuti dopo, appare il gruppo. E ‘chiaramente aumentato, ora con tre uomini e una donna. Si dirigono direttamente verso di loro, con la mano destra in tasca. Arrivati al loro livello, si fermano e li guardano. Uno che si rivelerà essere Esteban Morillo si avvicina. Avanza dritto verso Clement. I suoi amici lo seguono con intenzioni ben poco amichevoli. ” Non vi avvicinate, altrimenti si colpisce”. Il monito lanciato dagli antifascisti ha avuto poco effetto. Esteban si avventa su Clement, dà un primo pugno e lui stesso è colpito dagli amici di Clement. Altri fascisti entrano nella mischia, armati. Un quinto arriva in rinforzo brandendo la sua cintura. Clement si ritrova solo davanti a Esteban che lo colpisce ancora. Clemente cade all’indietro. Non si alzerà più.
Accanto al suo corpo senza vita e insanguinato, continua la lotta. Piovono colpi di tirapugni. Uno degli amici di Clement, bloccato contro la parete da due avversari, riesce a proteggersi il viso, ma vedrà in seguito diversi tagli sul braccio. Un altro ha il volto segnato dai colpi. Tra grida di passanti terrorizzati, che sono i primi a potersi avvicinare a Clement, agli estremisti di destra non importa uno secondo del corpo di Clement. Infine, il trambusto della via dello shopping e la folla che si forma, permette loro la fuga. Due amici di Clement li inseguono, mentre un terzo si avvicina a Clement e chima i soccorsi. Ma è troppo tardi. E’ stato portato in ospedale privo di sensi dove ne viene dichiarata la morte cerebrale.
L’estrema destra può anche provare il tutto per tutto, parlare di legittima difesa, inventare immagini video o un agguato. La realtà è ben diversa. Otto attivisti di destra erano sul luogo, oltre la metà specificamente chiamati per scontrarsi con “la sinistra”. La maggior parte erano armati . Di fronte a loro, quattro studenti la cui unica colpa è quella di condividere i valori di antifascismo e di aver rifiutato di abbassare lo sguardo.
Un amico di Clement presente al momento dei fatti
NI OUBLI! NI PARDON!
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Bollettino per Clement

P6082663

Dal bollettino n.1 per Clement: Lettera alla famiglia di Pavlos
” Avevamo tanto sperato che non accadesse mai più … ”
Lettera alla famiglia, agli amici/e e compagni/e di Pavlos.
Oggi, per la seconda volta in tre mesi, l’intero movimento antifascista è in lutto. Pavlos Fyssas, alias Killah P., rapper e militante anticapitalista e antifascista, è stato attaccato la scorsa notte – mercoledì 18 settembre 2013, pochi minuti dopo la mezzanotte – da un gruppo di una decina di neonazisti. Tra loro c’era almeno un membro di Alba Dorata, che l’ha pugnalato tre volte in pieno petto. Pavlos è deceduto in ospedale per le lesioni subite, nelle prime ore del giorno.
Pochi giorni prima, membri del Partito Comunista (KKE), mentre attacchinavano, sono stati il bersaglio delle attività omicide di Alba Dorata. Nove di loro hanno dovuto essere ricoverati in ospedale. Uno dei tre assalitori era anche coinvolto nell’aggressione contro quattro pescatori egiziani nel giugno dello scorso anno.
E ‘ in questo contesto che vogliamo esprimere la nostra profonda solidarietà con i compagni antifascisti di Pavlos e tutte le vittime, passate o potenziali, della violenza fascista: migranti, trans, minoranze sessuali, gli attivisti progressisti…
Quando abbiamo appreso della morte di Pavlos, la notizia è dolorosamente risuonata all’assassinio del nostro amico e compagno Clement. Il 5 giugno, Clement Meric è stato ucciso da un attivista di destra, che l’ha colpito in faccia con un tirapugni.
Come amic* vicin* a Clement, sappiamo cosa vuol dire perdere uno di loro in un crimine fascista. Nessuna parola può esprimere la profondità e l’intensità della nostra solidarietà e la nostra compassione verso la famiglia di Pavlos, i suoi amic* e compagn*.
Compagni, noi siamo con voi con tutto il cuore in questo momento terribile. Con la rabbia nel cuore e il dolore nello stomaco, abbiamo tanto sperato che non accadesse mai più. La morte di Pavlos e Clement provano, se ce n’è bisogno, che dobbiamo più che mai continuare a lottare per schiacciare il fascismo. E noi continueremo, con la speranza di non conoscere mai più un tale dolore. E’ tempo, in Grecia, in Francia e in tutto il mondo di organizzare la risposta. E’ tempo di riprendere la strada – le nostre strade.
ΔΕΝ ΞΕΧΝΑΜΕ , ΔΕΝ ΣΥΓΧΩΡΟΥΜΕ
Non dimentichiamo, non perdoniamo Pavlos, Clement
Antifa Action Antifasciste Paris-Banlieue,
Comité pour Clément,Solidaires Etudiant-e-s Sciences Po
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