27 ottobre 2014

MILANO: AFFINCHE' RIPRENDA IL PASSAGGIO DI TESTIMONE

Riceviamo e diffondiamo:

Affinché riprenda il passaggio di testimone

C'è un triste lascito del conflitto rivoluzionario degli anni '70 in Italia: i danni provocati dall'abiura e dal tradimento, dalla dissociazione e dall'infamia.
Con rare eccezioni, sono problemi rimossi. Questo rimosso continua a pesare su di noi e sulle nuove generazioni. Passati gli anni, è capitato che dei collaboratori di giustizia tornassero a frequentare situazioni di movimento. Di alcuni delatori il passato è noto (anche se non per forza ai più giovani); di altri, pochi conoscono la storia (e le carte di tribunale). È mancato un passaggio di testimone, la cui assenza ha permesso agli indegni di tornare a bazzicare situazioni di movimento.
Non spetta certo solo ai più giovani risolvere il problema, ma bisogna pretendere l'affermazione e il rispetto di un principio: chi ha tradito non deve più frequentare i compagni e gli spazi liberati. Senza questo principio, memoria, fiducia e solidarietà perdono ogni significato. Non dare spazio ai traditori (non di questo o quel gruppo, ma di un'intera generazione) è un atto dovuto sia a chi non ha tradito né abiurato (alcuni/e nemmeno sotto tortura), sia all'incolumità nostra e degli altri compagni. È un atto dovuto anche verso coloro dai quali abbiamo attinto informazioni e ricordi di quell'esperienza per i nostri testi e contributi teorico/pratici.
È alla luce di queste considerazioni che scriviamo quello che segue, con molta tristezza.

Qualche anno fa, uno di questi delatori venne allontanato prima da uno spazio occupato e poi da un corteo, a Milano. Situazioni complicate umanamente, perché ad allontanarlo fu anche il figlio, che è un compagno. Fummo soddisfatti perché non vedemmo tentennamenti. La mancanza fu semmai nostra, che non partimmo da quegli episodi per affrontare con la dovuta profondità il problema.

Quando, tempo dopo, siamo venuti a sapere che il delatore aveva continuato a frequentare alcune occupazioni di volta in volta autogestite dai compagni che attualmente occupano la Latteria di Milano, abbiamo chiesto conto di quelle "voci" agli occupanti (tra questi il figlio). Ci sono state confermate in un incontro avvenuto tra noi (insieme a coloro con i quali abbiamo affrontato questa questione) e i compagni di cui sopra, ma questi ultimi hanno anche affermato che non sarebbe mai più accaduto.
Il problema è che anche la madre del compagno è una collaboratrice di giustizia, benché il figlio e i suoi compagni la credessero, fino a qualche settimana fa, "solo" una dissociata. Immaginiamo soltanto quanto devastante possa essere una tale scoperta. Ma quella donna ha beneficiato del programma riservato ai "pentiti" (legge 304/82 art. 3, comma 1).
Nell'incontro a cui facciamo riferimento è emerso anche che la donna ha frequentato altre situazioni di movimento, essendo considerata da loro una "compagna", che devono essere informate. Perché è doveroso, e perché qualcuno potrebbe chiedere conto anche a noi di non averlo fatto.
Infine, i compagni hanno affermato che qualora le loro verifiche confermassero ciò che era scritto sulle carte in nostro, e loro, possesso, avrebbero allontanato anche la delatrice.

Riteniamo che detti compagni e, in particolar modo, il figlio abbiano tutte le ragioni di voler andare ancora più a fondo (anche se a noi può bastare il "profilo" che di lei ne fa la sentenza del 1983), ma fino ad allora non intendevamo, e non intendiamo, aver alcun rapporto con loro, per una questione etica e metodologica.
A nostro avviso nulla è più urgente di chiarire una simile questione, rispetto alla quale tutte le iniziative di lotta passano in secondo piano. 
Per noi la partecipazione ad attività comuni con i compagni della Latteria non può che essere subordinata all'allontanamento definitivo dei due soggetti con una presa di posizione pubblica. Ci sembrava (e ci sembra) l'unico metodo corretto per uscire da questa brutta storia.

Sia loro, sia tutti/e noi, abbiamo avuto modo di leggere le carte che confermano la collaborazione attiva dei due soggetti in questione (vedi documento). Altre carte sono a disposizione degli interessati.

A tutt'oggi (dopo più di due settimane) questa posizione non è stata presa. Nonostante ciò, vari compagni libertari, con cui abbiamo condiviso non pochi percorsi di lotta, hanno ritenuto che si potessero organizzare iniziative future insieme con i compagni della Latteria anche in assenza (cioè in attesa, ma non è dato sapere fino a quando) di un chiarimento definitivo in merito ai due delatori, in particolare su di lei, considerato che su di lui si erano già espressi. Ci sono stati impegni e promesse per noi non adeguati alla gravità del caso. In una parola: superficialità.

Nessuna urgenza di lotta giustifica per noi dilazioni di tempo su una questione così grave. Teniamo conto del fatto che, come già detto, in alcune occasioni uno dei due delatori (conosciuto come tale) ha frequentato delle occupazioni, seppur durante cene non pubblicizzate ma partecipate anche da esterni/e. Ogni comportamento da tenere nei confronti dei compagni della Latteria doveva, secondo noi, sottolineare con forza la gravità dell'accaduto e l'urgenza di mettervi la parola fine: per noi, per i compagni stessi della Latteria e per dimostrare ai più giovani che su certe questioni non si può essere approssimativi nei modi né indeterminati nei tempi.
Tutto ciò non è accaduto. Per questo abbiamo deciso di rompere politicamente con i compagni e le compagne con i/le quali abbiamo condiviso varie iniziative e progetti.
Scelta dolorosa, ma eticamente conseguente ad una tensione rivoluzionaria che non può permettersi, secondo noi, tali leggerezze nel proprio percorso, anche a costo di camminare da soli in futuro.

Questi i fatti. Ai compagni e compagne trarre le proprie conclusioni.
Noi non ci tireremo indietro nel dare tutte le delucidazioni che eventualmente ci saranno richieste.


Antonio (ex-radiocane e Mandragola, Milano)
Paola (ex-Mandragola, Milano)

Milano, 22 ottobre 2014

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