da finimondo
Miserabili Uomini di Merda
Solo poche settimane fa accennavamo all'apocalisse etica in atto
all'interno di tutta la società. Atteggiamenti considerati un tempo
ignobili avvengono ora sotto gli occhi di tutti senza provocare alcuna
reazione, all'insegna della normalità. Non suscitano più lo sdegno
generale, al massimo vengono notati con rassegnazione, con curiosità,
con indifferenza. Talvolta riscuotono perfino successo. Come se nulla
fosse. Questa degradazione è trasversale, non conosce isole felici poste
al riparo, ma intacca ogni ambito. Dai reazionari ai rivoluzionari,
nessuno si preoccupa più di cosa sia giusto, ma solo di cosa sia conveniente.
E, pur di ottenere ciò che è conveniente, si è pronti a fare o a
giustificare qualsiasi comportamento, anche quelli più ripugnanti. Il
rigore — ci viene detto e ripetuto — fa diventare rigidi, fa perdere
occasioni. Meglio essere elastici. E poi il futuro non esiste; ci si può
anche rilassare, ci si può anche sbracare. «Se le cose non possono
migliorare», diceva qualcuno anni fa, «possono però pur sempre
peggiorare». Oggi se le cose non possono peggiorare è solo perché il peggio si è già verificato. Deve semplicemente passare un certo lasso di tempo prima che tutti vengano a saperlo.
Una ragazza in stato di ebbrezza, priva di coscienza. Collassata per
un eccesso di alcool o di droghe. Incapace di rendersi conto di quanto
le sta accadendo attorno. È l'obiettivo preferito di certi maschi in
fregola, vogliosi solo di sfogarsi biologicamente, senza dover aspettare
che scocchi la reciproca scintilla, senza dover perdere tempo in
corteggiamenti dall’esito incerto. Per costoro, una ragazza priva di
sensi è la preda perfetta. Se non dice di sì, non dice nemmeno di no. E
questo è un particolare importante, perché ci sono maschi in fregola che
hanno perfino una coscienza delicata e degli scrupoli morali. Non
vogliono passare per stupratori, non si considerano stupratori. Poiché
non fanno domande, non hanno bisogno di ricevere risposte. «No» è
sinonimo di stupro, lo sanno tutti, il silenzio invece apre quella zona
franca che permette loro di usare un essere umano come se fosse una
bambola di carne per poi dormire in pace con se stessi. Quando un «No»
inequivocabile non viene pronunciato, loro si sentono a proprio agio.
Non è stupro, perché non ci sono urla e singhiozzi. Non è stupro, perché
non c’è resistenza fisica.
Noi, ad esempio, pensavamo che all'interno di quel letamaio che per
convenzione linguistica si chiama Movimento il punto più basso fosse
stato raggiunto due anni fa in quel del Piemonte. Ma ci sbagliavamo,
doppiamente. Una settimana fa abbiamo appreso da un testo apparso in
rete — Circa i fatti di Parma nella sede della RAF —
che un punto ancora più basso era già stato toccato nel 2010 in Emilia.
La lettura di questo testo ci ha lasciato storditi, increduli,
nauseati. I fatti che vi vengono riportati sono talmente gravi ed enormi
da non permettere sfumature mediatrici: qualcosa di infame è accaduto,
in un senso o nell’altro, «fra compagni». O un disgustoso abuso sessuale
o una terribile calunnia. Abbiamo trascorso intere giornate con l'animo
incarognito, in attesa di una smentita parziale o totale di quanto
scritto. I giorni sono passati e nessuno ha smentito. Ne deduciamo
quindi che le affermazioni di quel testo siano vere, se non nel minimo
dettaglio, quanto meno nella sostanza.
Ciò che è accaduto a Parma a partire dal settembre del 2010 la si
potrebbe definire la tempesta perfetta dell’infamia umana. Più
comportamenti aberranti si sono incontrati in un unico punto e nello
stesso momento, si sono incrociati, alimentati a vicenda, scatenati
reciprocamente contro un’unica persona, spazzando via ogni minima
decenza. All'interno della sede della Rete Antifascista — si dice in
questo documento — è avvenuto uno stupro di gruppo ai danni di una
ragazza priva di sensi. Per compiere questo stupro è stato usato anche
un fumogeno. Questo stupro, a cui hanno assistito alcuni spettatori, è
stato filmato con un telefono cellulare. Il video è circolato fra molti
compagni. Nonostante parecchi ne fossero a conoscenza, nessuno ha detto
niente, nessuno ha fatto nulla. La ragazza vittima dello stupro è stata
poi battezzata con un nomignolo spregevole. Alcuni anni dopo, il
ritrovamento del video nel corso di una inchiesta giudiziaria relativa
ad altri fatti ha causato l’apertura di una nuova inchiesta, questa
volta per stupro. La ragazza, che in tutto quel tempo non aveva mai
denunciato nessuno, è stata prelevata e sottoposta a interrogatorio.
Sono i carabinieri a mostrarle per la prima volta il video, a metterle
sotto gli occhi quel che aveva subito. Alla fine, sotto immaginabili
pressioni, la ragazza ha firmato una deposizione e alcune persone sono
finite sotto processo. E lei è stata insultata, minacciata e messa al
bando da certi spazi di movimento perché considerata un’infame che ha
permesso alla magistratura di incriminare alcuni compagni.
Noi non conosciamo questa ragazza, come non conosciamo le persone
coinvolte a Parma. Ci fu un tempo in cui il nome di questa città era per
noi abbinato agli occhietti vispi del Monello, il partigiano anarchico
che non depose mai le armi contro il fascismo. Ma oggi il Monello non
c'è più, la morte gli ha risparmiato l'affronto di venire a sapere cosa
sia successo ad un passo da casa sua, in quella Parma che rischia oggi
di acquisire la nomea della città in cui «gli antifascisti stuprano».
Noi non abbiamo amici da difendere o non-amici da attaccare. Abbiamo
solo la nostra coscienza, sgomenta per quanto è accaduto. Incapace (e
senza alcuna intenzione) di stare zitta davanti a tale infamia. Una
infamia inconcepibile fino allo scorso millennio, ma possibile e già in
atto oggi, allorquando ogni rapporto viene vissuto in maniera
strumentale, ogni idea viene considerata un orpello usa-e-getta, ogni
etica viene percepita come limite ed impedimento da superare.
«Noi non siamo stupratori», dicono i diretti interessati. «Non
sono stupratori», ribadiscono i loro compagni e amici (e avvocati).
Tutti pronti a ricordare il detto secondo cui chi tace, acconsente.
Per sbirri e magistratura, invece, non ci sono dubbi: quegli
«antifascisti» sono stupratori. Che trionfo, per tutti i reazionari!
Quante risate, per i fascisti! Quale scoop, per i giornalisti! Che
batosta, per il movimento! Secondo alcuni, ciò costituisce un motivo in
più per non usare la parola stupro, un motivo in più per difendere gli
imputati, un motivo in più per prendersela con quella ragazza. Chi può
dire, in tutta onestà, che prima di svenire lei non abbia lanciato
sorrisi complici e sguardi maliziosi? Chi sa davvero cosa è accaduto
quella notte? Ciò che è certo è che tre «antifascisti» sono alla sbarra:
non uniamoci alla canea che li vorrebbe veder marcire in galera, non
chiamiamoli stupratori.
Sì, è vero, non è piacevole ripetere il ritornello dei magistrati
in aula di tribunale. Motivo per cui noi chiameremo i
non-chiamiamoli-stupratori nell’unico modo che ci viene in mente, ciò
che hanno dimostrato di essere al di là di ogni possibile dubbio:
Miserabili Uomini di Merda. Perché bisogna essere proprio dei Miserabili
Uomini di Merda per scaricare il proprio testosterone sul corpo
inanimato di una ragazza priva di sensi. Perché bisogna essere proprio
dei Miserabili Uomini di Merda per usare un fumogeno come sex toy
(ricordate i parà italiani in Somalia nel 1993, quelli che stupravano
le «belle abissine» usando un proiettile di artiglieria? stessa pasta
subumana). E bisogna essere dei Miserabili Uomini di Merda anche per
fare da spettatori a quell’atto sessuale, filmandolo col telefonino.
Infine — e ci teniamo qui a sottolinearlo — bisogna essere dei
Miserabili Uomini e Donne di Merda anche per venire a sapere quanto
accaduto senza battere ciglio, per guardare quel video senza infuriarsi
(magari ridacchiando e dandosi di gomito), per chiamare quella ragazza
con quel nomignolo ripugnante, per tollerare e giustificare ciò che le è
stato fatto, per continuare a respirare la stessa aria di chi si è
macchiato di tale infamia, giungendo a minacciare la vittima per
difendere i carnefici. E a noi non interessa affatto il verdetto che
verrà pronunciato dal tribunale, non dobbiamo attendere di conoscerlo
per esprimerci in merito. Non ci interessa cosa ne dirà la legge,
sappiamo già cosa ci dice il nostro cuore.
Inoltre, bisogna essere dei Miserabili Uomini e Donne di Merda
anche per accusare quella ragazza di aver dato in pasto tre compagni
alla magistratura con la sua deposizione. Al di là del fatto che
Miserabili Uomini di Merda simili possano essere considerati compagni
solo da altrettanto Miserabili Uomini e Donne di Merda, ma poi in realtà
è accaduto l’esatto contrario: è la ragazza ad essere stata data in
pasto agli inquirenti, grazie a quel video che nella testa di questi
Miserabili Uomini di Merda doveva essere il trofeo da esibire in ricordo
della loro notte da leoni. Da quanto abbiamo capito, nella deposizione
firmata da quella ragazza i carabinieri hanno infilato anche nomi di
persone del tutto estranee ai fatti, poi prosciolte da ogni accusa. Chi
si è visto trascinato in questa vicenda infame ha senz'altro un buon
motivo per avercela con lei e sarà la sua coscienza a decidere se
ricordare con ostilità o se, viste le circostanze, dimenticare per
pietà. Ma ciò non giustifica comunque la logica del «tutti colpevoli,
nessun colpevole» a cui si aggrappano i Miserabili Uomini e Donne di
Merda.
Spacca il cuore il pensiero di come la «mia bella anarchia» del
Monello e degli anarchici del 900 si sia decomposta a tal punto da
diventare la nostra putrida anarchia del terzo millennio. In mezzo ai
cavalieri dell’idea che ci hanno preceduto, tutto ciò non sarebbe stato
possibile. Non sarebbe stato nemmeno lontanamente immaginabile. E non ci
riferiamo a quanto è accaduto quella notte in via Testi a Parma — che
un pugno di Miserabili Uomini di Merda si possono trovare ovunque e in
tutte le epoche —, ma a quanto non è accaduto dopo. Perché,
considerato il luogo in cui è avvenuto quello scempio e la bandiera con
cui si avvolgono i responsabili, non è stata solo una ragazza di
diciotto anni a venire violentata e umiliata: anche l’idea, anche
l’etica, anche la dignità di chi sogna un mondo senza autorità e potere
sono state violentate e umiliate, con lei, quella sera. E questo è un
fatto che nella «bella anarchia» avrebbe fatto salire il sangue agli
occhi, avrebbe fatto gridare vendetta, avrebbe immediatamente spinto i
compagni più generosi a fare colletta per regalare a questi Miserabili
Uomini di Merda una lunga vacanza in qualche reparto ortopedico. Ma
nella nostra putrida anarchia non c’è rimasta più nessuna idea, nessuna
etica, nessuna dignità. Il letamaio che per convenzione linguistica si
chiama Movimento è composto per la stragrande maggioranza da
compagni-per-caso, che si battono contro le forze dell'ordine come altri
si buttano con il paracadute, che intonano slogan da corteo come altri
intonano cori da stadio, che frequentano spazi occupati come altri
frequentano discoteche, legati fra loro dal medesimo spirito di branco.
Ecco perché non è successo niente dopo quella notte infame in via Testi a
Parma. Perché chi non ha alcuna idea, alcuna etica, alcuna dignità da
curare, ma solo un profilo Facebook, in quel video non ha visto alcun
orrore — ci ha visto solo amici che se la spassavano con qualcuno di
meno amico.
Eccola qui, l’apocalisse etica. Dopo la legittimazione della
calunnia («un errore, una opinione non condivisibile, andiamo avanti») e
prima della legittimazione della delazione («un errore, una pratica che
non ci appartiene, riportiamo il discorso sui binari»), ci mancava solo
questa. Cosa è avvenuto quella sera nella sede della Rete Antifascista?
Un errore? Un eccesso di libidine, condivisa e informale, di cui pochi
altri soffrono? Voltiamo pagina? In effetti, dopo una assemblea con dei
delatori, un presidio in difesa di questi Miserabili Uomini di Merda
sarebbe anche logico. Si tratterebbe di un vero presidio di
rivoluzionari, sia chiaro, mica di Miserabili Uomini e Donne di Merda
che fra di loro si chiamano compagni. Gente capace di ricordarsi
all'improvviso dell'etica per gettarla in faccia sia a questa ragazza,
sia a chi l'ha difesa. Come si può de-responsabilizzare chi ha
collaborato con gli inquirenti solo perché è stata vittima di un abuso?
Già, fosse stata una leader di movimento, allora sì che la si poteva
de-responsabilizzare. In quel caso l'etica sarebbe rimasta in tasca,
tenuta ben nascosta sopra il culo. Questi Miserabili Uomini e Donne di
Merda, a cui piace essere forti con i deboli e deboli con i forti, non
smettono di rammentare che, avendo firmato la deposizione redatta dai
carabinieri, questa ragazza è una infame (tecnicamente parlando). E
questa per i Maramaldi dell’antifascismo è (tecnicamente parlando) una
ottima occasione per sfoggiare tutto il loro coraggio e la loro
coerenza.
Quanto a noi, ammettiamo la nostra viltà e la nostra incoerenza: quella ragazza non avrà il nostro disprezzo.
La vita, sotto forma di Miserabili Uomini e Donne di Merda (prima senza
e poi con uniforme), ha già infierito fin troppo su di lei. Il nostro
disprezzo preferiamo riservarlo, e fino all’ultima goccia, a chi l’ha
usata per una notte come latrina ormonale e a chi ha riso o taciuto per
anni davanti ad una tale infamia.
[21/12/16]
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