1 febbraio 2014

STORIE DI TRIBUNALI, INFRASTRUTTURE E RESISTENZE.


riceviamo e diffondiamo:
 Storie di tribunali, infrastrutture e resistenze.


 In tribunale non si avvera né giustizia né salvezza.



1.
Ogni lotta che conta funziona come una sorta di “catalizzatore chimico” che permette di portare alla luce le modalità attraverso cui il potere è in atto. La lotta contro la realizzazione del treno ad alta velocità in Val Susa non fa eccezione. Questo movimento, come d’altronde quelli No Mous in Sicilia o quello contro la costruzione dell’aeroporto di Notre-Dame-des-Landees in Francia, rende evidente che il potere è immanente alle infrastrutture. È infatti attraverso la perpetua espansione e ramificazione della rete infrastrutturale che il capitale si produce, si scambia e si accresce. Questo processo è iniziato tre secoli fa. Quindi, a prescindere dal TAV, la Val Susa è già un polo infrastrutturale della rete transeuropea di trasporto merci. È per questo che l’immagine di una lotta per la difesa di una valle incontaminata risulta essere fuorviante, in quanto è ormai da tempo che questo territorio è sventrato da un viadotto autostradale e sfigurato da enormi centrali idroelettriche.
Il no pronunciato contro il treno ad alta velocità non significa, dunque, conservazione di una pura comunità montana che abita un’idilliaca valle. In realtà, dietro quest’immagine mitologica c’è tutt’altra cosa, cioè: l’incrociarsi di un conflitto con la sperimentazione di una forma-di-vita che allude alla possibilità di abitare un mondo che non sia più quello altamente dispositivizzato imposto dalla civiltà del capitale. In questi vent’anni di lotta contro l’ambiente infernale imposto dall’infrastruttura, esperienze come la baita Clarea, il presidio di Venaus e la Libera Repubblica della Maddalena, hanno creato localmente un territorio autonomo, che in maniera fuggitiva e frammentaria ha fatto intravedere la desiderabilità di una forma di vita incentrata sull’uso e la condivisione dei mezzi. In fondo, se le barricate erette dai NO TAV sono risultate così temibili ed efficaci è perché si sa come vivere dietro di esse.  
In Val Susa, treno ad alta velocità è sinonimo di espropri, sgomberi, lacrimogeni, recinzioni, fogli di via e arresti. Tuttavia, in questi ultimi mesi, alla già cospicua serie di misure ordinarie e straordinarie, si viene ad aggiungere l’utilizzo strumentale di ingenti richieste di risarcimento nei procedimenti civili e le accuse di terrorismo.

2.
La contestazione dei reati di terrorismo a Chiara, Mattia, Claudia, Nicolò, così come quella del reato di devastazione e saccheggio per i fatti del 15 ottobre, hanno chiaramente lo scopo di reprimere duramente chi mette in campo pratiche conflittuali, ma rientrano anche in una più ampia strategia controinsurrezionale di prevenzione. Per molti mesi precedenti agli arresti il movimento no tav è stato oggetto di pesanti denunce che sempre più profilavano, anche attraverso accurate operazioni di propaganda mass mediatica ad opera di inquirenti,politici e giornalisti, la minaccia terroristica italiana del 2014. Infatti prima si è proceduto ad una profilazione quasi statistica del notav/terrorista, poi alla sua divulgazione mediatica ed infine all'applicazione di questo fantasmagorico teorema ad un caso concreto: i fatti del 13 maggio. Inoltre, ricorderanno in molti i titoli dei giornali nei giorni precedenti alla manifestazione nazionale del 19 ottobre a Roma in cui il movimento no tav composto da terroristi, black bloc e sfasciacarrozze avrebbe messo a ferro e fuoco la capitale. Per non parlare della favola mediatica sui legami tra il movimento no tav e le nuove BR che concludeva a regola d'arte questo disegno machiavellico.
I reati contestati dai pm Andrea Padalino e Antonio Rinaudo, che hanno condotto agli arresti del 9 dicembre sono tra gli altri: «condotte con finalità di terrorismo» (art. 270-sexies); «attentato per finalità terroristiche di eversione» (art. 280);  «atto di terrorismo con ordigni micidiali o esplosivi» (art. 280-bis). E si riferiscono ai fatti avvenuti nella notte tra il 13 e il 14 maggio 2013 durante un’azione contro il cantiere del Tav a Chiomonte.
Ci sembra che l’impianto accusatorio si regga sulla norma contenuta nell’articolo 270-sexies, che recita: 

Sono considerate con finalità di terrorismo le condotte che, per la loro natura o contesto, possono arrecare grave danno ad un Paese o ad un'organizzazione internazionale e sono compiute allo scopo di intimidire la popolazione o costringere i poteri pubblici o un'organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto o destabilizzare o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche e sociali di un Paese o di un'organizzazione internazionale, nonché le altre condotte definite terroristiche o commesse con finalità di terrorismo da convenzioni o altre norme di diritto internazionale vincolanti per l'Italia.

La formulazione qui riportata è emblematica di una nuova e più ampia definizione del reato di terrorismo, che viene elaborata a livello globale ed europeo dopo gli attentati alle Torri gemelle dell’11 settembre 2001 e in seguito alle stragi di Madrid del 2004 e di Londra del 2005. 
Introdotto in Italia nel luglio 2005 dal cosiddetto «Pacchetto Pisanu» in attuazione di una decisione-quadro europea, l’articolo 270-sexies norma per la prima volta nel «diritto interno» una nozione di «Condotte con finalità di terrorismo». Complessivamente, come già è stato sottolineato da compagni e avvocati, «tale normativa è finalizzata ad anticipare la soglia di punibilità, quali attività terroristiche, di condotte non direttamente e specificatamente riconducibili e qualificabili come associazione terroristica o eversiva». 
Come è facilmente intuibile, con l’introduzione del 270-sexies, la discrezionalità e generalità che costituisce la forza tecnica e giuridica dell’art. 270 si amplia maggiormente. Infatti oggi la condotta con finalità di terrorismo può essere contestata per molti dei comportamenti già definiti dal codice penale in altro modo: dalle lesioni personali alla fabbricazione o detenzione di esplosivi, dall’occupazione di luoghi pubblici o di mezzi pubblici di trasporto al danneggiamento di infrastrutture pubbliche o private. Tale nozione, «quale finalità richiesta per l’incriminazione, è tuttavia così ampia da includere non solo il sovvertimento di organi istituzionali dello stato […]», ma anche la contestazione e il rifiuto di tutte quelle relazioni economiche e mercantili che costituiscono il fondamento delle attuali società democratiche. In tal senso, l’azione contro il cantiere di Chiomonte è terroristica non per la specifica violenza degli atti di sabotaggio, ma perché si oppone a una decisione democratica tra paesi europei che ha per finalità lo sviluppo del mercato. Per le attuali democrazie neoliberali, le decisioni che riguardano l’economia sono incontestabili. Come è già stato sottolineato in alcuni comunicati seguiti agli arresti e che qui vale la pena di ricordare, qualsiasi lotta, compresa una normale vertenza sindacale, nella misura in cui vuole spingere la controparte a «compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto» - come recita l’art 270 sexies – può essere considerata antidemocratica e quindi terroristica. 
Le tutele sindacali, lo statuto dei lavoratori, i referendum, i diritti sicuri, il welfare-state, insomma, tutti quegli avanzamenti frutto del compromesso sociale keynesiano-fordista tra capitale e lavoro, devono ormai essere considerati come una storia del passato e, quindi, come un oggetto di studio. Indebolendosi, da essere strumento, pur discutibile, di pacificazione, la democrazia oggi è di guerra ed è attraverso questa vocazione che si infiltra lo stato d'eccezione con i suoi campi e nemici interni. Il cantiere di Chiomonte, con il filo spinato israeliano, i militari provenienti dall’Afganistan, costituisce la più cospicua riprova del processo di inclusione della guerra nel quotidiano. Ciò che la democrazia ci impone è una bizzarra forma di pace: la pace armata.




3.
Dunque, dato che in venti anni non si è riuscito a fermare il movimento NO TAV, non resta che criminalizzarlo tacciandolo di terrorismo. Tuttavia, come già avvenuto in passato per altre operazione giudiziarie, a queste accuse di terrorismo il movimento NO TAV ha risposto compatto. Infatti, nell’assemblea popolare del 24 gennaio, indetta da sindaci e comitati, il movimento ha espresso solidarietà unanime sia ai tre condannati al maxi risarcimento che ai quattro arrestati con l’accusa di terrorismo. Per il movimento NO TAV, la solidarietà è un’arma, poiché prescinde e annulla le appartenenze di parrocchia. Nessuna sfumatura politica finora ha mai incrinato la solidarietà in relazione ad un gesto percepito come giusto. Si ricordi il ‘siamo tutti black bloc’ in seguito alla rivolta del 3 Luglio 2011. In questa lotta ciò che si condivide non sono posizioni politico-ideologiche ma un senso del mondo, un'idea di giustizia che non ha nulla a che vedere con quella dominante. Questo scontro tra mondi lo viviamo continuamente. Crediamo, infatti, che se ci fosse stata solidarietà vivente il 15 ottobre non avremmo evitato comunque la delazione ma avremmo avuto una forza da contrapporgli enormemente più intensa, così intensa da annichilirla. Ecco, quello che è importante segnalare è la mancanza di una forza che continui a pulsare oltre l'evento della manifestazione della forza. Questa forza è una solidarietà vivente, sempre all’opera, poiché è in essa che si prepara, si vive e si affronta la fine della battaglia.
In generale, pensiamo che l'articolazione di una “campagna di solidarietà” non può essere limitata ai benefit più la mobilitazione di militanti ma dovrebbe essere queste cose più l'attivazione di un linguaggio solidale che attraversi i territori e faccia emergere da questi l'esistenza di forme di vita giuste. Inoltre, con estrema umiltà segnaliamo che un altro limite delle campagne di solidarietà consista nel non riuscire a immaginare un ambito di confronto e di azione che non sia già dentro il recinto giuridico o che opera quantomeno sui suoi margini interni. Se la Val di Susa ci insegna che la giustizia non è affatto una questione di leggi e di giudici ma qualcosa di vivente, allora occorre agire e pensare al di fuori del diritto (fatto salvo certamente l'uso tattico del diritto). Infatti, se continuiamo a muoverci dentro la sfera giuridica è chiaro che non esiste nessuna possibilità di rivendicare un monopolio condiviso dell'uso della forza (condiviso, cioè, tra i movimenti e lo stato). La forza rivoluzionaria, come la giustizia, si pone al di fuori della sfera legale, e si legittima solo perchè è collettivamente sentita come giusta. La forza, la legittimità, la giustizia, la solidarietà stessa si pongono dunque fuori dal mondo del diritto. Non può esistere così un “diritto alla solidarietà”, ma una solidarietà che renda i territori indecifrabili e opachi agli occhi dell’autorità, perché essa stessa è per definizione incomprensibile ai non solidali.

Sosteniamo le resistenze. Liberi tutti.


Grazie di non sostenere la pace sociale

Fucina 62, Gennaio 2014 Roma

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