27 ottobre 2014

ULTIME DA KOBANE E SULL'ORGANIZZAZIONE DELLE DONNE ANARCHICHE


Azione Anarchica Rivoluzionaria 
Lo Stato turco che si sta preparando ad intervenire per evitare il pericolo ISIS è al tempo stesso infingardo verso l'offensiva portata dai sostenitori di ISIS attraverso i confini turchi, dimostrando così l'ipocrisia della politica di Istanbul. ---- La situazione ---- Dal momento che il governo di Urfa ha chiuso il confine verso Suruc, i nostri compagni si sono uniti agli altri attivisti del DAF attraverso altri percorsi andando a rafforzare lo scudo umano. Al tempo stesso l'esercito turco ha aumentato i bombardamenti sulla gente di Kobanê che cerca di entrare in Turchia dal confine di Müsritp?nar. ---- Dopo avere respinto l'ISIS dalle colline a 500 metri dal confine, nei giorni seguenti le YPG si sono ritirate dal fronte occidentale. Questa ritirata strategica è una mossa efficace nei confronti degli armamenti pesanti dell'ISIS. Gli scontri sono aumentati nel corso della notte.

Un appello a "fermare la città" è stato raccolto nella città di Amed in solidarietà con la resistenza a Kobanê, con la chiusura di negozi e scuole in Amed e nel resto del Kurdistan.

La vigilanza lungo il confine è sempre più importante dato che l'ISIS sta ricevendo in questi giorni altri rifornimenti proprio attraverso la frontiera turca. Dai compagni veniamo a sapere che gli abitanti di Kobanê sono vittime di persecuzioni nei pressi del confine a Yumurtalik. Molti i malati ed i feriti. Bambini senza cibo ed acqua. Molti feriti aspettano per ore senza nessuna assistenza e vengono portati a Suruc sul rimorchio dei camion.

I soliti sciacalli cercano di vendere cibo agli abitanti di Kobanê a prezzi maggiorati. Il gruppo di scudo umano cerca di intervenire contro questi opportunisti. L'ISIS ha intensificato i bombardamenti sui villaggi ad 1-2 km da Kobanê ed insiste a ovest della città.

La Turchia si prepara ad intervenire

Il fuoco di sbarramento dell'esercito turco delle prime ore del 3 ottobre è alquanto significativo considerando che i piani militari prevedevano sinora la protezione del mausoleo di Solimano ed i presidi militari. La Turchia che ha lasciato per mesi che l'ISIS si rifornisse attraverso i suoi confini sta ora puntando ad altri vantaggi strategici mascherati da aiuti.
La polizia militare turca minaccia lo scudo umano di cui fanno parte i nostri compagni e continua gli attacchi destinati a far evacuare la città.

Lo Stato turco che si sta preparando ad intervenire per evitare il pericolo ISIS è al tempo stesso infingardo verso l'offensiva portata dai sostenitori di ISIS attraverso i confini turchi, dimostrando così l'ipocrisia della politica di Istanbul.

Donne anarchiche a Kobane

Come anarchici rivoluzionari, in questi giorni in cui vediamo la lotta del popolo di Kobanè lotta per la libertà come nostra lotta per la libertà, stiamo diffondendo i principi della Azadî/Libertà in tutta l'area. Non permetteremo a nessuno stato, a nessun capitalista ed a nessuna gang di assassini di nuocere al popolo di Kobanê. Le donne compagne anarchiche (Organizzazione della Donne Anarchiche) sono sulla strada per diffondere la solidarietà rivoluzionaria dicendo: "tutte a Kobanê per la distruzione dei confini e per la costruzione della libertà!".
Lunga vita alla resistenza di Kobanê!

Lunga vita alla rivoluzione in Rojava! 

LA RIVOLUZIONE VINCERA' A KOBANE! COMUNICATO DEL DAF


Siamo giunti al 24° giorno di attacchi dell'ISIS su Kobanê. Mentre le forze di difesa popolare in tutti i villaggi di confine fanno da scudo umano e da sentinelle per gli attacchi contro Kobanê, tutti ed ovunque nella regione in cui ci troviamo sono insorti per evitare la caduta di Kobanê. ---- Sono tre settimane che facciamo da scudi umani e da sentinelle nel villaggio di Boydê ad ovest di Kobanê. Negli ultimi due giorni, si sono fatte sentire di più le esplosioni e l'eco degli scontri nei quartieri esterni di Kobanê e nel centro della città. L'esercito turco spara contro chiunque cerchi di passare il confine in qualsiasi direzione, compreso il villaggio in cui ci troviamo, che è stato attaccato martedì scorso. I soldati turchi usano anche munizioni vere di tanto in tanto e ci sono dei feriti tra la gente.

Questi attacchi sui villaggi di confine autorizzano di fatto l'ISIS a poter passare attraverso il confine turco. Qui il sostegno della Turchia all'ISIS è nettamente visibile. Ma non è la sola cosa evidente. Abbiamo appreso che uno dei comandanti dell'ISIS nell'attacco a Kobani è stato ucciso dalle forze delle YPJ/YPG. Nel frattempo gli scontri sono sempre più intensi e durano per tutto il giorno senza sosta. Apprendiamo che le esplosioni che si sentono sono quelle prodotte dalla risposta della forze delle YPJ/YPG, le quali hanno tatticamente sgomberato le strade del centro di Kobani attirando l'ISIS in un'imboscata e quindi neutralizzando la loro avanzata con questo riuscita mossa tattica.

Vi è in tutti eccitazione per i resoconti che vengono forniti nelle assemblee del villaggio; si racconta della paura dell'ISIS nei confronti delle donne guerrigliere. L'ISIS rappresenta lo Stato, il terrore, il massacro ed anche il patriarcato ovviamente. A causa della loro paura di non poter diventare dei "martiri" se vengono uccisi dalle donne guerrigliere, dalle combattenti delle YPJ, hanno una paura fottuta di scontrarsi con le forze delle YPJ. Infatti quando vi si scontrano, le donne che "combattono" contro di loro non hanno nessuna pietà per il destino dei miliziani dell'ISIS. Questa è la libertà contro il patriarcato creato dalla lotta delle YPJ.

La rivolta che negli ultimi 2 giorni si è diffusa in tutto il Kurdistan ed in tutte le città dell'Anatolia, ci fa rendere conto di quanto possa essere invincibile il popolo organizzato. Queste rivolte creano fiducia nella possibilità rivoluzionaria a Kobanê, nei villaggi sul confine ed in tutta la Rojava. Quando una sorella o un fratello cadono nella battaglia, l'ira e la forza prendono subito il posto del dolore. Ai requiem in ginocchio seguono le danze halays in cui il battito dei piedi è così forte e veloce da spaccare la terra. Così il nostro dolore esplode in ira, sempre più forte, sempre più veloce.

Questo è ciò di cui tutti abbiamo bisogno qui. In nome della libertà e della rivoluzione tanto agognata, nonostante tutto.

Lunga vita alla resistenza del popolo di Kobanê!
Lunga vita alla rivoluzione del popolo della Rojava!

Lunga vita alla nostra azione rivoluzionaria anarchica!


Devrimci Anarsist Faaliyet - DAF

Revolutionary Anarchist Action/Azione Anarchica Rivoluzionaria 

A KOBANE L'ISIS HA PERSO


Mehmûd Berxwedan - esponente del Comando Generale delle YPG - è stato intervistato dal giornalista Ersin Çaksu per la testata turca filo-curda "Özgür Gündem". Berxwedan ha dichiarato a Çaksu che tutti coloro i quali hanno detto che Kobanê "era caduta" o che "sarebbe caduta" si sono ritrovati smentiti, e che se venisse aperto un corridoio per la città, l'ISIS sarebbe completamente spazzato via dall'area. Di seguito l'intera intervista. ---- Intanto vorrei ringraziare il comandate Berxwedan per aver trovato il tempo di rispondere ad alcune nostre domande in una simile situazione. Per prima cosa, perché Kobane è così importante per l'ISIS? Perché attaccano con forze ingenti?
In una nostra precedente intervista avevamo dedicato molto spazio al perché Kobanê è diventata un obiettivo militare. Il 19 luglio 2012 segna la data in cui a Kobanê è iniziata la Rivoluzione della Rojava, facendo della città un simbolo di resistenza e di libertà. Kobanê è diventata così l'espressione della volontà del popolo curdo della Rojava. Da Kobanê la rivoluzione si è diffusa al resto della Rojava. Per questa ragione Kobanê non era prevista nei piani sia di certe potenze internazionali che di certe potenze regionali le quali non vogliono che i Curdi possano esprimere liberamente la loro volontà. Da quel giorno fino ad oggi queste potenze hanno fatto di tutto per spezzare e distruggere la volontà popolare dei Curdi. Non sono riusciti a raggiungere il loro fine, ma da più di un anno e mezzo hanno preso di mira Kobanê in particolare. Dunque perché proprio Kobanê? Perché Kobanê non ha nessuna via di comunicazione con le altre regioni, né col cantone di Cizîrê né con quello di Efrîn. La regione di Kobanê è completamente circondata dalle bande dell'ISIS. Pensavano di poter distruggere Kobanê assediandola. Gli attacchi che hanno portato alla città per oltre un anno e messo dovevano servire a questo. Credevano di spezzare la resistenza di Kobanê e di far cadere la città in poco tempo. Ma non sono riusciti a raggiungere lo scopo. Alla fine si sono accorti che nonostante concentrassero qui tutta la loro forza, non sarebbero riusciti a realizzare i loro piani per Kobanê. Per questa ragione hanno ammassato forze provenienti da Derazor, da Rakka e da ancora più lontano in Iraq ed allo stesso tempo forze disponibili nella regione da Jerablus e Sêxler da utilizzare per la conquista di Kobanê. Posso affermare che hanno schierato il 70% delle loro forze per prendere la città.

C'è solo l'ISIS dietro questo piano?

Ovviamente ci sono anche certi Stati che non intendo menzionare, perché ben noti. Stati che vogliono spezzare la determinazione del popolo curdo che è emersa proprio qui. Se Kobanê cade, allora anche gli altri cantoni che sono stati istituiti, anche la volontà che è emersa, anche le YPG che stanno crescendo ovunque e che stanno assumendo in ruolo importante nella rivoluzione siriana subirebbero un colpo significativo. Perché questa è una realtà che può avere un ruolo guida e svilupparsi lungo direttrici democratiche. In particolare la Turchia ed altre potenze che sostengono l'ISIS hanno deliberatamente pianificato questo attacco. Volevano spezzare la nostra determinazione proprio qui. Volevano vincere qui. Se vincono qui, poi colpiranno le altre regioni una dopo l'altra e potranno colpire Cizîrê ed Efrîn. Agli inizi avevano cercato di sfondare a Jez'aa, a Rabia ed a Serêkaniyê, ma senza riuscirci. Perché lì avevano un certo numero di forze ma non riuscivano a soffocarci. Poi hanno ritenuto che potevano circondare Kobanê sui 4 lati per vincere la nostra resistenza. Sarebbe stato un successo per l'ISIS e per i suoi sostenitori. Volevano compensare qui le loro sconfitte in Iraq ed a Cizîrê. Volevano risollevarsi il morale prendendo Kobanê. Fino ad ora ci sono due forze che sono emerse con successo in Siria. Una siamo noi e l'altra è l'ISIS. Ora si tratta di vedere chi sconfigge chi. Le strade sono due. Una è quella delle gang degli invasori, l'altra è quella della democrazia. E' una sfida. Per questa ragione l'ISIS ha ammassato tutte le sue forze e coll'appoggio di stati stranieri hanno attaccato Kobanê con questa intensità.

Questa dura battaglia si protrae da più di un mese. Cosa è successo nel corso di questo mese?Quali armi hanno usato contro di voi? Che tipo di battaglia è stata? E voi come avete risposto?

Questa battaglia che dura ormai da più di un mese non somiglia a nessun'altra battaglia. In termini di dimensioni, di intensità e forme di attacco è una battaglia ben diversa dalle altre. Loro hanno attaccato simultaneamente in forze da 4-5 direzioni. Hanno mobilitato reparti di attacco e reparti operativi portati da fuori. Hanno attaccato con le stesse forze con cui avevano preso intere città in poche ore e messo in ginocchio interi governi. E' stato con le stesse forze e con la stessa tattica che hanno aggredito Kobanê. Sono arrivati con carri armati, artiglieria, mortai ed armamenti pesanti sottratti all'esercito siriano, a quello iracheno ed al Libero Esercito di Siria. Hanno usato anche tattiche come i bombardamenti. Naturalmente pensavano che sarebbe andata come a Mosul ed in altre regioni che avevano conquistato e che quindi avrebbero preso Kobanê in solo due giorni. Infatti avevano pianificato che Kobanê avrebbe resistito solo una settimana. La Turchia ed altre potenze pure non ci avevano dato che una settimana. Abbiamo dovuto resistere con armi leggere ad attacchi portati con armi pesanti, perché finora nessuno ci ha aiutato.

Quando dite nessuno...

Né le forze della coalizione, né una potenza straniera e nessun'altra potenza ci ha fornito un qualsiasi tipo di armi.

Il Primo Ministro della KRG [Governo Regionale del Kurdistan, che amministra il Kurdistan iracheno autonomo, ndt] Neçirvan Barzan ha rilasciato un comunicato in cui diceva che ci aveva inviato delle armi. Ma non ci è arrivato nessun aiuto, nemmeno dal governo del KRG. Niente armi da nessuno Stato e nemmeno da un governo curdo. No, nessuno ci ha dato delle armi. Abbiamo risposto all'attacco con le sole armi leggere che abbiamo e con mezzi preparati ricorrendo alle nostre risorse. Abbiamo dovuto condurre una battaglia sapiente sul piano tattico.

Quale tipo di tattica?

L'ISIS aveva pianificato di distruggere la maggior parte delle nostre forze nei villaggi prima di avvicinarsi alla città. Pensavano di liquidare le nostre forze nei villaggi per poi entrare in città innalzando le armi. Noi abbiamo sviluppato delle tattiche che tenevano conto del loro piano. Non c'è stato un solo villaggio in cui non abbiamo combattuto. Abbiamo combattuto in ogni villaggio ed in ogni borgo proteggendoli con le nostre forze disponibili. Abbiamo subito perdite ed abbiamo avuto i nostri martiri. Ma siamo riusciti comunque a preservare le nostre forze. Così siamo riusciti a prolungare i giorni di resistenza, cosa che ci ha permesso di passare al contrattacco. Abbiamo assunto come principio cardine quello di preservare le nostre forze per poi contrattaccare. All'ISIS, che aveva pianificato di distruggere entro una settimana la maggior parte delle nostre forze nei villaggi, non abbiamo permesso di entrare in città per almeno 3 settimane. Abbiamo pianificato di usare la nostra vera forza dentro la città. Volevamo che il punto di svolta fosse questo.

La vostra strategia vi faceva apparire come soccombenti, mentre in realtà a soccombere era l'ISIS con i suoi sostenitori.

Proprio così. Non abbiamo fatto quello che loro volevano facessimo. Non abbiamo radunato le nostre forze nei villaggi per mandarle al massacro. Abbiamo assunto come principio base quello di preservare le nostre forze e di contrattaccare. Abbiamo risposto adottando diverse tattiche. Per un periodo la battaglia si è sviluppata all'interno della città. Erano certi che la città sarebbe caduta, come lo era anche Erdogan quando aveva detto che Kobanê "era caduta e cadrà". Erano sicuri che avrebbero detto le preghiere per l'Eid è [festa che conclude il Ramadan, ndt] nella città, che avrebbero preso la città e che vi avrebbero recitato le loro preghiere. Infatti molti Stati erano giunti alla conclusione che Kobanê sarebbe caduta. Tutti ne erano certi e nel frattempo noi stavamo battendo l'ISIS. E' passato un mese ed ora siamo nel secondo mese. Si tratta di una resistenza storica. Una nuova leggenda scritta con il sangue dei tanti eroi che sono caduti da martiri a Kobanê. Una leggenda che vive grazie alla resistenza dei tanti nostri amici che ora stanno combattendo al fronte. Si sono infranti i sogni e le speranze di coloro che dicevano che Kobanê sarebbe caduta. Negli ultimi 3 giorni non sono stati in grado di avanzare di un solo passo. Negli ultimi 3 giorni non stiamo più arretrando e riprendiamo terreno passo dopo passo. L'ISIS è finito. Sono stanchi. Ed indeboliti. La loro potenza è stata distrutta e la capacità operativa spezzata. Distrutte anche le forze che avevano addestrato. Non sto esagerando. In ogni strada di Kobanê ci sono i corpi dei miliziani dell'ISIS. Sotto le macerie di ogni casa distrutta c'è un miliziano dell'ISIS. Abbiamo raccolto centinaia di armi negli ultimi tre giorni. In questi 3 giorni l'ISIS è stato battuto a Kobanê. Nel primo mese abbiamo resistito e ci siamo mossi sul piano tattico. Nel secondo mese stiamo puntando a distruggere l'ISIS a Kobanê. Ora il nostro obiettivo non è solo la resistenza, ma la vittoria.

Molti dei miliziani dell'ISIS che sono stati uccisi vengono descritti come abbastanza giovani, senza barba e senza capelli lunghi. Cosa significa?

Il 70% delle loro forze d'assalto più esperte è morto. Addestrano altre forze collocate nella regione. Non possiamo sapere se ne porteranno altre dall'Iraq, dal Pakistan, dall'Afghanistan o dall'Azerbaijan. Le forze che avevano addestrato in precedenza sono diminuite. Abbiamo visto molti ragazzini nelle cui mani avevano messo dei fucili. Di recente stanno addestrando unità femminili chiamate Ketibe-i Unsa. Ora vogliono ottenere dei risultati addestrando forze che vengono da lontano. Ma gli ultimi 3 giorni sono stati decisivi per spezzare il loro morale, la loro iniziativa e per fermare la loro avanzata. L'ISIS ha capito che non sarà facile conquistare la gran parte di Kobanê. Ovviamente noi non stiamo combattendo solo nella città. Combattiamo anche fuori della città. C'è voluta una grande resistenza per giungere a questa fase. Ecco perché l'ISIS ha capito che la sua strategia di arrivare e prendere qualsiasi località in 3-4 giorni non funzionerà con Kobanê. L'area intorno a Kobanê non è come quella intorno a Mosul, in Iraq e/o in altre zone della Siria. Kobanê non è come una base militare siriana che loro possono prendere in 3 giorni. Qui non funzionano né i loro camion-bomba né altre armi. Naturalmente questa è la nostra città. Ne conosciamo ogni strada, ogni via. Noi possiamo prevedere da quale direzione arriveranno ed andiamo a colpirli. Dopo un mese di resistenza ora stiamo avanzando. Fino a ieri gli abbiamo ripreso 5-6 quartieri. Infatti sul fronte occidentale stiamo combattendo fuori della città. E sarà così passo dopo passo fino alla vittoria.

Ha parlato delle unità femminili Ketibe-i Unsa. Come si muovono e quante sono?

Sono state addestrate per i bombardamenti. Hanno dato loro da fare il fottuto lavoro sporco. Sono state addestrate anche per tenere alto il morale e fare numero. Per dire: "vedi le nostre unità femminili sono qui". Ma finora non hanno ottenuto nessun risultato col loro impiego.

Recentemente i miliziani dell'ISIS sono stati visti bombardare a caso la città con mortai ed artiglieria ed attaccare con i camion-bomba. Come si può interpretare tutto questo?

Se l'ISIS sta lanciando camion-bomba a caso ed attacca a distanza con i mortai e nel frattempo diffonde notizie del tipo "vedete siamo qui e stanno arrivando altre numerose forze" vuol dire che sono in seria difficoltà. Questo è un loro tipico modo di fare. Quando non possono fare niente, fanno ricorso a tutti i metodi. Quando diffondono notizie in cui dicono che una milizia è arrivata da Rakka, un'altra da Minbic ed un'altra da un altro posto, vuol dire che l'ISIS non sta facendo passi avanti. Poi usano questi camion-bomba come forma di guerra psicologica. Naturalmente abbiamo preso le nostre precauzioni. Tante volte ci hanno attaccato in questo modo e nessuno dei nostri compagni ha perso neanche un dito. Cercano di stare in piedi ricorrendo a questi metodi. Ma allo stato attuale l'ISIS è stato sconfitto. Non hanno raggiunto i loro obiettivi nel tempo che avevano previsto. Dovevano prendere la città in una settimana, ma è passato un mese e non l'hanno presa. Chi aveva detto:"Kobanê è caduta e cadrà" è stato smentito. Fondamentalmente sono loro che hanno perso.

Comandante Berxwedan, ieri l'ISIS ha colpito con un razzo un silos di grano della agenzia di stato turca TMO. Poi hanno sparato sulla Turchia colpi di mortaio. Che cosa significa tutto questo?

Se avessero sparato un solo colpo verso la Turchia, la Turchia avrebbe scatenato l'inferno. Le loro perdite sono in aumento. Non penso che volevano colpire scientemente la Turchia. Era solo un razzo. Una volta che l'hai lanciato non lo puoi più controllare. Con i mortai è la stessa cosa. Ma anche in questo caso, quando un territorio subisce un attacco c'è sempre una risposta. Invece la Turchia non ha fatto una piega. Mica hanno chiesto "perché mai i vostri mortai stanno colpendo il nostro territorio?" L'ISIS non avrebbe mai colpito scientemente il suo partner.

Quanta parte della città è sotto il controllo dell'ISIS? C'è preoccupazione nella popolazione civile?

Di fatto a ovest sono fuori della città. A sud sono penetrati appena nelle ultime case, una zona che non è realmente parte della città, ma che fa parte del villaggio di Memîdê e non della città. A est invece sono entrati in città. Cioè circa il 30-35% della città.

Parliamo delle incursioni aeree della coalizione contro l'ISIS. C'è qualche sorta di coordinamento tra voi e la coalizione? Quali sono gli effetti degli attacchi aerei sulla lotta contro l'ISIS?

La verità è che nei primi giorni dell'attacco alla città non c'è stato nessun aiuto. Se avessero dato il loro appoggio nei primi giorni come hanno fatto in seguito, l'ISIS non sarebbe arrivato in città. Per i primi 15-20 giorni non c'è stato nessun aiuto da parte della coalizione costituitasi per combattere l'ISIS. Ma negli ultimi 10 giorni hanno avuto un ruolo importante. Stanno svolgendo un lavoro importante in coordinamento con le YPG. Stanno operando con grande attenzione. Fino ad ora non c'è stata confusione o pasticci.

Ma non ci sono stati casi di civili e di combattenti delle YPG colpiti dagli aerei della coalizione, come sostengono alcune fonti?

Quanto sostenuto da alcune fonti televisive riguardo ad un civile ucciso ed a combattenti delle YPG colpiti, non risulta corretto. Fino ad ora nessun civile è morto a causa dei bombardamenti aerei né ci sono stati nostri combattenti colpiti. In tutti gli attacchi aerei sono stati colpiti obiettivi ISIS con grande precisione e con grande livello di coordinamento. Di fatto nelle aree controllate dall'ISIS non ci sono più abitanti e quindi nemmeno morti tra i civili. Fino ad oggi gli aerei della coalizione hanno lavorato con grande cura e possiamo dire con successo. E li ringraziamo sia per la collaborazione con noi che per la grande attenzione che hanno dimostrato. Hanno dato un grosso colpo all'ISIS e tutto questo continua.

E' dunque possibile cacciare l'ISIS da Kobanê solo con le operazioni aeree?

Fino ad un certo punto le operazioni aeree portano dei vantaggi. Loro sono stati colpiti duramente. Ma le forze che ottengono i risultati reali sono quelle di terra. Lo abbiamo detto fin dall'inizio. Se la coalizione che è stata formata contro l'ISIS vuole distruggerli occorre che fornisca armi alle forze che combattono sul terreno. E queste forze sul terreno sono le YPG e le YPJ. Occorre lavorare su questa possibilità. Dovrebbe essere possibile per noi ricevere rinforzi da fuori. Ma la Turchia non lo permette. Infatti siamo circondati. Occorre aprire un corridoio ufficiale per coloro che vogliono unirsi a noi nella lotta. Un corridoio dove possano passare armi e munizioni. Siamo noi che stiamo già combattendo. E non lo facciamo male. Ci sono anche alcuni gruppi del Libero Esercito di Siria che stanno operando con noi. Abbiamo insieme costituito il Burkan el-Firat, il centro operativo unitario. E l'ISIS ha perso 10 miliziani. Questa è una potenzialità per una forza comune di Arabi e Curdi. Ma comunque nessuno ci aiuta. Bisogna che la coalizione se ne renda conto. Non hanno fatto per noi quello che hanno fatto per i Peshmerga nel Kurdistan meridionale. Quando a sud sono iniziate le operazioni aeree, ci sono stati anche gli approvvigionamenti di armi. Per questa ragione hanno conquistato terreno. Noi continueremo a resistere con le nostre forze ma se si vuole davvero sconfiggere l'ISIS allora occorre che ci aiutino. Questa è una delle condizioni per sconfiggere l'ISIS. Bisogna aprire un corridoio. Bisogna fare pressioni sulla Turchia perché apra un corridoio ufficiale.

C'è una data in cui potrete dire di aver buttato l'ISIS fuori da Kobanê?

Non ci siamo dati nessuna data ma la vittoria è vicina. Ora siamo passati ad una nuova fase. Stiamo indebolendo l'ISIS con diversi passaggi e con tattiche che li metteranno fuori combattimento. Kobanê non è come gli altri posti. Così come loro pensano di spezzare la nostra volontà a Kobanê noi avremo invece il nostro più grande successo. Qui proclameremo la vera libertà.

E la resistenza iniziata lungo il confine nord? Quali conseguenze ha avuto la loro azione?

Quando 3-4 mesi fa iniziarono gli attacchi, il nostro popolo del Nord Kurdistan in particolare ha sopportato un grande sacrificio. Non solo hanno sostenuto il nostro morale ma ci hanno anche dato sostegno. Molti giovani del nord hanno scavalcato le recinzioni di confine per venire a Kobanê ed unirsi alla resistenza. Ed ora sono con noi. Ma più di recente l'intero popolo del nord ha dimostrato una resistenza ancora più grande. Anche le azioni nel sud e nell'est del Kurdistan ed in Europa sono stati un grande balsamo per il morale. Ci hanno fatto capire che non siamo soli. L'intero Kurdistan ha dimostrato ancora una volta di essere con noi. E questo veramente ci ha dato maggiore responsabilità. Ringraziamo tutti coloro che ci hanno dato sostegno. Ancora una volta ci inchiniamo con rispetto verso coloro che sono morti da martiri nel nord e nella Rojhilat (est) durante le azioni del nostro popolo. Li rispettiamo per essere stati dei resistenti fino al martirio a Kobanê. Li consideriamo i nostri martiri della resistenza di Kobanê. Ringraziamo chiunque ci ha sostenuto ancora una volta ed affermiamo che questa resistenza ha bisogno di proseguire. Ogni giovane del Kurdistan del nord dovrebbe partecipare alla resistenza a Kobanê. Anche i giovani di Kobanê dovrebbero ritornare in città ed assumersi le responsabilità per la loro terra. Dovrebbero fare di tutto per ritornare qui a difendere Kobanê.

Cosa aggiungere in conclusione?

Sappiano coloro i quali immaginano che noi abbandoneremo Kobanê, che noi non retrocederemo mai da Kobanê. Possa cascare il mondo e scomparire tutti noi, ma non abbandoneremo mai Kobanê. 

MILANO: COMUNICARE FA MALE


riceviamo e diffondiamo:

Comunicare fa male


Riteniamo che i comunicati non rappresentino la maniera migliore per comunicare. Anzi, li consideriamo una modalità perlopiù deleteria. Tuttavia, ci troviamo costretti a scrivere quanto segue sulla base del comunicato Affinché non s'interrompa il passaggio di testimone.

Quando siamo venuti a conoscenza di una voce secondo cui un noto collaboratore di giustizia si sarebbe presentato in una cena privata in Latteria, ne abbiamo discusso immediatamente a Radiocane e in Mandragola, consci della gravità della situazione. Già in passato questo indegno aveva cercato di approssimarsi a contesti di compagni e, pur avendolo allontanato, a Milano è stato fatto l'errore di non portare la situazione a un chiarimento definitivo.

Abbiamo perciò dedicato più assemblee tra noi per trovare il modo più efficace, qualora la voce si fosse rivelata vera, non solo affinché al suddetto delatore venisse definitivamente precluso ogni accesso alla Latteria, ma anche per ribadire a chiare lettere un principio per noi in nessuno modo negoziabile: ovvero, il fatto che personaggi di tale risma non possono e non debbono avere nessuna forma di rapporto con situazioni, luoghi o contesti di compagni.

Nell'incontro da noi chiesto con i compagni di Latteria abbiamo avuto la conferma della suddetta voce, insieme all'assicurazione del fatto che una cosa simile non si sarebbe mai più verificata. E ciò sulla base dell'assunzione e della condivisione del principio di cui sopra. La responsabilità dell'episodio è stata assunta a livello individuale da un singolo compagno, fornendo spiegazioni di carattere familiare. Venuti a conoscenza che anche la madre di questo compagno, che noi abbiamo saputo essere una collaboratrice di giustizia, ha avuto frequentazione dello spazio, ne abbiamo chiesto conto. Ci è stato risposto in maniera inequivoca che, appurata la veridicità di quanto da noi sostenuto, sarebbe stata allontanata.

Sulla base di queste risposte abbiamo deciso di muoverci affinché questo avvenisse il prima possibile e, al contempo, nella maniera più netta, consapevole e condivisa.

La nostra scelta di mantenere dei rapporti con i compagni di Latteria è stata basata sulla valutazione secondo cui per risolvere al meglio questa situazione la nostra presenza potesse essere utile e necessaria.

Inoltre ci siamo fidati dell'assicurazione avuta dai compagni sul fatto che avrebbero velocemente chiarito e approfondito le cose, il che in effetti sta accadendo, come probabilmente non è dato di sapere a chi a un certo punto ha interrotto ogni rapporto con loro. D'altra parte, se non avessimo riposto alcuna fiducia in questi compagni, non avrebbe avuto senso discutere e chieder loro conto di alcunché. Certo, con ciò ci siamo assunti una responsabilità; altri si assumeranno la responsabilità delle loro scelte. E noi ne sapremo trarre le conseguenze.

La nostra maniera di sottolineare la rilevanza del problema è stata la presenza, la discussione, la spiegazione, per aiutare i compagni ad affrontare una questione grave (e per alcuni straziante dal punto di vista personale), fornendo loro tutti gli strumenti e i contatti necessari per aggiungere ulteriori elementi di chiarezza (qualora ne avessero avuto bisogno), considerato anche il fatto che "il passaggio del testimone" per molte ragioni è stato negli ultimi anni assai debole.

Nessuno di noi prende con leggerezza o superficialità l'eventuale presenza di infami, delatori, collaboratori di giustizia in qualsivoglia situazione rivoluzionaria e in ogni luogo ove siano presenti dei compagni. Le "urgenze" nell'affrontare altri discorsi di lotta non hanno in nessun modo fatto sì che si rimandasse la risoluzione della questione a tempi indefiniti, né il nostro comportamento è mai stato inteso a minimizzarne la crucialità. Anzi, ogni nostra azione e discussione, dal momento in cui abbiamo sentito per la prima volta la voce in oggetto, è sempre stata volta a sottolineare che noi con gli infami non vogliamo avere nulla a che fare. Pertanto, diffidiamo apertamente chiunque dall'accostare i nostri nomi a figure di tal genere.

Il nostro atteggiamento è stato motivato proprio dalla determinazione di agire "affinché riprenda il passaggio del testimone", il che richiede fermezza, certo, ma anche capacità di rapportarsi con chi, per ragioni storiche, di esperienza o meramente anagrafiche, non ha avuto modo di riceverlo. È una direzione verso la quale ci muoviamo costantemente, e non solo in quest'occasione di "urgenza", come testimoniano diverse nostre attività di ricerca, di scavo e condivisione della "memoria", di riattualizzazione di elaborazioni e pratiche di lotta del passato.

Credere di poterlo fare interrompendo i rapporti, con un atteggiamento che nello specifico frangente  rischia di apparire meramente sanzionatorio-punitivo (foss'anche nella forma sospensiva), rischia di essere quantomeno paradossale.

Questi i fatti. Ai compagni e alle compagne trarre le proprie conclusioni.
Noi non ci tireremo indietro nel dare tutte le delucidazioni che eventualmente ci saranno richieste.

I compagni e le compagne di Radiocane e Mandragola.

Milano, 24 ottobre 2014


MILANO: AFFINCHE' RIPRENDA IL PASSAGGIO DI TESTIMONE

Riceviamo e diffondiamo:

Affinché riprenda il passaggio di testimone

C'è un triste lascito del conflitto rivoluzionario degli anni '70 in Italia: i danni provocati dall'abiura e dal tradimento, dalla dissociazione e dall'infamia.
Con rare eccezioni, sono problemi rimossi. Questo rimosso continua a pesare su di noi e sulle nuove generazioni. Passati gli anni, è capitato che dei collaboratori di giustizia tornassero a frequentare situazioni di movimento. Di alcuni delatori il passato è noto (anche se non per forza ai più giovani); di altri, pochi conoscono la storia (e le carte di tribunale). È mancato un passaggio di testimone, la cui assenza ha permesso agli indegni di tornare a bazzicare situazioni di movimento.
Non spetta certo solo ai più giovani risolvere il problema, ma bisogna pretendere l'affermazione e il rispetto di un principio: chi ha tradito non deve più frequentare i compagni e gli spazi liberati. Senza questo principio, memoria, fiducia e solidarietà perdono ogni significato. Non dare spazio ai traditori (non di questo o quel gruppo, ma di un'intera generazione) è un atto dovuto sia a chi non ha tradito né abiurato (alcuni/e nemmeno sotto tortura), sia all'incolumità nostra e degli altri compagni. È un atto dovuto anche verso coloro dai quali abbiamo attinto informazioni e ricordi di quell'esperienza per i nostri testi e contributi teorico/pratici.
È alla luce di queste considerazioni che scriviamo quello che segue, con molta tristezza.

Qualche anno fa, uno di questi delatori venne allontanato prima da uno spazio occupato e poi da un corteo, a Milano. Situazioni complicate umanamente, perché ad allontanarlo fu anche il figlio, che è un compagno. Fummo soddisfatti perché non vedemmo tentennamenti. La mancanza fu semmai nostra, che non partimmo da quegli episodi per affrontare con la dovuta profondità il problema.

Quando, tempo dopo, siamo venuti a sapere che il delatore aveva continuato a frequentare alcune occupazioni di volta in volta autogestite dai compagni che attualmente occupano la Latteria di Milano, abbiamo chiesto conto di quelle "voci" agli occupanti (tra questi il figlio). Ci sono state confermate in un incontro avvenuto tra noi (insieme a coloro con i quali abbiamo affrontato questa questione) e i compagni di cui sopra, ma questi ultimi hanno anche affermato che non sarebbe mai più accaduto.
Il problema è che anche la madre del compagno è una collaboratrice di giustizia, benché il figlio e i suoi compagni la credessero, fino a qualche settimana fa, "solo" una dissociata. Immaginiamo soltanto quanto devastante possa essere una tale scoperta. Ma quella donna ha beneficiato del programma riservato ai "pentiti" (legge 304/82 art. 3, comma 1).
Nell'incontro a cui facciamo riferimento è emerso anche che la donna ha frequentato altre situazioni di movimento, essendo considerata da loro una "compagna", che devono essere informate. Perché è doveroso, e perché qualcuno potrebbe chiedere conto anche a noi di non averlo fatto.
Infine, i compagni hanno affermato che qualora le loro verifiche confermassero ciò che era scritto sulle carte in nostro, e loro, possesso, avrebbero allontanato anche la delatrice.

Riteniamo che detti compagni e, in particolar modo, il figlio abbiano tutte le ragioni di voler andare ancora più a fondo (anche se a noi può bastare il "profilo" che di lei ne fa la sentenza del 1983), ma fino ad allora non intendevamo, e non intendiamo, aver alcun rapporto con loro, per una questione etica e metodologica.
A nostro avviso nulla è più urgente di chiarire una simile questione, rispetto alla quale tutte le iniziative di lotta passano in secondo piano. 
Per noi la partecipazione ad attività comuni con i compagni della Latteria non può che essere subordinata all'allontanamento definitivo dei due soggetti con una presa di posizione pubblica. Ci sembrava (e ci sembra) l'unico metodo corretto per uscire da questa brutta storia.

Sia loro, sia tutti/e noi, abbiamo avuto modo di leggere le carte che confermano la collaborazione attiva dei due soggetti in questione (vedi documento). Altre carte sono a disposizione degli interessati.

A tutt'oggi (dopo più di due settimane) questa posizione non è stata presa. Nonostante ciò, vari compagni libertari, con cui abbiamo condiviso non pochi percorsi di lotta, hanno ritenuto che si potessero organizzare iniziative future insieme con i compagni della Latteria anche in assenza (cioè in attesa, ma non è dato sapere fino a quando) di un chiarimento definitivo in merito ai due delatori, in particolare su di lei, considerato che su di lui si erano già espressi. Ci sono stati impegni e promesse per noi non adeguati alla gravità del caso. In una parola: superficialità.

Nessuna urgenza di lotta giustifica per noi dilazioni di tempo su una questione così grave. Teniamo conto del fatto che, come già detto, in alcune occasioni uno dei due delatori (conosciuto come tale) ha frequentato delle occupazioni, seppur durante cene non pubblicizzate ma partecipate anche da esterni/e. Ogni comportamento da tenere nei confronti dei compagni della Latteria doveva, secondo noi, sottolineare con forza la gravità dell'accaduto e l'urgenza di mettervi la parola fine: per noi, per i compagni stessi della Latteria e per dimostrare ai più giovani che su certe questioni non si può essere approssimativi nei modi né indeterminati nei tempi.
Tutto ciò non è accaduto. Per questo abbiamo deciso di rompere politicamente con i compagni e le compagne con i/le quali abbiamo condiviso varie iniziative e progetti.
Scelta dolorosa, ma eticamente conseguente ad una tensione rivoluzionaria che non può permettersi, secondo noi, tali leggerezze nel proprio percorso, anche a costo di camminare da soli in futuro.

Questi i fatti. Ai compagni e compagne trarre le proprie conclusioni.
Noi non ci tireremo indietro nel dare tutte le delucidazioni che eventualmente ci saranno richieste.


Antonio (ex-radiocane e Mandragola, Milano)
Paola (ex-Mandragola, Milano)

Milano, 22 ottobre 2014

8 E 9 NOVEMBRE: TERZA EDIZIONE TATTOO CONVENTION @LAB.ANARCHICO LA*ZONA (BERGAMO)


TATTOO CONVENTION 014
                                   8 e 9 novembre
Benefit Prigionier*

SABATO 8:
10.00 si inizia!
13.00 Pranzo by Trattoria Vegana
Dopo pranzo si continua a tatuare..
17.00 Chiacchierata su REPRESSIONE, CARCERE E SOLIDARIETA'
inteverrà ALFREDO MARIA BONANNO.
A seguire in via eccezionale proiezione di un videodocumento girato da Bonanno con l'aiuto di altri prigionieri nel carcere speciale di Rebibbia (Reparto grandi infezioni) nel 1997. Erano anni dove scioperi, scontri, scioperi della fame e rivolte dilagavano nelle carceri internazionali. Questo video è un rarissimo documento riguardante la pesantissima situazione vissuta dai malati di AIDS in quegli anni.
20.00 Cena made by Trattoria Vegan
A seguire DjSet..!


DOMENICA 9:
10.00 si inizia!
13.00 Pranzo made by Trattoria vegana!
Dopo pranzo si continua a tatuare..
17.00 Presentazione del libro "ANDARSENE DAL CARCERE"
Un libro di don Max Burgin, Giovanni Lentini, Michele Pontolillo e Vanessa Bevitori. Ssaranno presenti tutti gli autori tranne Giovanni Lentini ( ergastolano )
"Nessuno aveva mai osato tanto. In questi ultimi anni è aumentato esponenzialmente l'interesse intorno al pianeta carcere.
Si sono rinnovati e moltiplicati i discorsi che lo riguardano, è stato analizzato da distinti approcci epistemologici, è stato sottoposto a feroce e impietosa critica. Si è insomma prodotta una conoscenza che non è più riservata esclusivamente agli addetti ai lavori ma è accessibile a tutti. A che cosa è servito aumentare la conoscenza sul carcere? A niente se non a rinvigorire il suo statuto di legittimazione sul piano simbolico e su quello reale. Resta ancora qualcosa da fare? Niente.
E allora andiamocene dal carcere, abbandoniamolo, lasciamolo solo."
20.00 Cena made by Trattoria Vegana
A seguire Dj Set...!


PER PRENOTARSI PER I TATUAGGI SCRIVERE ALLA MAIL IL PRIMA POSSIBILE!
A BREVE MANDEREMO LA LISTA DEI TATUATORI E DELLE TATUATRICI PER SEMPLIFICARE LA SCELTA E LA PRENOTAZIONE DI CHI SI VORRA' TATUARE!

                                               @Laboratorio Anarchico LA*ZONA

via bonomelli 9, Bergamo

lab.lazona@gmail.com

24 ottobre 2014


L'ESPROPRIAZIONE!


Fin dalle epoche più remote esistevano uomini — paragonabili agli odierni pescecani — che, servendosi della forza brutale e dell’astuzia, si appropriavano del patrimonio comune.
Se si fossero limitati a ciò, sarebbe stato poco male, in quanto che i danneggiati, adottando i sistemi dei loro predoni, avrebbero potuto, forse, riconquistare i beni perduti, rivalendosi magari sugli altri.
Il vero male sorse invece allorquando detti predoni, per consolidare e aumentare i prodotti del furto, costituirono l’autorità e pretesero di dettar leggi al mondo e precisamente a coloro che erano stati da essi usurpati.
Si ebbero, in tal modo, da una parte i tiranni e dall’altra gli schiavi.
I primi proclamarono solennemente: «La proprietà è frutto del lavoro e del risparmio ed è sacra ed inviolabile». E la difesa dell’ipocrita principio della proprietà sacra e inviolabile venne affidata a tre losche figure che imperano ancora: il gendarme — sinonimo della brutalità e della ferocia —, il prete e il moralista, che personificano la menzogna.
Contro tale principio insorsero dei filosofi, che sentenziarono: «La proprietà è un furto»; ad essi fecero coro migliaia e migliaia di schiavi auspicanti alla libertà e alla eguaglianza, e che si divisero in scuole e partiti con a capo dei pastori, i quali vanno ripetendo — fino ad addormentare il pubblico per la noia che arrecano — i loro discorsi sui diritti e doveri dei lavoratori, sull’umanitarismo, sull’altruismo, sulla giustizia, sulla solidarietà, sulla fratellanza, sull’eguaglianza, sulla libertà, ecc., ecc., e, come se dovessero costruire un edificio, tracciano il disegno della società futura, fra gli sguardi inebetiti dei poveri e il sorriso ironico dei ricchi.
Codesti discorsi sentimentali sono delle geremiadi, che sembra vogliano convincere i proprietari a rinunciare ai loro beni a vantaggio dell’umanità derelitta. Ma i ricchi sono sordi, non si commuovono e, sopratutto, sono forti, perché dispongono dei gendarmi, dei preti, dei moralisti e dei social riformisti più o meno verniciati di rivoluzionarismo; anzi i ricchi, vedendo che il popolo si contenta di fare dei piagnistei e che si lascia abbindolare dai cattivi pastori, diventano sempre più spavaldi ed aggressivi, e, come se non bastasse loro la violenza delle autorità regie o repubblicane, assoldano delle bande armate per la difesa dei loro capitali.
A me i discorsi piacciono assai poco e tanto meno quelli sentimentali e rettorici; a me non importa sapere se la proprietà sia il prodotto del lavoro o del furto; non faccio considerazioni sul diritto e sulla giustizia, né mi preme di suscitare sentimenti di umanità. Io so che debbo vivere la mia vita più agiatamente e più liberamente che mi è possibile, e cerco ai procurarmi i mezzi all’uopo necessari.
«Il diritto alla vita non si mendica, ma si prende», per cui io dico ai miei compagni: viviamo più anarchicamente che possiamo, senza attendere il ritardatario sol dell’avvenire, che per noi anarchici avrà sempre raggi poco salutari.
La società ci considera giustamente nemici, perciò non cerchiamo nessuna via di riconciliazione, rifiutiamo i mezzi di lotta che essa ci offre — mezzi per le lotte politiche e sindacali — e scegliamo da noi i nostri mezzi, e siano questi adeguati al difficile compito che ci proponiamo, superiori a quelli adottati dal nostro nemico. Accettiamo la sfida e combattiamo senza tregua né quartiere, per conseguire la vittoria subito e non nell’anno duemila.
La forza si abbatte con la forza, la violenza con la violenza, la proprietà con l’espropriazione.
Io do all’espropriazione individuale la massima importanza rivoluzionaria, il più alto significato sovvertitore. Essa significa: ribellione pratica ed efficace contro il sistema di sfruttamento perpetrato dagli oziosi e dai gaudenti a danno dei lavoratori; conquista del diritto alla vita, alla gioia e alla libertà, poiché la società calpesta soltanto i poveri; vendetta contro i detentori della proprietà e contro le istituzioni sociali. Anzi il moltiplicarsi delle espropriazioni individuali costituisce una vera e profonda disgregazione sociale; e il rivoluzionarismo e l’anarchismo — oggi più che mai, di fronte alla tracotanza del partito socialista che pretende d’imporre la sua dittatura — non hanno ragione di essere e di manifestarsi se non come tendenze essenzialmente anti-sociali.
La rivoluzione, per demolire i presenti e futuri organismi di oppressione e di sfruttamento, non si compie a date fisse sulle barricate, bensì si esplica ogni ora, ogni momento nei molteplici assalti contro la società, per opera degli individui spregiudicati e ribelli.
È necessario rovesciare e distruggere tutti i princìpi che sorreggono la società così detta civile; e l’espropriazione dei singoli, mentre da un lato avvelena l’esistenza dei ricchi, che si sentono soffocare sotto il peso delle ricchezze in pericolo, dall’altro mina dalle fondamenta l’edificio sociale e morale.
L’espropriazione individuale sistematica dei ribelli e dei forti, la violazione irriverente dei princìpi dominanti — religiosi, autoritari e morali —, la profanazione iconoclastica di tutto ciò che è ritenuto sacro e inviolabile, costituiscono il fondamento della critica rivoluzionaria ed anarchica, la ragione di essere dell’anarchismo antisocialista.
Per cui noi, essendo anarchici, insorgiamo contro la crociata degli umanitaristi a buon mercato, degli altruisti bottegai, che con impiastri pretendono di guarire la putredine sociale.
Coloro che approvano la rivoluzione e l’espropriazione collettiva — di là da venire — e ripudiano l’espropriazione individuale, anziché dei rivoluzionari sono sacrestani della monarchia. Parlino essi di riformismo — magari antiparlamentare — ma non di rivoluzione e tanto meno di anarchismo.
L’esempio d’azione di Giulio Bonnot — per citare un solo nome — vale, per me, assai più di tutte le predicazioni rivoluzionarie degli anarchici socialisti.
Di ciò convinto, io mi rivolgo, non al gregge che non vuol comprendermi, ma agli uomini dotati di forte volontà, e dico loro: in attesa dell’Apocalisse, compiamo la nostra rivoluzione espropriatrice, per conseguire il nostro benessere e la nostra libertà.
Erinne Vivani

[Nichilismo, anno I, n. 11 dal 10 al 25 settembre 1920] 

MILANO: AFFINCHE' RIPRENDA IL PASSAGGIO DI TESTIMONE

da Informa-azione.info

Riceviamo e diffondiamo:


Affinché riprenda il passaggio di testimone

C'è un triste lascito del conflitto rivoluzionario degli anni '70 in Italia: i danni provocati dall'abiura e dal tradimento, dalla dissociazione e dall'infamia.
Con rare eccezioni, sono problemi rimossi. Questo rimosso continua a pesare su di noi e sulle nuove generazioni. Passati gli anni, è capitato che dei collaboratori di giustizia tornassero a frequentare situazioni di movimento. Di alcuni delatori il passato è noto (anche se non per forza ai più giovani); di altri, pochi conoscono la storia (e le carte di tribunale). È mancato un passaggio di testimone, la cui assenza ha permesso agli indegni di tornare a bazzicare situazioni di movimento.
Non spetta certo solo ai più giovani risolvere il problema, ma bisogna pretendere l'affermazione e il rispetto di un principio: chi ha tradito non deve più frequentare i compagni e gli spazi liberati. Senza questo principio, memoria, fiducia e solidarietà perdono ogni significato. Non dare spazio ai traditori (non di questo o quel gruppo, ma di un'intera generazione) è un atto dovuto sia a chi non ha tradito né abiurato (alcuni/e nemmeno sotto tortura), sia all'incolumità nostra e degli altri compagni. È un atto dovuto anche verso coloro dai quali abbiamo attinto informazioni e ricordi di quell'esperienza per i nostri testi e contributi teorico/pratici.
È alla luce di queste considerazioni che scriviamo quello che segue, con molta tristezza.

Qualche anno fa, uno di questi delatori venne allontanato prima da uno spazio occupato e poi da un corteo, a Milano. Situazioni complicate umanamente, perché ad allontanarlo fu anche il figlio, che è un compagno. Fummo soddisfatti perché non vedemmo tentennamenti. La mancanza fu semmai nostra, che non partimmo da quegli episodi per affrontare con la dovuta profondità il problema.

Quando, tempo dopo, siamo venuti a sapere che il delatore aveva continuato a frequentare alcune occupazioni di volta in volta autogestite dai compagni che attualmente occupano la Latteria di Milano, abbiamo chiesto conto di quelle "voci" agli occupanti (tra questi il figlio). Ci sono state confermate in un incontro avvenuto tra noi (insieme a coloro con i quali abbiamo affrontato questa questione) e i compagni di cui sopra, ma questi ultimi hanno anche affermato che non sarebbe mai più accaduto.
Il problema è che anche la madre del compagno è una collaboratrice di giustizia, benché il figlio e i suoi compagni la credessero, fino a qualche settimana fa, "solo" una dissociata. Immaginiamo soltanto quanto devastante possa essere una tale scoperta. Ma quella donna ha beneficiato del programma riservato ai "pentiti" (legge 304/82 art. 3, comma 1).
Nell'incontro a cui facciamo riferimento è emerso anche che la donna ha frequentato altre situazioni di movimento, essendo considerata da loro una "compagna", che devono essere informate. Perché è doveroso, e perché qualcuno potrebbe chiedere conto anche a noi di non averlo fatto.
Infine, i compagni hanno affermato che qualora le loro verifiche confermassero ciò che era scritto sulle carte in nostro, e loro, possesso, avrebbero allontanato anche la delatrice.

Riteniamo che detti compagni e, in particolar modo, il figlio abbiano tutte le ragioni di voler andare ancora più a fondo (anche se a noi può bastare il "profilo" che di lei ne fa la sentenza del 1983), ma fino ad allora non intendevamo, e non intendiamo, aver alcun rapporto con loro, per una questione etica e metodologica.
A nostro avviso nulla è più urgente di chiarire una simile questione, rispetto alla quale tutte le iniziative di lotta passano in secondo piano. 
Per noi la partecipazione ad attività comuni con i compagni della Latteria non può che essere subordinata all'allontanamento definitivo dei due soggetti con una presa di posizione pubblica. Ci sembrava (e ci sembra) l'unico metodo corretto per uscire da questa brutta storia.

Sia loro, sia tutti/e noi, abbiamo avuto modo di leggere le carte che confermano la collaborazione attiva dei due soggetti in questione (vedi documento). Altre carte sono a disposizione degli interessati.

A tutt'oggi (dopo più di due settimane) questa posizione non è stata presa. Nonostante ciò, vari compagni libertari, con cui abbiamo condiviso non pochi percorsi di lotta, hanno ritenuto che si potessero organizzare iniziative future insieme con i compagni della Latteria anche in assenza (cioè in attesa, ma non è dato sapere fino a quando) di un chiarimento definitivo in merito ai due delatori, in particolare su di lei, considerato che su di lui si erano già espressi. Ci sono stati impegni e promesse per noi non adeguati alla gravità del caso. In una parola: superficialità.

Nessuna urgenza di lotta giustifica per noi dilazioni di tempo su una questione così grave. Teniamo conto del fatto che, come già detto, in alcune occasioni uno dei due delatori (conosciuto come tale) ha frequentato delle occupazioni, seppur durante cene non pubblicizzate ma partecipate anche da esterni/e. Ogni comportamento da tenere nei confronti dei compagni della Latteria doveva, secondo noi, sottolineare con forza la gravità dell'accaduto e l'urgenza di mettervi la parola fine: per noi, per i compagni stessi della Latteria e per dimostrare ai più giovani che su certe questioni non si può essere approssimativi nei modi né indeterminati nei tempi.
Tutto ciò non è accaduto. Per questo abbiamo deciso di rompere politicamente con i compagni e le compagne con i/le quali abbiamo condiviso varie iniziative e progetti.
Scelta dolorosa, ma eticamente conseguente ad una tensione rivoluzionaria che non può permettersi, secondo noi, tali leggerezze nel proprio percorso, anche a costo di camminare da soli in futuro.

Questi i fatti. Ai compagni e compagne trarre le proprie conclusioni.
Noi non ci tireremo indietro nel dare tutte le delucidazioni che eventualmente ci saranno richieste.


Antonio (ex-radiocane e Mandragola, Milano)
Paola (ex-Mandragola, Milano)

Milano, 22 ottobre 2014

20 ottobre 2014

NESSUNA PACE PER CHI VIVE IN GUERRA



riceviamo e diffondiamo:


Oggi 16 ottobre 2014, a Rovereto, si è svolto il processo di primo grado ad un compagno, autore di un articolo apparso nel maggio del 2012 sul n.15 del giornale anarchico “Invece”. L'articolo riguarda un libro scritto da Pierpaolo Sinconi, capitano dei carabinieri. Egli ha partecipato alle missioni di guerra in Bosnia Erzegovina, Kosovo ed Iraq. Ha insegnato presso centri di formazione per il peacekeeping in Africa, America, Asia ed Europa. Fa parte del gruppo di esperti in peacekeeping e peacebuilding dei paesi del “G8”. E dal 2006 insegna Diritto Internazionale e Diritto Internazionale Umanitario presso il Centro di Eccellenza per le Stability Police Units di Vicenza. 
Il reato contestato è “istigazione alla violenza”.
Nonostante l'articolo fosse firmato, i Ros di Roma e Trento hanno svolto indagini per individuare chi fosse l'autore, da lì le perquisizioni nel settembre 2013.
Al processo l'accusa ha portato come testimoni il capo dell'Anticrimine dei Ros di Trento, un ufficiale dei Ros di Roma e il capitano Sinconi.
Le loro argomentazioni riguardo l'istigazione erano fondate sulla ideologia del compagno autore dello scritto, sul ruolo del giornale “Invece” a livello nazionale ed internazionale, sulla storia degli anarchici in Trentino, le loro pratiche e i vari lavori di documentazione fatti per portare avanti le lotte. 
In particolare l'accusa ha insistito molto sul lavoro su Finmeccanica fatto dai compagni,  “Una piovra artificiale. Finmeccanica a Rovereto”. Questo opuscolo è stato messo in relazione al ferimento dell'AD Roberto Adinolfi avvenuto a Genova nel 2012, insistendo sulla consequenzialità tra il pensiero e l'azione degli anarchici.
Il PM De Angelis ha chiesto 2 anni e 8 mesi. Il giudice ha condannato il compagno a 1 anno 3 mesi.
Ci saranno aggiornamenti quando verrà fissata la data del processo d'appello

Anarchiche ed anarchici di Rovereto e Trento


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Dichiarazione del compagno:


NESSUNA PACE PER CHI VIVE DI GUERRA

La guerra! Ti rendi conto di ciò che significa? Conosci parole più terribili di questa? Non ti porta alla mente immagini di massacri e carneficine, di assassinio, di saccheggio e di distruzione? Non ti sembra di udire le scoppio del cannone, le grida lamentose dei morenti e dei feriti? Non ti par di vedere il campo di battaglia punteggiato di cadaveri? 
1929
Alexander Berkman


Fin da quando ero bambino ho vissuto con la guerra negli occhi, i carri armati sul confine vicino a casa mia a causa della guerra in Jugoslavia nel 1991, gli aerei che partivano da Aviano per andare in Afghanistan passando sopra la mia testa, la mia famiglia che negli anni '50 dovette andarsene dall'Istria per una guerra voluta dai fascisti e da chi voleva nuovi confini e nuovo Potere. 
Crescere vedendo ogni sera in televisione gli orrori perpetrati da uomini e donne che si prestano ad uccidere per conto di altri uomini e donne che non hanno scrupoli a commettere i peggiori delitti per i loro interessi.
Leggere a quattordici anni i testi di Giulio Bedeschi, Mario Rigoni Stern, Primo Levi, parole che avevano cominciato a incrinare la mia visione del mondo. Quando scoppiò la guerra in Afghanistan nel 2001 mi sentii impotente, capii che era necessario fare una svolta per fermare tutta quella violenza.
Alla fine è stata l'idea anarchica a farmi capire che si può fare sempre qualcosa contro la guerra e contro tutte le ingiustizie di questo mondo, e che per fermarle non bastano le buone intenzioni ma servono anche azioni concrete, perché chi vuole la guerra difenderà sempre i suoi interessi con la violenza, la propaganda, l'offuscamento del pensiero libero e “della parola”.
Il 28 ottobre del 2010 fui arrestato a Trento durante un'azione che voleva segnalare la responsabilità di quei carabinieri che erano stati invitati dal prof. Toniatti, insegnante di Giurisprudenza di Trento, e dall'ELSA, a parlare delle cosiddette “Missioni di Pace”. È da tempo che lo Stato italiano definisce le sue missioni di guerra con la parola pace. Ci dicono che ci stanno proteggendo per il nostro bene, quando io vedo milioni di persone in fuga dalle loro bombe e da quegli uomini mercenari finanziati e armati per gli interessi dell'industria bellica e per i loro interessi geopolitici. 
Il Capitano dei carabinieri Pierpaolo Sinconi quel giorno mi arrestò incredulo che qualcuno avesse toccato il suo vestito e che io, anche dopo essere stato ammanettato e malmenato, davanti a tutti gli urlassi “assassini”. Così ho deciso di scoprire che mestiere facesse veramente. Lui non è un semplice carabiniere perché non lavora in una caserma qualunque, lavora alla caserma Chinotto di Vicenza nel centro del COESPU. In questo centro vengono insegnate tecniche contro-insurrezionali alle polizie dei paesi in cui la guerra viene perpetrata dagli Stati occidentali. Questo centro, come altri, è stato creato perché lo Stato, qualunque Stato, ha paura che la gente stanca della guerra, delle menzogne e dello sfruttamento si ribelli, e peggio ancora che prenda coscienza del fatto che senza Stato si può vivere liberi.
Il signor Sinconi è responsabile del perpetuarsi della guerra nel mondo; nell'articolo uscito sul giornale anarchico “Invece” nel maggio 2012 ho ribadito questa sua responsabilità, che avrà per sempre, che è lui che bombarda e massacra anche se indirettamente, è lui che tramite i tribunali internazionali dell'ONU trova la giustificazione giuridica alla violenza degli Stati.
Io penso che la lotta fatta da chi vuole liberarsi da tutti i mali del mondo è unicamente una legittima difesa anche se d'attacco, perché di fronte alla guerra, massimo grado di violenza dello Stato dell'industria bellica e di tutti quelli che ci collaborano, non si può restare più indifferenti.
Anche la Provincia di Trento e la sua università, hanno delle gravi responsabilità sulla continuazione della guerra oggi, soprattutto grazie alla collaborazione con lo stato d'Israele massacratore del popolo palestinese.
Queste sono le stesse istituzioni che volevano la base militare a Mattarello contro cui noi anarchici abbiamo lottato, perché siamo contro la guerra e tutto ciò che la fomenta, idee queste che ci sono valse l'accusa di “terrorismo” dalla Procura di Trento tramite l'operazione “Ixodidae”.
Sempre queste istituzioni vogliono il TAV anche in Trentino, che distruggerebbe così la terra, nonostante sappiano che in Val di Susa c'è una ampia parte della popolazione che sta già lottando contro di esso, in uno stato di militarizzazione dei luoghi in cui vivono.
Ribadisco che i terroristi sono gli industriali bellici, quelli che utilizzano le proprie mani ed ingegno nella costruzione degli armamenti e delle nuove tecnologie, coloro che quelle armi le utilizzeranno contro altri uomini e donne per gli interessi di Stato e delle multinazionali, quelli che la guerra la giustificano tramite la filosofia, la religione, la giurisprudenza. 
Voglio portare qui la mia vicinanza a quei ragazzi e ragazze israeliani che quest'estate hanno rifiutato di combattere contro il popolo Palestinese, a quelle donne che in Ucraina hanno bloccato le strade per il fronte e hanno bruciato gli uffici dove c'erano le liste di arruolamento dei loro figli, padri e compagni con lo slogan “Né con la Russia né con l'Ucraina, per la Rivoluzione Sociale”, ad Ilya Romanov, anarchico rinchiuso in prigione in Russia per aver cercato di distruggere un ufficio di reclutamento nella città russa di Nižnij Novgorod rimanendone ferito.

Abbasso la guerra!
Viva la lotta per la libertà!
16/10/2014
Rovereto
Luca Dolce detto Stecco


RADIOCANE: KURDISTAN, MON AMOUR

riceviamo e diffondiamo:

Mentre prosegue la resistenza di Kobane, cerchiamo di fare il punto sulle forze in campo con Daniele, un compagno che ha dedicato molte analisi sulla questione del Kurdistan. Ne emerge un quadro preciso dell’esperienza del “confederalismo democratico” quale aspetto più interessante della resistenza in atto nei territori curdi.

http://www.radiocane.info/kobane/

ANCORA IN CARCERE..

da Macerie

Oggi è stato rigettato il ricorso presentato da Andrea, Fabio e Paolo per ottenere la scarcerazione o gli arresti domiciliari. I tre compagni restano quindi ancora in carcere. Vi ricordiamo gli indirizzi per scrivere a loro e agli altri arrestati del 3 giugno ancora in prigione:
Andrea Ventrella C.C. “La Dozza” Via del Gomito, 2 - 40127 Bologna;
Paolo Milan  C.C. Località Les Iles, 14 - 11020 Brissogne (Aosta);
Michele Garau C.C. strada delle Novate, 65 - 29122 Piacenza;
Fabio Milan C.C. Via del Rollone, 19 - 13100 Vercelli;
Niccolò Blasi C.C. San Michele strada Casale, 50/A - 15121 Alessandria;
Claudio Alberto e Chiara Zenobi C.C. “Lorusso e Cotugno” via Maria Adelaide Aglietta, 35 - 10151 Torino.

AGGIORNAMENTO SUL CASO DI COSTA, SILVIA E BILLY


riceviamo e diffondiamo:

L’Italia incrimina Silvia Costa Billy una seconda volta per i fatti svizzeri
In un precedente comunicato di aggiornamento avevamo scritto della definitiva chiusura del nostro caso in Svizzera dove la rincorsa ai ricorsi sulle macchinazioni da parte dei vari apparati di sicurezza statali italiani e confederati elvetici non avevano portato a nulla, se non che in tema di repressione la collaborazione poliziesca è sempre forte, soprattutto se i soggetti di interesse sono degli oppositori alla loro democrazia di oppressione.
Fin dal momento del nostro arresto in Svizzera con l’accusa di voler attaccare con esplosivo il nuovo centro di ricerche, allora in costruzione, di IBM e del Politecnico di Zurigo fiore all’occhiello per la ricerca nanotecnologica a livello mondiale, l’Italia ha fatto partire un’inchiesta in stretta collaborazione con la polizia elvetica volta a dimostrare l’esistenza di un’organizzazione sovversiva con finalità di terrorismo sul suolo italiano e ramificata anche in Svizzera.
Di fatto, con copione già noto, questo ha portato negli anni della nostra carcerazione ad una intensa attività spionistica in primis contro la rete di solidali che nel mentre si era creata e poi verso gli ambienti ecologisti radicali più attivi nelle varie battaglie fuori per seguire il nostro caso e per far uscire questioni come quella delle nanotecnologie che si sarebbero volute silenziate o ridotte ad un’unica voce, meglio se quella dei suoi promotori.
La Procura di Torino non contenta a quanto pare dell’esito svizzero che ci ha visto condannati per il fatto specifico e assolti per l’importazione di materiale esplodente e non contenta di non aver trovato alcuna organizzazione in Italia e neanche altrove, ha recentemente chiuso l’indagine tutta concentrata al 270 bis (associazione sovversiva con finalità di terrorismo) e ha chiesto invece il rinvio a giudizio per tutti e tre con le seguenti accuse: “art.110, 280 c.p. … perchè in concorso tra loro, a nome dell’ELF-Earth Liberation Front, movimento ispirato all’ecologismo radicale, per finalità di terrorismo, compivano atti diretti a danneggiare cose mobili o immobili altrui, mediante l’uso di dispositivi esplosivi o comunque micidiali”, art.110, 81,61 c.p. … perché in concorso tra loro, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso… illegalmente detenevano e portavano in luogo pubblico, trasferendo dalla Valchiusella a Bergamo e quindi in Svizzera il seguente materiale esplosivo atto all’impiego… art.110, 648 c.p. … perché in concorso tra loro… conoscendone la provenienza delittuosa, ricevevano da soggetti rimasti ignoti il materiale per ordigni esplosivi… prevento di sottrazione illecita ai danni di una delle imprese rimasta non identificata che, autorizzata all’utilizzo di esplosivi.” Tutte le accuse contengono l’aggravante della finalità di terrorismo.
Come parte civile offesa avremo pensato di trovarci di fronte i tecno-nazi di IBM e invece la Svizzera si presenta con la sua eccellenza nella ricerca: l’Istituto Politecnico di Zurigo da sempre impegnato in ricerche nocive di cui le nanotecnologie sono solo la punta dell’iceberg.
In attesa che venga fissata a breve l’udienza preliminare che ci vede passare dalla posizione di indagati a quella di imputati ribadiamo la necessità di mobilitarci e costruire un’opposizione a queste frontiere delle tecno scienze che usano il mondo come l’allargamento del loro laboratorio.
In vista del processo ci troviamo a sostenere numerose spese legali, chiediamo a tutte e tutti supporto con iniziative benefit e donazioni al conto corrente postale intestato a Marta Cattaneo codice Iban: IT11A0760111100001022596116, specificare la causale: solidarietà a Silvia Billy Costa
Per contatti: info@resistenzealnanomondo.org
resistenzealnanomondo.orgsilviabillycostaliberi.noblogs.org