30 giugno 2014

COMUNICATO DI GIANLUCA DAL CARCERE DALL'AS2 DI ALESSANDRIA


Cari compagn*,
torno a farmi sentire per una noiosa puntualizzazione dovuta a una spiacevole e superficiale iniziativa di anonimi “compagn*” che hanno dovuto, con la fretta di chi è “liber*”, diffondere un comunicato in cui si dice che il sottoscritto avrebbe nominato un nuovo avvocato di fiducia, notizia completamente falsa.
Posso comprendere qualunque pasticcio burocratico o insopportabile formalità errata, diatribe o schizofreniche “anomalie” della società civile, discussioni – di cui non me ne frega niente – ma sarebbe stato il caso che fossi stato contattato per dei chiarimenti, prima di mistificare la realtà dei fatti e buttare lì una notiziola (senza fondamento) dell’ultima ora così, tanto per scrivere e senza calcolare la confusione che si è concatenata.
Sono sempre qui – purtroppo – a disposizione se mi si vuole chiedere qualcosa, non mi pare di essere mai stato repulsivo o mi sia negato. Capisco che non ci si renda conto di cosa voglia dire star  chiusi 24h su 24 in queste sezioni asettiche su misura, in balia degli sbalzi di umore – meglio per voi -.
Ogni avvenimento viene accentuato in maniera esponenziale dall’eco dell’isolamento, in maniera incontrollata e sono esposto agli eventi, perfino i più banali.
Io non posso, come là fuori, fare una semplice telefonata o passare da qualcuno per dirgli ciò che ho da dire, passano giorni prima che una mia parola arrivi a qualcuno, se arriva.
Non si può capire, lo so, ma bisogna fare attenzione perché ogni ulteriore stress, oltre a quelli che già mi affliggono, non mi fa per niente piacere.
Non voglio inquisire nessuno ma questa volta sono stato fin troppo buono, la prossima no.

Gianluca
20 giugno 2014
C.R San Michele

per scrivergli:
Gianluca Iacovacci
Via Casale 50/A
15122 San Michele (AL)


ARRESTI DEL 3 GIUGNO: RIESAME

Il Tribunale del Riesame ha in buona parte confermato le misure cautelari emesse dal GIP il 3 giugno scorso.
Escono dal carcere, ma per andare agli arresti domiciliari, Beppe, Daniele, Francesco, Marianna e Nicolò .
Confermata la misura per tre delle quattro persone che già si trovavano ai domiciliari.
Rimangono in carcere Andrea, Fabio, Michele, Paolo, Toshi, Chiara, Claudio e Niccolò.
Per scrivere a tutti loro:

Andrea Ventrella C.C. Via Port’aurea, 57 - 48121 Ravenna;
Paolo Milan e Toshiyuki Hosokawa C.C. Località Les Iles, 14 - 11020 Brissogne (Aosta);
Michele Garau C.C. Strada Quarto Inferiore, 266 - 14030, località Quarto d’Asti, Asti;
Fabio Milan C.C. Via del Rollone, 19 - 13100 Vercelli;
Niccolò Blasi C.C. San Michele strada Casale, 50/A - 15121 Alessandria;
Zenobi Chiare Alberto Claudio C.C. Via Maria Adelaide Aglietta, 35 - 10151, Torino.
macerie @ Giugno 26, 2014

BARRICATE DI FUOCO IN SOLIDARIETA' AI/LLE PRIGIONIERX IN LOTTA


da Contra Info
Nei prossimi giorni lo Stato tenterà di approvare una legge per attuare nuove condizioni speciali di detenzione, le prigioni di tipo C.
Questo disegno di legge contiene una serie di riforme volte a rafforzare il controllo e la repressione sui prigionieri “pericolosi”.
La lotta contro l’imposizione di nuove condizioni di vita è iniziata, sia dentro che fuori le mura.
Da lunedì 23 giugno migliaia di prigionieri in diverse carceri greche hanno iniziato uno sciopero della fame di massa, chiedendo l’abolizione di questo nuovo disegno di legge.
Questa lotta si porta avanti, come dovrebbe, attraverso azioni di solidarietà multiforme.
Questo momento storico non deve trovarci impreparati, ma convinti e pronti alla lotta sia contro questo disegno di legge, in particolare, sia anche contro le condizioni di reclusione e di repressione che  finora abbiamo tollerato. Noi ci poniamo contro lo Stato e il Capitale, affianco dei prigionieri in lotta.
Come parte di questa lotta, mercoledì 25 giugno, durante la notte, due gruppi di compagni si sono incamminati coordinatamente per le strade di Olympiados e Grigoriou Lampraki, per innalzare barricate e bloccare il traffico, versando benzina su dei pneumatici e contenitori e dando loro fuoco.
Ci vediamo per le strade, fino alla completa distruzione delle carceri.

Solidarietà con i prigionieri in lotta.

PRIGIONIERI/E IN LOTTA ANNUNCIANO LO SCIOPERO DELLA FAME DI MASSA


ANNUNCIO DI SCIOPERO DELLA FAME
Dal 18 giugno 2014 tutti i prigionieri in Grecia hanno fatto lo sciopero del carrello in segno di protesta contro il disegno di legge fascista sulle carceri di tipo C) e in difesa del diritto al permesso temporaneo e alla concessione di libertà condizionale.
Tuttavia, il ministro di Giustizia e il governo insistono a ignorare la nostra protesta. Non hanno risposto assolutamente alle nostre giuste richieste e in modo provocatorio tendono ad approvare il disegno di legge nella sessione parlamentare estiva, per tentare di impedire la reazione popolare.
Contro questo disegno di legge che ci condanna a rimanere prigionieri per sempre senza diritti o speranza poniamo i nostri corpi e spiriti come scudi. Questo è la sola cosa che ci è rimasta.
Da lunedì 3 giugno 2014 inizieremo uno sciopero della fame di massa in tutte le prigioni della Grecia. Rivendichiamo i nostri diritti e lottiamo per restare degli individui, invece di fantasmi umani rinchiusi e dimenticati nella disperazione.
Chiediamo:
1. Il ritiro del disegno di legge fascista sulle carceri di tipo C). Siamo contro la Grecia ‘Guantanamo’, “prigione nella prigione” senza la concessione di permessi temporanei, visite, senza domani…
2. Permessi e libertà condizionale devono essere un diritto innegabile per tutti i prigionieri. La Grecia è l’unico paese in cui il detenuto è sottoposto a processi e punizioni ogni giorno. Mentre la legge prevede che a chiunque abbia scontato 1/5 e 3/5 della sua pena (donne e uomini rispettivamente) siano concessi giorni di permesso d’uscita dalla prigione e libertà provvisoria, i prigionieri sono invece costretti a subire sempre più la santa inquisizione dei persecutori del carcere che respingono le richieste una dopo l’altra senza ragione o per azioni disciplinari pendenti. Questo è il modo con cui creano prigionieri disperati e riproducono la criminalità.
3. Sia applicata l’equità di fronte alla legge per tutti. I prigionieri detenuti per droga secondo la vecchia legge 3459/2006 (perché la polizia ha assicurato che rappresentano affermati trafficanti, invece di tossicodipendenti) devono avere il diritto a un nuovo processo, conformemente alla nuova legge e alle sue clausole beneficiarie per i tossicodipendenti (4139/2013).
4. Sia attuato il diritto alle visite coniugali. In prigione si è privati della propria libertà. Ma nelle prigioni greche ti privano persino del piacere della comunicazione sociale e del contatto diretto con i propri cari. In tutte le prigioni dei paesi europei sono permesse le visite coniugali, solo in Grecia al detenuto viene negato il diritto alla comunicazione umana.
5. Infine, ora parliamo della continua prigionia di chi subisce la deportazione. Centinaia d’immigrati sono detenute per le burocrazie delle ambasciate, anche quelli che hanno scontato l’intera pena. Chiediamo il loro immediato rilascio.
Chiediamo che il ministro di Giustizia affronti questi problemi riguardanti le prigioni e ritiri immediatamente il disegno fascista per la ‘Guantanamo’ greca nel carcere di Domokos.
Il ministro di Giustizia sarà considerato responsabile per ogni giorno di sciopero della fame e per ogni prigioniero la cui vita è in pericolo.
NOI, PRIGIONIERI IN SCIOPERO DELLA FAME VINCEREMO
LOTTA – DIGNITÀ – SOLIDARIETÀ
Comitato di lotta dei prigionieri
(22 giugno 2014)
Momenti, di rivolta. Rio De Janeiro.

25 giugno 2014

AFFARI IN GIOCO - RIFLESSIONI SULLA MASSIFICAZIONE SPORTIVA E DEL SUO RUOLO SOCIALE

Più che mai lo sport contraddistingue il nostro spazio e il nostro tempo. Malgrado le centinaia di milioni di tesserati sul pianeta, i miliardi di telespettatori, la sua importanza nel commercio mondiale, le sue complicità politico-finanziarie ed il suo potere egemonico sul corpo, lo sport viene presentato come un innocuo e piacevole passatempo. Ma se ci si intendesse una volta per tutte sul significato di questo termine, se si smettesse di confondere una partita fra amici che corrono dietro a una palla con una finale di Coppa del Mondo, o una corsa fra i campi con una finale olimpica dei 100 metri, la questione dello sport non apparirebbe più così innocente e risibile. Lo sport non è un gioco, né un’attività fisica. Religione dei tempi moderni, i suoi valori sono indiscutibili e le sue pratiche universali. Nato con il capitalismo, ne difende l’ideologia e i principi. Regno del corpo e del pensiero unico, lo sport riflette e diffonde una visione del mondo. E poiché l’intelligenza tende a diventare pigra al cospetto del consenso, è il caso di porsi alcuni interrogativi. Perché mai lo sport occupa un posto così considerevole nella nostra società? Come spiegarsi che tanti poveri si identifichino con atleti che guadagnano in pochi mesi quello che loro non guadagneranno in tutta la vita? Perché le diseguaglianze, le menzogne e la corruzione tanto condannate altrove vengono tollerate in ambito sportivo? Perché questo «fatto sociale totale» resta impensato?
Con occhi ingenui o interessati, lo sport viene visto per lo più come un universo incantato e incantevole di pratiche che mirano al superamento di sé, dei propri limiti, che nulla ha a che vedere con progetti politici, programmi economici o fedi religiose. Lo sport è considerato fondamentalmente neutro, apolitico, al di sopra di ogni conflitto sociale. Questa pretesa neutralità nega il ruolo dello sport nell’impresa di abbrutimento, indottrinamento e cloroformizzazione di massa, e si manifesta essenzialmente in due modi. Il primo consiste nel sostenere che lo sport, se organizzato in maniera “progressista”, può contribuire al miglioramento del mondo: all’emancipazione delle donne, alla lotta contro la tirannia, all’integrazione razziale, nonché alla promozione della “cultura”. Ci sarebbe quindi uno sport vero, educativo, puro, dal volto umano, insomma un’essenza o idea platonica dello sport in aperta contraddizione con i deprecabili eccessi, gli abusi, le degenerazioni dello sport che conosciamo. Ma la brutale realtà dell’affarismo, del doping, dei risultati truccati e della corruzione avrebbe dovuto già fare piazza pulita di simili illusioni.
L’altro modo per sostenere la neutralità dello sport, ancor più diffuso, trae spunto dall’unanimità del suo consenso. Considerato il prolungamento professionale di pratiche dilettantistiche diffuse ovunque, lo sport è talmente popolare da risultare intoccabile e da consigliare agli eventuali critici un cauto silenzio. Il gregarismo, la massificazione, la mobilitazione totale — se non totalitaria — delle folle che le favolose imprese degli idoli degli stadi mandano in delirio, confermano in effetti l’universalismo dell’ideale sportivo, ma in quale maniera? Nelle estasi nazionali che affollano la piazza in caso di vittoria, gli amici dello sport riconoscono la manifestazione di una unione sacra rigeneratrice. I campioni diventano quindi l’avanguardia di una società riconciliata con se stessa. Come ebbe a dire il capitano di una nazionale campione del mondo, «il calcio è un mezzo che permette di cancellare le differenze razziali, sociali o politiche». Ma la civile concordia auspicata da questa affermazione, per altro indicativa del potere anestetizzante dello sport, risulta puntualmente smentita dalle violenze che sempre più spesso accompagnano gli incontri. Sebbene queste violenze siano presentate come tragici «incidenti» causati da qualche balordo, si tratta in realtà dell’ovvia conseguenza del trionfo della logica competitiva — della vittoria ad ogni costo — che prevale nello sport come in ogni ambito della società.
Da molti anni siamo costretti a subire l’inflazione dello spettacolo sportivo su tutti i canali di comunicazione. I campioni dello sport sono sul punto di sostituire le stelle della canzone e del cinema sul podio delle icone moderne. I tiracalci a palloni di cuoio fanno parte delle personalità predilette dal pubblico, sono diventati i modelli pubblicitari da imitare, quelli con cui i giovani devono identificarsi. Eppure, durante le loro innumerevoli ed insopportabili interviste, essi appaiono altrettanto vuoti dei loro omologhi della musica o del piccolo e grande schermo. Il loro successo deriva soltanto dall’enfasi di cui lo sport gode nell’universo mediatico. La loro immagine viene costruita, uniformata e diffusa: stesso linguaggio demenziale, stessi hotel di lusso, stessa passione per la automobili di grossa cilindrata, stesse relazioni sentimentali con soubrette dello spettacolo, stesse droghe, stesso interesse per i conti bancari. Arruolati da squadre in mano a potenti interessi finanziari, questi pochi eletti passano il tempo a incontrarsi in giro per il globo, dando spettacolo di fronte a una immensa platea di diseredati e oppressi ridotti ad essere telespettatori fanatici, mere macchine da applausi. Gli atleti sono trasformati in uomini-sandwich, i loro attrezzi da lavoro e i loro corpi vengono ricoperti di pubblicità e durante le interviste non mancano di esibire i marchi degli sponsor e un adeguato sorriso promozionale. Lo stesso vale per i luoghi dove avvengono le competizioni sportive, spazi traboccanti di annunci pubblicitari posizionati ad uso delle telecamere. Si tratta di fare audience e di vendere con ogni mezzo. 
Gli sport-spettacoli dominanti vengono declinati in tutte le forme fino allo sfinimento, mentre si avvicendano altri mercati sportivi. Non esiste ormai più alcuna interruzione, ogni stagione ha il suo “avvenimento” sportivo (quando non diversi contemporaneamente) in un’autentica frenesia competitiva.
I giochi circensi degli antichi romani erano innocenti bambinate a confronto delle odierne manifestazioni sportive. Ma com’è possibile che uno spettacolo così idiota e cretinizzante appassioni miliardi di persone? È stato detto che la sua potenza si fonda sulla moltiplicazione infinita delle immagini, mediata solo da banali commentari. Questa teletrasmissione permanente, offerta in tutte le salse (in diretta, in differita, alla moviola, da più angolazioni) trasforma la passione sportiva in passione dell’immagine («l’iconomania» di cui scriveva Günther Anders). La contaminazione generale delle coscienze deriva da questo martellamento continuo. Infatti il tifo sportivo (all’origine della parola “tifosi”) è un’autentica pandemia che ha trasformato ogni individuo in un potenziale sostenitore. Al punto che per molte persone lo sport è diventato un bisogno essenziale, lo spazio-tempo quasi esclusivo delle folle solitarie che abitano il mondo moderno. Insomma, i tifosi delle competizioni sportive sono del tutto permeabili alle tecniche di manipolazione mentale del mercato. Consumano beatamente tutto ciò che viene loro chiesto di consumare e ne domandano ancora, al di là di ogni più rosea speranza. 
D’altronde trovano nello sport un ottimo fattore di socializzazione e di calore umano, con un terreno comune per sfogare il proprio bisogno relazionale. Poco importa che i loro argomenti di conversazione siano patetici e i loro slanci collettivi da stadio ridicoli. Sono comunque contenti di stare insieme e di vibrare per la medesima “causa”. Ciò li conforta un poco dall’atomizzazione fredda e implacabile dell’abitudinaria vita quotidiana. Gli spettacoli sportivi ricreano una comunione nel bel mezzo degli odierni rapporti terra terra, perciò i tifosi sono felici di urlare all’unisono negli stadi, in una sorta di corale virile. All’uscita possono raccontarsi le partite e fare pronostici sul prossimo incontro. Il chiacchiericcio sociale, questo intralcio permanente al pensiero, viene continuamente alimentato dai commenti sportivi. È facile rilevare l’effetto gregario di tutto ciò. Dato che la maggioranza delle persone si entusiasma davanti allo sport, quelli che temono di sentirsi esclusi seguono la tendenza collettiva, anche se non ne sono attratti allo stesso modo. Avrebbero paura di perdere il calore del gregge, qualora ignorassero gli ultimi risultati. 
Non ci si pone troppe domande, ci si comporta come fanno tutti. Come si fa sempre.
L’idolatria sportiva può diventare una forma di affermazione identitaria (più o meno violenta). Le mentalità sanguinarie comuni ai pre-umani trovano qui un accettabile surrogato della guerra. Gli scontri a colpi d’ascia o di bazooka vengono sostituiti dalle scazzottate fra tifosi di squadre avversarie, che talvolta finiscono con feriti e anche morti. Gli stadi diventano campi di battaglia dove non a caso si odono le medesime urla eccitate (nel corso degli ultimi mondiali di calcio, un commentatore sportivo affermò che l’Italia aveva «annichilito» gli avversari, ripetendo l’espressione usata poche settimane prima dai cecchini italiani in Iraq per indicare l’eliminazione degli insorti). Sebbene altri sport, a differenza del calcio, scatenino meno gli istinti bellicosi — almeno qui in Italia —, ciò non toglie che la mentalità di fondo sia la medesima. Le competizioni sportive sono occasioni per dimostrazioni virili esacerbate, dove comuni spettatori hanno l’illusione di esistere attraverso colpi di mano e l’adesione a qualche gruppo. Onore insperato, possono addirittura arrivare anche loro in televisione!
Un’altra forma di identificazione è quella che spinge il tifoso ad “attribuirsi” le vittorie della sua squadra o del suo beniamino. Un misterioso transfert di energia passa dal campione ai suoi tifosi. Tipico il caso del tifoso che, sparapanzato nella sua poltrona, imbottito di birra, esulta davanti allo schermo televisivo: «abbiamo vinto!». Coi suoi incoraggiamenti verbali a distanza, ha persino l’impressione di aver contribuito alla vittoria, di aver egli stesso segnato dei punti. Lui che per lo più si spacca la schiena per un salario da fame, diventa il cortigiano di persone diventate ricche e celebri solo grazie alla sua creduloneria volontaria. Invece di provare disprezzo per le stelle dello sport e di ignorarle fino a farle scomparire nel buco nero dell’oblio, si getta ai loro piedi elemosinando un autografo. Adora pensare alla notorietà e alla fortuna degli altri, a cui orgogliosamente ritiene di contribuire col proprio sostegno. È più facile vivere delle “imprese” degli altri che fare da sé degli sforzi, nello sport o altrove. Il tifoso più accanito non vive che attraverso la sua squadra o il suo campione preferito, rinunciando ad una personalità originale per annegare nell’ebbrezza allucinatoria sportiva. È il perfetto esempio del piccolo uomo descritto da Wilhelm Reich, qualcuno che «dissimula la sua piccolezza e ristrettezza mediante grandezza e forza illusorie, grandezza e forza altrui». Quando si ha già il pane, i giochi sono il complemento indispensabile per dimenticare la propria condizione di docili schiavi. A volte, fra i più poveri, lo sport riesce a far dimenticare anche la mancanza di pane. Lo spettacolo diventa cibo.
Un’altra delle ragioni del successo dello sport è rintracciabile nella mitologia della sua purezza. Ci troviamo in un’epoca sempre più oscura, nonostante le dichiarazioni di continuo progresso, in cui dovunque dilagano conflitti d’interesse, compromessi e trame più o meno occulte; il solo ideale diffuso è quello del massimo arricchimento. Nel mondo della dittatura dell’economia, le “imprese sportive” appaiono come antidoti, boccate d’aria purificatrice. Si fanno indossare allo sport indumenti iridescenti e gli si attribuiscono tutte le virtù. Esso incarnerebbe la cavalleria, il rispetto dell’avversario, la fine delle ostilità (la famosa tregua olimpica), la fratellanza e la solidarietà internazionale, la festa della gioventù… tutte cose assenti nella vita reale. Ci vengono narrate eroiche vittorie sugli elementi contrari e sui limiti fisiologici. Gli atleti diventano eroi, saggi, icone, statue d’oro, santi da venerare senza riserva e di cui bisogna seguire l’esempio. Nell’entusiasmo ci si scorda semplicemente che i loro candidi mantelli sono ricoperti di pubblicità e che lo sport è la fedele immagine della società, vale a dire è completamente marcio (basterebbe pensare al pugilato — la «nobile arte» —, al suo ambiente particolarmente corrotto, ai 400 pugili morti sul ring dal 1945). Non appena entrano in gioco la minima somma di denaro o il più infimo onore, si scatena l’avidità. Truffe, doping, sfruttamento, disparità uomo/donna e paesi ricchi/poveri, spirito di odio e di conquista… le turpitudini sono le medesime che si trovano dappertutto nel mondo della merce e del potere. Fin dal 1894, e per più di trent’anni, lo stesso de Coubertin aveva definito il denaro «il grande corruttore, l’eterno nemico», denunciando la «fabbricazione del purosangue umano» e l’avvento dei «meticci dello sport, giornalisti in cerca di copie, medici in cerca di clienti, ambiziosi in cerca di elettori, fannulloni in cerca di distrazioni, gente di ogni risma in cerca di notorietà». Il barone era sì reazionario ma, a modo suo, preveggente. Il suo difetto è di aver creduto possibile costruire una «società umana» sul culto del più forte, sulla concorrenza generalizzata e la competizione permanente, sull’apologia della virilità, sulla reificazione dei corpi, sulla cloroformizzazione delle coscienze, sui deliri patriottardi.
Allo stadio come altrove, la funzione essenziale dello spettacolo sportivo è la manipolazione delle emozioni di massa. È attraverso il gioco delle identificazioni collettive e della contemplazione passiva che opera questo “oppio del popolo”. Lo sport consola, pacifica, fa volatilizzare ogni conflitto sociale e di classe. Ecco perché, oltre ad essere una inesauribile fonte di guadagno, è anche un potente strumento di controllo e di pacificazione sociale. Durante le competizioni, infatti, si dimenticano la miseria della propria esistenza e le drammatiche condizioni in cui versa il mondo. Senza il minimo sforzo, i flussi di immagini e di commenti sportivi imbottiscono il cervello e dispensano dal riflettere sulle cause e i possibili rimedi delle questioni sociali che ci affliggono. Hitler e i suoi emuli hanno sempre compreso la potenza del fascino dello sport, e se ne sono serviti per ipnotizzare, unire e galvanizzare le folle. 
Nonostante nel 1892 de Coubertin sostenesse che «il giorno in cui (lo sport) verrà introdotto nei costumi della vecchia Europa, la causa della pace avrà ricevuto un nuovo e potente sostegno», il XX secolo verrà ricordato per essere stato il secolo del male e dell’indifferenza. Non solo lo sport non ha limitato la tirannia, ma anzi ne è sempre stato il complice. A confermare questo aberrante successo sportivo è lo stesso de Coubertin che, in occasione delle Olimpiadi berlinesi del 1936, ebbe a dichiarare che i Giochi «sono stati esattamente quel che volevo che fossero… A Berlino si è vibrato per una idea che non dobbiamo giudicare, ma che fu lo stimolo passionale che io cerco di continuo. D’altronde la parte tecnica è stata organizzata con tutta la cura desiderabile e non si può rimproverare ai tedeschi alcuna slealtà sportiva. In queste condizioni, come volete che ripudi la celebrazione della XI Olimpiade? Dato che anche questa glorificazione del regime nazista è stato lo choc emotivo che ha permesso l’immenso sviluppo che ha conosciuto». I regimi democratici contemporanei seguono il modello totalitario, riproducendolo in maniera molto più estesa e sofisticata. 
E che lo sport sia un potente strumento di pacificazione sociale non l’hanno capito solo i politici, ma anche gli industriali. Non avendo i grandi manager più nulla da dimostrare nel mondo degli affari, vale la pena chiedersi cosa li spinga ad investire in squadre la cui redditività rimane alquanto dubbia. Sebbene gli sponsor vengano presentati come uno strumento recente del mercato sportivo, la storia dei club sportivi mostra il contrario. Quante squadre di calcio sono controllate da industriali? Il caso della Juventus è esemplare. Così come Peugeot controlla il FC Sochaux dal 1925, Philips controlla il PSV Eindhoven e Bayer il Bayer Leverkusen dal 1904, la Fiat possiede dal 1923 la squadra bianconera di Torino. Passatempo? Opera sociale? 
In tempi in cui il concetto di «cultura d’impresa» non era ancora sorto mentre erano diffuse forti tensioni sociali, il padronato ha subito colto l’interesse implicito nello sport e le sue potenzialità. L’obiettivo è duplice: tenere occupati i lavoratori durante il tempo libero e assicurar loro una migliore identificazione con l’impresa attraverso un sistema di valori e di comportamenti, uno spirito di squadra e di competizione che renda più efficiente lo sfruttamento. Il successo finanziario passa anche per la soddisfazione dei salariati, facendoli sentire fieri di appartenere a una impresa «vincente», sul campo come in economia.
 
[Machete, n. 3, novembre 2008]

GRECIA: CONTRO LE STRATEGIE DI DIFFERENZIAZIONE DEI CIRCUITI DETENTIVI

Riceviamo e diffondiamo due documenti sulla lotta in corso contro la riforma del sistema penitenziario in Grecia. Il primo è un documento dell'assemblea aperta contro il carcere speciale, il secondo è un contributo di alcuni compagni anarchici detenuti nella sezione D di Koridallos.
La legge sarà votata nella settimana che va dal 30/06 al 05/07. Da lunedì 23/06 i prigionieri di varie carceri greche faranno uno sciopero della fame (si parla di circa 2.500 detenuti).
Intanto fuori ci sono state varie azioni di controinformazione e varie ce ne saranno nelle prossime settimane. Per sabato 28/06 è previsto un corteo ad Atene e forse in altre città.

Seguiranno aggiornamenti


Documento della Rete dei prigionieri in lotta

Il 17 marzo è stata data per la consultazione pubblica una nuova legge che ristruttura il sistema carcerario che mira a rendere le nostre condizioni di vita peggiori di quanto non siano già ora. Con questo nuovo disegno di legge verrebbe anche allungato il periodo di detenzione di prigionieri sono considerati pericolosi e bloccherebbe anche la loro possibilità di avere dei permessi giornalieri.
Il nuovo modello prevede 3 tipi di detenzione a seconda della sentenza e della natura del reato ma anche del comportamento che si ha in carcere.
Alle sezioni di primo tipo (A) saranno destinati coloro che sono accusati di reati finanziari e coloro che sono accusati di furto senza l'uso della violenza.
Detenuti nel terzo tipo (C) saranno quelli detenuti o condannati per partecipazione a un'organizzazione terroristica (legge 187A) e quelli
detenuti per rapina appartenenti ad un'organizzazione criminale (legge 187).
nelle sezioni di tipo (C) saranno trasferiti coloro che sono condannati all'ergastolo per omicidio e quelli con pene detentive per ammutinamento in carcere, evasione, possesso di arma da taglio e violenza contro le guardie.
Tutto il resto dei prigionieri verrà messo nelle sezioni di tipo B.
Prigionieri di Tipo (C) non avranno accesso al lavoro carcerario e non potranno uscire dal regime di tipo (C) se non dopo 10 anni o 4 anni di fila nel caso in cui fossero stati relegati alle sezioni di tipo C per motivi disciplinari.
Dopo la scadenza di questo periodo di tempo, un pubblico ministero deciderà se un prigioniero è pronto a lasciare il carcere ogni due anni anche dopo la fine della suo/sua pena.
Inoltre, saranno limitati permessi di visita, posta elettronica e telefonate.
Forze speciali addestrate delle forze di polizia saranno responsabili della guardia esterna, del controllo dei visitatori e per reprimere le mobilitazioni della prigione.
I regolamenti interni delle prigioni di tipo C sono ancora sconosciuti, ma di sicuro le condizioni saranno più dure, ad esempio c'è la possibilità di restare chiusi in cella finoa 23 ore. Questo nuovo disegno di legge permetterebbe quindi di seppellire vivi non solo coloro che hanno pesanti condanne, ma anche coloro che hanno il
coraggio di rivoltarsi contro la barbarie del carcere.
Ognuno sarebbe in pericolo di essere trasferito sia dall'inizio della propria detenzione sia durante la sua durata.
L'unico modo per non essere sepolti vivi è quello di resistere con forza in questo momento.
La nostra passività che ci ha fatto tollerare per tanto tempo il restare chiusi nelle celle, i permessi di visita negati, il filo spinato che nasconde il cielo, l'umiliazione, le torture e le morti di questi buchi di merda "correzionali" dovrebbe dare spazio alla forza e all'azione.
L'insurrezione è la risposta di ogni essere umano che non si lascia sottomettere anche dopo anni di confino e che insiste a guardare il cielo senza filo spinato sul tetto e che vuole respirare l'aria della libertà mista al fumo delle carceri bruciate.
Questo testo è solo un invito ad iniziare un nuovo percorso di resistenza e di lotta come quelle del passato che hanno raggiunto conquiste e che sono spesso chiamati "benefici" dalle guardie a mo' d'insulto.
Non esistono "benefici" concessi da coloro che hanno scuoiato i nostri sogni perché tutto è stato ottenuto con il sangue delle rivolte e gli scioperi della fame.

SE NON ORA QUANDO?
SE NON NOI CHI?
FUOCO ALLE GALERE

Rete dei prigionieri in lotta



CONTRO LE CARCERI DI ALTA SICUREZZA

Immediatamente dopo il re-impasto del governo e la chiusura scandalosa delle sedute parlamentari, lo staff politico del capitale locale e internazionale ha dato massima priorità alla votazione, durante le sedute estive, di un disegno di legge per la creazione di carceri di alta sicurezza. Il disegno di legge è stato discusso il 17 giugno.  Questo disegno di legge propone la creazione di tre tipi di sezioni con un aumento proporzionale del livello repressivo. I prigionieri detenuti
accusati di reati finanziari verranno relegati nelle sezioni “più tranquille” chiamate sezioni di tipi A. la maggior parte dei prigionieri verrà detenuta in terribili condizioni nelle sezioni di tipi B. Contemporaneamente verranno create le sezioni di tipo C per prigionieri ritenuti “speciali e socialmente pericolosi”.
Il bersaglio di questa legge sono gli anarchici ed i comunisti detenuti per le loro azioni politiche e i prigionieri non sottomessi, ovvero quelli che non smettono di lottare contro la dura realtà del carcere ed infine i detenuti per crimini organizzati.
I detenuti nelle sezioni C vivrebbero quindi un “carcere nel carcere”: abolizione totale dei permessi di uscita e dell'acquisizione del permesso di lavoro che ridurrebbero la durata della pena, l'inasprimento assoluto delle condizioni di rilascio (minimo 10 anni nelle sezioni di tipo C) e la creazione di sistemi di controllo
panoptico sono solo alcune delle caratteristiche principali del disegno di legge. Un'ulteriore strumento di oppressione concesso ai direttori delle carceri è l'uso di forze speciali di polizia nel controllo interno e l'uso “elastico” delle armi da fuoco.
Allo stesso tempo verrebbero concesse premialità e incentivi per eventuali delatori e collaboratori. Lo scopo di tutto questo è la repressione dei gruppi politici armati, la creazione di un soggetto colpevole e la prevenzione di un'eventuale osmosi tra prigionieri politicamente consapevoli ed i comuni.
La ristrutturazione del sistema penitenziario non è un'iniziativa isolata dello Stato greco, ma si iscrive perfettamente nei dettami dell'Unione Europea. Nel contesto della ristrutturazione generale del capitale e delle relazioni sociali, la ristrutturazione del sistema carcerario non è altro che un'altra parte dello "stato moderno di emergenza". In un momento di profonda crisi sociale ed economica, la repressione è una scelta centrale del sistema nel tentativo di disciplinare la società e di difendere gli interessi insanguinati della classe dominante. Il termine “nemico interno” è sempre più usato. Nel delirio securitario, non solo chi si oppone con le armi al capitalismo ma anche chiunque lotta e si batte contro il monopolio statale della violenza è considerato un “sabotatore del sistema economico”.
Considerando le condizioni di detenzione speciali per coloro "dentro le mura" e le condizioni di sopravvivenza speciali per coloro "fuori le mura", le lotte dentro e fuori dal carcere sono indissolubilmente legate. Coloro che sono imprigionati a causa della loro azione politica e i prigionieri che lottano, sono il primo obiettivo di questo attacco perché hanno lottato e sono ancora in lotta per il rovesciamento totale della brutalità moderna. La nostra solidarietà con le lotte dei detenuti è un momento della guerra sociale e di classe per una società ridotta all'immobilismo.

I prigionieri, in risposta diretta ai piani dello Stato, stanno organizzando diverse azioni, a partire da tre giorno di rifiuto del carrello dal 18 al 20 giugno e con altre azioni di maggiore intensità.
CORTEO SABATO 28/06 ORE 12 MONASTIRAKI
Assemblea aperta di anarchici ed antiautoritari contro il carcere di alta sicurezza


23 giugno 2014

HERMAN Y ALFONSO A LA CALLE!



riceviamo e ne pubblichiamo la traduzione:
“Un abbraccio caloroso e fraterno a tutti i compagni che mantengono vivo il ricordo del nostro fratello Angry e solidarizzano con noi, che corrono i propri rischi per moltiplicare la propaganda con il fatto. Un abbraccio stretto per ciascuno di voi, qui in Cile o in Argentina, Turchia, Germania, Indonesia e in ogni angolo più lontano o più vicino. I vostri gesti alimentano il fuoco che abbiamo dentro di noi. I nostri cuori sono con voi. “
(Parole di Alfonso e Hermes dal modulo di Massima Sicurezza, poche settimane prima della scarcerazione)

Questo Venerdì 13 giugno con la difesa di Hermes e Alfonso, incaricata della difesa popolare, nella 1 ° Corte di Garanzia di Santiago si è svolto il processo con rito abbreviato per i compagni che sono stati condannati a cinque anni di carcere e quindi con il massimo della pena, ma con il beneficio della libertà vigilata intensiva. I compagni hanno accettato le accuse di detenzione illegale di arma da fuoco e rapina a mano armata. La nostra profonda gratitudine va al team di difesa popolare per il lavoro svolto.
Vogliamo diffondere e condividere la gioia che ci ha provocato vedere i nostri fratelli tornare liberi e ringraziamo tutti i compagni che i compagni di tutto il mondo che hanno espresso solidarietà e il sostegno che sono parole vive. In particolare vogliamo ringraziare i nostri compagni che hanno contribuito alla diffusione e a far conoscere la loro situazione carceraria con vari mezzi, ai compagni che ci hanno prestato uno spazio radiale per comunicare e rompere l’isolamento, la Biblioteca La Hiedra che è servito come centro di raccolta , ai compagni che portavano i loro contributi e le loro lettere che ogni settimana venivano messe nei pacchi.
In ogni caso, ringraziamo tutti i compagni ed i fratelli che con le loro azioni di qualsiasi tipo hanno solidarizzato attivamente contro la loro prigionia, incrementando l’idea di distruggere lo sfruttamento e la dominazione, costruendo nel presente un mondo senza autorità.
Infine in questi sei mesi di carcere, Alfonso ed Hermes, sono stati accompagnati dal sapore triste e amaro della lotta, il dolore della morte che cadde su tutti noi. Angry, la tua assenza fisica è irreparabile, ma la memoria combattiva ti tiene presente nella lotta contro l’autorità. Ricordarsi di te è compito di ogni compagno nel mondo se lo senta e lo voglia. A te, a Mauri, a Jonny e a tutti i compagni caduti vi ricorderemo attraverso gesti e atti disposti a distruggere questo ordine di sfruttamento.
Distruggiamo il circo mediatico che giustifica la vendetta del potere:
Solidarietà attiva con i compagni Freddy Fuentevilla, Marcelo Villarroel e Juan Aliste.
Le maledette celle imprigionano i loro corpi, ma non il loro spirito irriducibile e nemico della dominazione: Sol Farias Vergara, Carlos Gutierrez Quiduleo, Hans Niemeyer, Alejandro Astorga Rene Sanhueza, Jorge Mateluna, Francisco Solar, Monica Caballero, Nicolas Olivares e a tutti i prigionieri della guerra sociale. Presenti!
SEBASTIAN “ANGRY” OVERSLUIJ SEGUELVIVE IN OGNI CUORE CHE SI BATTE PER LA LIBERTA’!

AGGIORNAMENTI SU GABRIEL POMBO DA SILVA


riceviamo e diffondiamo questo testo di aggiornamento su Gabriel Pombo Da Silva, tradotto dal castigliano:

Il 13 Giugno 2012, dopo diverse operazioni contro altri compagni, lo Stato italiano lancia un'ondata repressiva contro decine di anarchici. L'inchiesta denominata Ardire portò a 40 perquisizioni, 24 imputati e 8 carcerazioni. Questa volta la magistratura ha cercato di dare una dimensione più ampia, accusando inoltre compagni già incarcerati in diversi paesi europei, tra cui Grecia, Svizzera e Germania. Come accade abitualmente lo Stato pretende di vedere la sua faccia autoritaria nel sorriso dei suoi irriducibili nemici, costruendo ad esempio ruoli di capi, di esecutori e di coordinatori all'interno dell'ennesima “associazione terrorista” laddove ci sono affinità, corrispondenze con i prigionieri, lotte e volontà di combattere.
E' in questo modo che Gabriel Pombo Da Silva e Marco Camenisch, incarcerati da molti anni, si ritrovano in questa inchiesta, nello specifico in seguito allo sciopero della fame internazionale del dicembre del 2009. Loro vengono individuati come “simboli e punti di riferimento di un nuovo progetto sovversivo” e tratatti come “gli ideologhi e i propulsori”.
Dopo 20 anni passati nelle gabbie spagnole (14 dei quali in regime FIES) da cui riesce a fuggire, Gabriel viene arrestato nel 2004 dopo un controllo e  una sparatoria con la polizia tedesca. Gabriel sconterà altri 9 anni di carcere in Germania. Viene estradato in Spagna il 25 febbraio 2013 in base all'Euroorden (Mandato di arresto europeo) emanato da questo Paese dieci anni prima per fargli scontare la fine della pena rimasta in sospesa. Due mesi dopo l'arrivo in Spagna Gabriel viene citato di fronte all'Audienza Nacional per notificargli un Mandato di arresto europeo (MAE) emesso contro di lui dall'Italia in riferimento all'inchiesta Ardire! Gabriel ovviamente ha respinto la richiesta di essere volontariamente inviato in Italia e dal momento che non ha rinunciato al cosiddetto “principio di specialità” come lo chiamano nei loro feroci codici, la giustizia anti-terrorista spagnola nel gennaio 2014 ha richiesto al suo omologo tedesco l'autorizzazione a consegnare Gabriel all'Italia.
Il 17 gennaio 2014, nel corso delle indagini relative all'operazione Ardire condotta dalla procura di Perugia, il PM Comodi finalmente ha richiesto l'archiviazione per quanto riguarda l'accusa di “associazione sovversiva”, mentre  il troncone principale dell'inchiesta nel frattempo è passato alla procura di Milano l'8 aprile vengono revocate tutte le misure restrittive (obblighi di firma, obbligo di dimora, divieto di espatrio) che gravavano ancora su alcuni compagni. Dopo un circo che a qualcuno è costato un anno di vita e per qualcun'altro anche di più, lo stesso tribunale il 18 aprile ha revocato il MAE contro Gabriel.
Tutte queste peripezie del terrorismo dello Stato europeo e dei suoi lacchè in toga non devono farci dimenticare  che Gabriel continua ad essere sottoposto al regime FIES da quando è stato trasferito nel carcere di A Lama (Galizia) nell'agosto dello scorso anno. La sua corrispondenza è continuamente sottoposta ai capricci dei carcerieri (tanto quella di uscita quanto quella in entrata), le attività che potrebbe svolgere sono ristrette con assoluta arbitrarierà, il carcere stesso è famoso per l'elevato numero di “morti improvvise”...appena trovato morto secondo il loro gergo osceno. Per finire, per quanto riguarda la richiesta di sapere  la data in cui Gabriel finirà di scontare la condanna, la giustizia e l'amministrazione penitenziaria continuano a giocare con i propri metodi meschini di torturare a fuoco lento cambiando regolarmente i loro calcoli carnefici. Per il momento il fine pena è stato fissato al...2023.
In realtà tutte queste misure sono un avvertimento lanciato contro tutti coloro che si ribellano. Si tratta allo stesso tempo di un accanimento particolare contro uno dei nostri compagni*1 (“ogni volta più pericoloso” come loro dicono, di un anarchico che ha passato 29 anni dietro le sbarre e non si è fatto piegare) ma anche un castigo troppo banale contro coloro che non si sottomettono. Perchè le teste devono essere abbassate, le bocche imbavagliate e gli occhi chiusi, dentro come fuori. A meno che...

Abbasso tutti gli Stati, la reclusione, la polizia e i tribunali.
Libertà per tutte e tutti!

Anarchici solidali
18 maggio 2014

Per scivergli, anche se lui non può rispondere, è preferibile farlo tramite raccomandata per evitare che le lettere finiscano per perdersi (testi, opuscoli e libri non entrano tramite posta):

Gabriel Pombo Da Silva
CP A-Lama (Pontevedra)
Monte Racelo s/n 36830 A-Lama (Pontevedra)

* Arrestati lo scorso novembre due altri compagni, Monica e Francisco, sono imprigionati e anche sottoposti a regime FIES. Trasferito tre volte in sei mesi Francisco è ancora in isolamento.

NICOLO IN SCIOPERO DELLA FAME


Apprendiamo che martedì 17 giugno, Nicolò, detenuto in seguito all'operazione del 3 giugno contro le realtà conflittuali torinesi, ha scelto come forma di ammutinamento di non rientrare dall'ora d'aria. I secondini lo hanno riportato di peso in cella e l’ispettore lo ha minacciato di fargli “rapporto” così, da mercoledì, Nicolò ha iniziato lo sciopero della fame rivendicando la volontà di essere trasferito al di fuori di questo isolamento de facto.

da informa-azione.info

19 giugno 2014

SPAGNA: CONDANNATO COMPAGNO PER ATTACCO ESPLOSIVO


Il 13 Settembre 2011 un ordigno, composto da due bombole di gas da campeggio e benzina, esplode nella sede del consiglio comunale di Tetuan, Madrid-Spagna, il fuoco viene spento da un poliziotto che era nell’edificio. L’azione fu rivendicata da “Tierra Selvaje” , e fu parte di una serie di attacchi.
Il giorno dopo, la polizia arrestò il compagno Jose Lopez Mendez con l’accusa di reato per terrorismo, e rinchiuso per due mesi e mezzo in carcere sotto il macabro regime FIES. Inizialmente gli venivano imputati più di 30 attacchi, ma alla fine è rimasto solo quello nel consiglio comunale; José viene scarcerato ma con un processo da fare all’Audiencia Nacional (tribunale speciale per reati di terrorismo).
Nel aprile 2014 è iniziato il processo contro Jose, dove l’accusa ha chiesto 3 anni di reclusione, ma il compagno ha ammesso i fatti ottenendo una riduzione della pena a 2 anni senza detenzione, ma accusato per la legge anti-terrorismo.
Solidarietà con tutti i compagni in carcere!
Francisco, Monica e Gabriel: Liberi!

FUOCO E FIAMMA V.1


Riceviamo e diffondiamo la newsletter dei compagni di Amburgo riguardante l'iniziativa svoltasi da loro l'8 maggio sulla repressione in italia, modalità e approfondimenti sulle ultime operazioni repressive, aggiornamenti e dibattiti su arresti e solidarietà anti carceraria.

Fuoco e Fiamma v.1





LETTERE DI NICO E FRANCESCO ARRESTATI IL 3 GIUGNO

da informa-azione.info
Riportiamo due lettere dal carcere di Nicolò e Francesco, rispettivamente detenuti a Torino e a Cuneo dopo l'operazione repressiva del 3 giugno:

Lettera di Nico dalla sezione D del carcere delle Vallette


Domenica 15 Giugno 2014, carcere delle Vallette, Torino.


Mi chiamo Nicolò Angelino. Sono stato arrestato martedì 3 giugno a Torino durante un’operazione di polizia mirata a stroncare la più bella avventura della mia vita.

Vana illusione della procura.

Da quel giorno sono chiuso in una cella singola del blocco D. Pulita, ritinteggiata e profumata. Da voltastomaco. Il blindo è aperto ma il cancelletto è chiuso 23 ore al giorno. Si apre e si richiude solamente quando vado a fare la mia ora d’aria.

Parlare con gli altri detenuti attraverso le sbarre è avvincente e malgrado siano molto simpatici il disagio è visibile da entrambe le parti. Qui al piano non ho complici e non ho la speranza di trovarli. Alcuni sono in isolamento sotto terapia 24 ore su 24, gli altri, quelli che vedo, sono lavoranti. Hanno il massimo dei privilegi che una Amministrazione Penitenziaria puo’ offrire e non si metteranno in gioco per me.

 I capi di imputazione per cui sono sottoposto a misure cautelari sono così lievi che parlano da soli: sono detenuto e sottoposto a un regime para-speciale per le mie idee, per isolarmi, rendermi inoffensivo e impedirmi di lottare.

Domani lunedì 16 giugno non rientrerò volontariamente dall’aria per pretendere che la mia cella sia aperta durante il giorno o che io sia trasferito in una sezione comune. Lo stesso succederà per i due giorni successivi. Se durante questa protesta sarò punito con l’isolamento o la privazione dell’aria oppure non otterò il risultato sperato mercoledì 18 inizierò lo sciopero della fame. Non perché le mie condizioni detentive siano disumane, contrarie a qualche convenzione di diritti umani o perché il mio trattamento è un abuso dell’amministrazione penitenziaria ma perché semplicemente a me non va.

Non ho più voglia di chiedere ad un secondino se posso avere della frutta. La voglio prendere da solo, quando mi va, come fanno gli altri. Voglio parlare con gli altri detenuti senza delle sbarre di mezzo.

So che lo strumento dello sciopero della fame non mi porta su un terreno di lotta esaltante. Però in questo isolamento, assenza di complici e strapotere delle guardie, è l’unico strumento che può ribaltare il rapporto di forza con i miei portachiavi.

Lotterò a testa alta e sicuro del vostro calore, con la stessa rabbia e la stessa serenità chi in altri tempi e in altri luoghi si è lanciato verso oceani in tempesta ben più grandi della tinozza  in cui mi trovo.

Comunque vada questa poca acqua finirà nello stesso mare e poco importa se otterrò o meno quello che voglio.

Solo lottando voglio vivere.

Un caloroso abbraccio a tutti prigionieri

Tutti liberi

Fuoco alle galere

Nicolò Angelino
C.C.Via Maria Adelaide Aglietta, 35 - 10151, Torino


Lettera di Francesco dal carcere di Cuneo

10/6/2014,
Cuneo.


Sono 27 gli episodi incriminati, attraverso cui le autorità, il 3 giugno scorso, hanno spiccato 17 arresti, 12 in carcere e 5 ai domiciliari, 4 obblighi di dimora e 4 divieti di dimora da Torino e 4 obblighi di firma. Sotto inchiesta è finita la lotta contro gli sfratti, sviluppatasi nelle strade di Porta Palazzo, Aurora e Barriera di Milano a Torino.

Il racconto che emerge nelle pagine contenenti gli appunti degli imbrattacarte di Questura, Procura e tribunale non è certo molto avvincente e non riesce neanche lontanamente a descrivere i contorni di questa lotta. Sarebbe del resto stolto attendersi qualcosa di diverso da questi grigi scribacchini.

Spulciando però tra le 200 e rotte pagine dell’ordinanza di custodia cautelare, si scopre che anche un uomo di tribunale può scrivere qualcosa degno di nota.

Scrive infatti il GIP: «L’effetto di tale plurime, concertate azioni oppositive è stato, sostanzialmente, quello di privare di autorità e di forza esecutiva le decisioni giudiziarie […], vanificando le condizioni essenziali al mantenimento dello stato di diritto e costituzionale».

Parole che, tradotte in una lingua umana, sottolineano come questa lotta abbia impedito a ufficiali giudiziari e forze dell’ordine di buttare in mezzo a una strada decine e decine di uomini, donne e intere famiglie. Come stabilito da qualche giudice torinese. E così facendo, nel suo piccolo, ha messo in discussione alcuni dei valori fondanti di questa società come la proprietà privata e il monopolio della forza da parte dello Stato. Nelle strade di questo pezzo di Torino si è respirata insomma un’aria un po’ diversa dalla solita asfissiante normalità. Una normalità scandita da centinaia e centinaia di sfratti l’anno che assegnano a Torino il vergognoso titolo di “capitale italiana degli sfratti”. Una normalità caratterizzata dall’arroganza degli ufficiali giudiziari che, forti del sostegno di Carabinieri e Polizia, svolgono senza esitazione il loro infame e servile lavoro. Una normalità in cui chi non può o non vuole più pagare un affitto dovrebbe accettare a testa bassa la propria sorte, affidarsi agli assistenti sociali e poi aspettare, pazientemente, la lotteria in cui si assegnano le case popolari, sperando che venga pescato il proprio bussolotto. E nel frattempo arrangiarsi come possibile, dormendo in macchina o sul divano di qualche conoscente, accettando magari di dividersi, nel caso delle famiglie, in attesa di tempi migliori.

Questa lotta ha invece un po’ sconvolto questi ruoli e, picchetto dopo picchetto, assemblea dopo assemblea, sempre più uomini e donne hanno scoperto che non c’è nulla da vergognarsi nel far presente pubblicamente la propria situazione, che facendolo non si è più soli, e che resistere è possibile.

Nel corso della lotta cresce così la determinazione, il coraggio, la sensazione che si può osare. L’asticella di ciò che si può pretendere si sposta allora sempre più in alto, e per diversi mesi durante i picchetti non ci si preoccupa più del rischio che lo sfratto venga eseguito, ma di quanto tempo si riuscirà a strappare all’ufficiale giudiziario. Proroghe di qualche settimana, che fino a poco tempo prima sarebbero state accolte con entusiasmo ora non bastano più. Si pretende di poter restare a casa propria per due, tre, quattro mesi, così da poter organizzare con più serenità la propria vita.

E la forza accumulata nel corso di questa lotta consente di prendersi questa serenità. Ma consente anche di far fronte alla prima contromossa delle autorità cittadine: concentrare nello stesso giorno – il terzo martedì del mese – diversi sfratti, per dividere chi resistere e aver così facilmente la meglio su di loro. Chi lotta riesce invece ad organizzarsi e difendersi ogni terzo martedì, barricandosi con cassonetti davanti ai portoni e chiudendo intere strade per tenere lontane le forze dell’ordine. E queste barricate non sono un efficace strumento di resistenza, ma diventano un po’ il simbolo di questa lotta e spiegano cosa accade molto più chiaramente di mille volantini. E se, come sottolinea il GIP, gli ufficiali giudiziari hanno iniziato a non girare più volentieri per le strade di Barriera di Milano per sfrattare una parte dei suoi abitanti, beh questo non può che rallegrare il cuore di molti. Una volta tanto la paura ha cambiato di campo.

Quest’inchiesta è solo l’ultima iniziativa intrapresa a livello giudiziario contro questa lotta. La primavera scorsa, dagli uomini di tribunale fu estratto dal cilindro un articolo che, dopo esser stato testato qui, verrà utilizzato sempre più sistematicamente anche altrove, il 610, l’incidente di esecuzione. Con il 610, gli ufficiali giudiziari, di fronte a un picchetto, rimettono la procedura di sfratto nelle mani di un giudice che fissa un’altra data che non deve essere però comunicata allo sfrattando. Così lo sfratto diventa uno sgombero, le forze dell’ordine possono agire praticamente indisturbate, e chi ha uno sfratto vive nell’angoscia quotidiana di non sapere neanche fino a quando potrà avere un tetto sopra la testa.

Inutile sottolineare che questo cambiamento ha creato non pochi problemi alla lotta. La resistenza agli sfratti è comunque continuata cercando di escogitare nelle assemblee nuove strategie per mettere i bastoni tra le ruote ai signori della città. E continuerà di certo dopo questi arresti, come mostra la contestazione alla sede degli ufficiali giudiziari del 4 giugno, l’occupazione del 12 e la manifestazione del 14. Perché le lotte non si arrestano.

Un ultimo pensiero non può poi non andare ai dirigenti del PD, che si sono subito felicitati di quest’operazione giudiziaria. Anche in questo caso la loro ostilità non può che rallegrarci, e del resto crediamo di essere in buona compagnia. Perché il Partito Democratico, come mostrano le tante iniziative, di giorno e di notte, nelle piazze e davanti alle loro sedi, non fa certo schifo solo a chi lotta contro gli sfratti.

Francesco

Per scrivergli:

Francesco Di Berardo
 C.C. via Roncata, 75 - 12100, Cuneo.