28 febbraio 2014

SOTTO LA CALMA INGANNATRICE SI AGITA LA TEMPESTA


Il popolo si diverte

Albert Libertad

L'operaio esce dalla fabbrica appestante. È l'ora della liberazione. Dopo il duro lavoro, un po' di riposo.
Esce, probabilmente stanco, scoraggiato, col cuore pieno di odio contro chi lo tiene così rinchiuso per ore pur di assicurarsi il lusso.
Ma dove dirige i suoi passi? Esce, va, corre verso i chioschi di giornali. Un sorriso di soddisfazione mi sale sulle labbra, egli è stanco, ma ha ancora nel cuore tenace la fierezza umana: va là a cercare l'opuscolo, lo scritto dalle parole rivendicatrici, al fine di entrare in comunione di idee con tutti coloro che soffrono, coi fratelli di miseria, con gli sfruttati di tutti i mondi.
Mi avvicino, pronto a parlare, a stringere la mano a questo sofferente qualsiasi. Lo Sport, dice a voce alta e febbrilmente lo apre. Scorrendolo, se ne va dicendo: «Lo sapevo, ha vinto Tizio, in sella a Re Sole».
E questo operaio è tutti, è il mercenario, lo schiavo tipo.
Lo Sport, Il Ciclismo, Le Corse, Parigi-Bici e venti altri, ecco l'opuscolo che l'oppresso legge, ecco l'allarme di rivolta che fa risuonare alle sue orecchie.
La plebe romana nella sua eccessiva miseria reclamava «Panem, Circenses», pane e giochi, e si avviliva al cospetto di un tiranno.
La Spagna, sotto il dominio clericale, domanda a più non posso processioni ed arene.
In Francia, sotto le grinfie del parlamentarismo più umano... per le bestie, più delicato, il popolo vuole corse.
Quei signori, gli schiavi, vogliono giocattoli, e sia: gli imperatori costruiscono circhi, la regina di Spagna è presente ad ogni nuova corrida, e il suo eccellente Felisque* presiede il Gran Premio.
I romani, gli spagnoli, i francesi si stringono la cintura di un foro e vanno a dormire felici e contenti.
Così, sfruttatori, borghesi e preti pensano che ancora li attendano tempi felici su questa terra e ripetono una frase degli antichi Galli: «Non temiamo niente, se non che il cielo cada sulle nostre teste».
Pur tuttavia non fidatevi, sotto la calma ingannatrice del mare si agita la tempesta. Chi sa, chi sa... e se sotto questa apparente tranquillità il popolo, vostro grande sostentatore, vi propinasse un'ultima minestra?
[Le Droit de vivre, n. 8, 7-14 giugno 1898]
*deformazione popolare del nome dell'allora presidente della repubblica Felix Faure

DOCUMENTO DEGLI IMPUTATI NO TAV LETTO AL PROCESSO IN AULA BUNKER

Di seguito Il comunicato degli imputati/e notav letto al processo in aula bunker prima di abbandonare l’aula e andare verso Giaglione dove alle 12 è fissato il ritrovo per andare tutti insieme in Clarea. Alla lettura del comunicato, con il solito disappunto da parte dei pm più volte palesato, gli imputati escono con i cori del pubblico.
Il comunicato:
Questo processo, sin dai suoi esordi, si è palesato non come un dibattimento volto all’accertamento dei fatti e a stabilire eventuali responsabilità, ma come un dibattimento a senso unico, quello della procura torinese, in totale assenza di arbitri imparziali.
La scelta stessa di quest’aula – scelta più volte giustificata come mancanza di maxi-aule per infine svelarsi per quello che era: una precisa scelta politica – lo dimostra. La pesante militarizzazione dell’aula, i pesanti controlli e le perquisizioni all’ingresso, la registrazione (e la duplicazione) dei documenti d’identità del pubblico presente non sono altro che espedienti per creare un clima di pericolosità sociale intorno al movimento NO TAV volto a condizionare l’opinione pubblica sulla legittimità di provvedimenti sempre più pesanti. Non a caso si è passati dalle comuni imputazioni di resistenza a quelle di terrorismo.
L’ammissione come parte civile di ben tre ministeri – interno difesa ed economia -, cosa mai accaduta in presenza di semplici reati di resistenza e lesioni, è prova di come questo clima, costruito ad arte dalla procura torinese, trovi nel tribunale la sua legittimazione e la benedizione dei vari governi del TAV.
All’inverso la non ammissione, come testi della difesa, dei tecnici NO TAV è l’ennesima riprova di come si voglia condurre il processo su binari prestabiliti, presentare cioè quanto è accaduto nelle giornate del 27 giugno e del 3 luglio 2011, estrapolandolo da ogni contesto reale e senza tentare minimamente di comprendere le motivazioni e le ragioni degli imputati. Si vuole processare il movimento NO TAV senza che si parli mai del TAV.
Il modo stesso in cui sono regolati e limitati i diritti della difesa -  il reiterato rigetto di ogni istanza difensiva, l’impossibilità di conoscere (e quindi poter citare) i nomi dei dirigenti delle forze dell’ordine nelle giornate per cui siamo accusati, l’impossibilità di poter controinterrogare i testi dell’accusa su argomenti di cui i PM non hanno già posto domande, l’impossibilità di valutare l’attendibilità dei testi nel caso di agenti che hanno redatto relazioni di servizio usando le medesime frasi – sono per noi la dimostrazione di quanto tutto sia già stato deciso e il dibattimento rappresenti solamente una formalità necessaria.
La fretta stessa con cui si vuol giungere alla sentenza, il ritmo imposto da tribunale – con udienze massacranti di diverse ore, inframmezzate solo da una brevissima pausa per il pranzo, tenute con una già pesante cadenza settimanale ottenuta solo dopo la protesta unanime dei difensori, non disposti ad accettarne due la settimana – rappresenta un grave impedimento all’esercizio del nostro diritto alla difesa.
Il reiterato divieto da parte del tribunale di ascoltare gli imputati – negando loro quasi sempre la parola e invitando i carabinieri ad allontanarli – sono la palese dimostrazione di come gli imputati non siano considerati degli attori comprimari del processo ma semplici comparse, indispensabili ma senza diritti, utili solo alla prosecuzione della rappresentazione.
Per questi motivi siamo giunti alla conclusione che qualsiasi sforzo generoso da parte dei nostri difensori sarà sempre vanificato dal clima di ostilità che si respira in quest’aula.
Pensavamo che il metodo con cui la procura torinese imbastisce le proprie inchieste contro il movimento NO TAV potesse essere messo liberamente in discussione in sede processuale da parte dei nostri difensori.
Pensavamo di essere processati per delle ipotesi di reato, ma ci siamo accorti – nel corso del procedimento – che siamo processati non per quello che potremmo aver fatto ma per quello che siamo.
Pensavamo di avere un processo normale in un tribunale normale, ma ci sembra – in quanto NO TAV – di essere sottoposti a un procedimento che si dimostra sempre più “speciale”.
Per queste ragioni abbiamo deciso oggi di disertare questo processo.
Abbandoniamo quest’aula, lasciandovi liberi di sperimentare i nuovi metodi di procedura legale da usarsi contro il movimento NO TAV, e ce ne andiamo in Val Clarea, luogo simbolo della nostra resistenza alla devastazione della Val Susa, per testimoniare ancora una volta la nostra determinazione e il nostro impegno in questa lotta.

da Notav.info

AGGIORNAMENTI SU ADRIANO E GIANLUCA

riceviamo e diffondiamo:

Nella sua ultima lettera Gianluca, detenuto nella sezione AS2 del carcere di Alessandria, ci informa che è stata fissata al 26 marzo, a Roma, l'udienza preliminare del processo che lo vede imputato assieme ad Adriano, detenuto invece a Ferrara, per 270bis più i reati specifici di incendio, danneggiamento, deturpamento, furto aggravato. La sua intenzione è quella di presenziare all'udienza.
In attesa di aggiornamenti,

Cassa di Solidarietà Aracnide

26 febbraio 2014

SENTENZA DEL PROCESSO CONTRO ANDREA, SABBO E GABRIELE

riceviamo e diffondiamo:

Il 24 febbraio il giudice Manuela Cortelloni, dopo un lungo dibattimento, ha emesso sentenza contro Andrea, Sabbo e Gabriele accusati di aver danneggiato il CIE modenese dopo un presunto blitz in stile paramilitare. Le pene sono di 1 anno per Andrea e Sabbo (senza la condizionale) e di 8 mesi per Gabriele (che ora è completamente libero). Per Andrea e Sabbo persiste la misura cautelare dell' obbligo di dimora con restrizioni notturne.

Se ci saranno novità seguiranno aggiornamenti.

NO CIE! BASTA LAGER!

GUCCIO: UN INCREDIBILE RICORDO IL TUO


FORSE DA QUALCHE PARTE......
Ragazzo,
senti il rumore del tuono?
forse da qualche parte un uomo sta lottando.
Lotta per te, per me, per tutti,
ma pochi sanno dirgli grazie......
Ragazzo,
senti lo stillicidio della pioggia?
forse da qualche parte
una vita si sta spegnendo
e questa pioggia è l'eco di un lontano dolore....
[...]

Ragazzo,
al prossimo tuono
non spaventarti,
alla prossima pioggia
non chiudere la tua finestra,
al prossimo silenzio
mettiti a gridare con rabbia!

Perugia marzo 1974

HORST FANTAZZINI




LA MIGLIOR DIFESA..


Dagli arresti del 9 dicembre ad oggi non son passati due giorni senza una iniziativa ad una sede del PD da qualche parte in Italia, o ad una filiale della banca Intesa San Paolo, o ad una delle ditte implicate nella realizzazione del Tav. E poi striscioni, manifesti, cessi intasati, bancomat sabotati, treni bloccati, contestazioni… in Valle e nelle città a dimostrare, senza alcuna centralizzazione, che la miglior difesa è l’attacco. A memoria non ricordiamo una mobilitazione simile in risposta a degli arresti di compagni.
In mezzo a questo percorso il 22 febbraio, l’altroieri, la giornata lanciata dalla Valle in solidarietà con Chiara, Nicco, Mattia e Claudio: migliaia di persone in strada in più di 40 tra città, paesi e paesini e, ancora, blocchi e striscioni e picconate. Un gran bel modo di rispedire al mittente le accuse di terrorismo, di chiedere la liberazione degli arrestati, di rivendicare a voce alta la pratica del sabotaggio. Alla faccia di Padalino e Rinaudo, che avrebbero voluto vedere i nostri dentro abbandonati e la gente fuori impaurita e scoraggiata.
Ecco qui sotto alcune righe sul 22 febbraio, sintetiche ed incomplete: ci perdoni chi è stato dimenticato. E qui, giorno per giorno, di nuovo le tante piccole iniziative: dal 23 febbraio in poi…
Torino. Fin dal mattino presto si sono intraprese azioni per animare la giornata: la tangenziale verso Milano viene bloccata con cassonetti incatenati e striscioni in solidarietà ai quattro compagni dentro. Dall’una in poi si sono tenuti dei presidi informativi in diverse piazze cittadine, che sono poi andati a convergere in Piazza Castello, dove alle tre era previsto il concentramento del corteo unitario. Prima di partire alcuni compagni hanno “riconsegnato”, una volta rese inservibili, due telecamere ritrovate nei pressi dell’Asilo occupato per sorvegliare abitanti e frequentatori. La manifestazione ha visto una larga partecipazione ed un enorme dispiegamento di polizia per controllarne i movimenti ed impedire l’avvicinamento ad obiettivi sensibili.
Valsusa. Il corteo, che ha visto partecipare più di duemila persone, è partito dalla stazione di Chiomonte per arrivare ai cancelli della Centrale, presso il cantiere dell’Alta Velocità. Molti interventi hanno difeso la pratica del sabotaggio, dicendo a chiare lettere che «se terrorismo è resistere allora siamo tutti terroristi». Mentre dal microfono si leggono le lettere dei compagni in carcere e dei loro familiari, uno striscione con scritto «No tav liberi» viene legato a dei palloncini e lasciato volare sopra il cantiere.
Milano. Un corteo regionale molto partecipato e autodifeso di circa tremila persone ha attraversato le strade del centro. Durante il percorso i muri sono stati letteralmente riempiti di scritte, mentre venivano anche danneggiati bancomat e telecamere. Tanti gli interventi, tra cui quelli dei parenti di Mattia. Due cantieri di Expo 2015 sono presi di mira: in uno le recinzioni vengono forzate, nell’altro riempite di disegni. Due giganteschi striscioni sono calati rispettivamente da una gru e da un palazzo, mentre il corteo prosegue verso il carcere di San Vittore. Il corteo si è concluso quindi con un presidio itinerante sotto le sue mura, molto sentito e vivo, anche grazie ad una calorosa risposta da dentro.
Bologna. Qualche centinaio di persone si è mosso in corteo verso la stazione, nei pressi della quale è stato realizzato un murales mentre veniva calato un grosso striscione con scritto «Il Tav va sabotato. Liberi tutti». Numerosi interventi si sono susseguiti, ribadendo l’importanza del sabotaggio come pratica di lotta e la solidarietà con gli arrestati.
Napoli. Migliaia di manifestanti hanno sfilato dal centro alla Prefettura unendo la solidarietà ai No Tav in carcere con quella ai dieci disoccupati arrestati la settimana prima.
Roma. Dopo il presidio svoltosi nell’atrio della stazione Tiburtina del 20 gennaio,  e il corteo spontaneo che da lì si è snodato fino al quartiere San Lorenzo, la giornata del 22 ha visto sfilare per le strade migliaia di persone, in tre quartieri diversi, per ribadire la solidarietà ai No Tav arrestati e per ricordare Valerio Verbano, ucciso dai fascisti il 22 febbraio 1980. Le giornate romane di mobilitazione si sono concluse con un presidio al carcere di Rebibbia, dove Chiara è rinchiusa nella sezione di alta sicurezza insieme ad altre compagne. Di fronte alle mura del femminile, oltre ai tanti solidali che si sono fatti sentire con cori, interventi e fuochi d’artificio, c’erano alcuni parenti e amici che comunicavano con le proprie care rinchiuse.
Trieste. Qualche centinaio di persone ha manifestato per la città contestando la banca San Paolo, implicata nella realizzazione della Torino-Lione.
Trento. Dopo una settimana piena di iniziative in vista della manifestazione, circa trecento persone hanno sfilato per la città. Presenti i comitati No Tav locali e molti compagni. I manifesti attacchinati, lo striscione di apertura e gli interventi ribadivano anche in questo caso la solidarietà agli arrestati e la giustezza del sabotaggio.
Genova. Un presidio di 300 Notav-TerzoValico si è trasformato in un corteo che ha percorso le vie di Genova in direzione della sede delle Ferrovie. Una volto giunto lì la sede è stata “cantierizzata” con reti cartelli e calcinacci mentre uno striscione in solidarietà agli arrestati è stato calato dal Ponte Monumentale.
Ivrea. Con un presidio sotto le mura del carcere i compagni hanno sottolineato come la questione No Tav e la solidarietà ai reclusi in generale siano oramai strettamente collegate.
Modena. Molti manifestanti e comitati contro la gestione dell’emergenza terremoto hanno protestato contro la devastazione del territorio e in solidarietà ai No Tav.
Valle Scrivia. I cinquecento manifestanti radunatesi intorno al cantiere del Terzo Valico di Pozzuolo Formigaro hanno divelto 8 km di recinzioni.
Firenze e Pisa. Si sono svolti in città cortei per unire le lotte ed estendere la solidarietà, nonché contro il neo-eletto presidente ed ex sindaco di Firenze Matteo Renzi.
Nantes. La manifestazione già indetta in precedenza contro l’aeroporto di Notre-Dame des Landes ha fermamente preso posizione a sostegno dei No Tav arrestati in Italia. Durante il corteo, tra due enormi palazzi, è stato appeso uno striscione con la frase «Chiara, Claudio, Niccolò, Mattia liberi. Libertà per tutti! No Tav». I treni in partenza dalla stazione sono stati bloccati per diverse ore e molte agenzie di viaggio e banche siano state colpite. Inoltre la polizia ha dichiarato il centro “zona rossa”, tentando di impedire il percorso della manifestazione con un ingente schieramento di agenti e mezzi di contenimento (camionette, barriere, grate). Il divieto non è stato accettato, perciò al tentativo di accedere al centro sono seguiti pesanti scontri estesi a diverse zone della città, con l’uso massiccio di lacrimogeni e idranti. Ascolta il racconto della giornata a Nantes fatto da una delle compagne bandite da Torino nell’ottobre passato, trasmesso questa mattina da Radio Blackout :
Altre manifestazioni a Lecce, Novara, Grugliasco, Roma, Vercelli, Pavia, Pistoia, Brescia, Ravenna, Caltanisetta, Bari, Martesana, Belluno, Asti, Reggio Emilia, Adria, Perugia, Legnago, Pesaro, Cremona, Cosenza, Albano, Barletta, Marina di Carrara, Oriolo Romano, Cesena, Savona, Benevento, Mantova, Taranto, Ventimiglia, Lugano, Atene, Salonicco, penisola Calcidica, Istanbul…
Se il 22 febbraio non è l’inizio, certo non è neppure la fine…
Ascolta le dirette della giornata raccolte da Radio Blackout 105.250 FM da varie piazze italiane ed estere.
macerie @ Febbraio 24, 2014

PERQUISIZIONI CONTRO COMPAGN*: LIGURIA, TOSCANA, EMILIA ROMAGNA, LAZIO E CAMPANIA

DA INFORMA-AZIONE.INFO

Nelle prime ore del 25 febbraio 2014 scatta l'ennesima operazione repressiva contro gli anarchici. I media descrivono l'inchiesta come parto della procura genovese, ma è evidente la paternità del ROS: un'organizzazione che di volta in volta utilizza strumentalmente procure e magistrati di fiducia per mettere in atto le proprie strategie. Tra i compagni anarchici coinvolti anche Alfredo Cospito, contro il quale gli inquirenti (a distanza di oltre 5 anni dal prelievo del DNA effettuato nei suoi confronti dalla digos di Torino nel febbraio 2009) sostengono di aver rinvenuto tracce genetiche su un ordigno contro il RIS di Parma... il principale collezzionista di DNA nostrano. Tra gli attacchi inclusi in questa inchiesta quelli contro le caserme genovesi dei carabineiri di Prà e Voltri (2005), quello contro Cofferati (allora sindaco di Bologna 2005) e quello contro il RIS di Parma (2005).

In attesa di condividere ulteriori comunicati e riflessioni, segue un testo di alcuni compagni genovesi:

riceviamo e diffondiamo:

Stamane all'alba i Ros hanno effettuato perquisizioni e notificato avvisi di conclusione  indagini a  10 persone in  Liguria, Emilia Romagna, Toscana e Campania e in carcere ad un compagno già detenuto. L'imputazione è l'ennesima associazione sovversiva e vengono attribuiti atti avvenuti ormai quasi 10 anni fa tra cui gli attacchi esplosivi a due caserme genovesi e il plico esplosivo spedito all'allora sindaco di Bologna Sergio Cofferati. Nell'ambito dell'operazione una persona è stata tratta in arresto per motivi non inerenti all' indagine. Attendiamo l'esito dell'udienza di convalida per avere  informazioni sulla sua situazione. Non ci faremo certo intimidire dall'ennesimo tormentone dei Ros e dalle giornalate di scribacchini infami, i terroristi sono loro come sempre.

Compagni indagati di Genova



fonti dai media di regime:

http://www.gazzettadiparma.it/news/provincia/169733/Anarchici--11-indagati-per-gli.html

http://genova.repubblica.it/cronaca/2014/02/25/news/attentati_caserme_indagato_cospito_e_10_anarchici_informali_anche_muccitelli_per_due_attacchi_nel_marzo_2005_a_genova-79586909/

MESSICO: CADE L'ACCUSA DI TERRORISMO PER CARLOS, AMELIE E FALLON

Cade l'accusa di terrorismo contro Carlos, Amelie e Fallon

Ieri 17 Febbraio sono terminati i 40 giorni di detenzione preventiva (arraigo) che la Procura Generale della Repubblica aveva inflitto nei confronti dei nostri compagni Carlos López, Amelie Pelletier e Fallon Poisson.

Questo tipo di detenzione, chiamata 'arraigo', abolisce la presunzione d'innocenza fino a prova contraria, e nega ai detenuti e ai loro avvocati il diritto di conoscere le accuse e le prove a loro carico, permettendo allo Stato di rinchiudere persone, sotto questo regime speciale, in posti che a volte hanno incluso hotel, residenze private e strutture militari. Spesso l'indirizzo di queste strutture è tenuto segreto. (ndt)

In questi 40 giorni hanno provato a imbastire accuse per terrorismo e delinquenza organizzata contro i 3 compagni tuttavia, e nonostante i loro metodi intimidatori e inquisitori, non sono stati capaci di montare il caso, per cui al termine dei 40 giorni sono stati liberati per mancanza di prove; tuttavia sono stati consegnati alla polizia locale di Città del Messico che li ha incarcerati con le accuse di danneggiamento e attacco alla pace pubblica.

Le compagne Amelie e Fallon si trovano nel Reclusorio femminile Santa Martha e hanno ricevuto la visita dei loro avvocati, Carlos ci ha chiamato e informato che si trova nel Reclusorio Oriente, si dovrà aspettare domani per potere andare a trovarlo.

I reati di cui vengono accusati sono considerati non gravi quindi dovrebbero fissare una cauzione, non dimentichiamo però che il compagno Mario Gonzalez si trova nella stessa situazione e nonostante questo gli è stata negata più volte la cauzione in quanto rappresenterebbe un "pericolo sociale"

Continuiamo ad esprimere solidarietà ai nostri fratelli sequestrati dallo Stato!

Libertà per Carlos, Amelie e Fallon!

Libertà per Mario, Salvador e Fernando!

Libertà per tutti\e !

Abbasso le mura della prigione!

PARIGI: CRONOLOGIA DELLA RESISTENZA CONTRO L'OCCUPAZIONE POLIZIESCA



Traduzione dal bollettino anarchico Lucioles
[Lucioles, bulletin anarchiste de Paris et sa région, n. 15, février 2014 http://luciolesdanslanuit.blogspot.fr ]


Contro l’occupazione poliziesca.
Una (parziale) cronologia parigina. 


Domenica 22 dicembre a Sartrouville1, un agente della polizia municipale, in forze al centro operativo del sistema di videosorveglianza, è stato beccato per strada e riempito di botte da otto persone, due delle quali, purtroppo, sono state arrestate. Può darsi che si prendesse per un benefattore, ma l’accaduto deve avergli chiarito le idee: “Sono soltanto uno sporco sbirro è questo è quello che merito”.

Nella notte fra il 7 e l’8 gennaio, nel XIX arrondissement di Parigi, è stato incendiato un furgone del Comune, a causa della sua responsabilità nella gestione poliziesca della quotidianità. In effetti, chi non vede la quantità di telecamere, i controlli dovuti all’aspetto fisico, le retate, il pullulare di nuove brigate di polizia e, dietro, il Comune che li dirige, sullo sfondo, da poco, della campagna elettorale2?

Due notti prima, i numerosi vetri blindati di un commissariato del XII arr. sono stati sfondati e, da quanto si legge nel comunicato, è l’esistenza stessa degli sbirri ed il loro sporco lavoro che erano presi di mira. Come bonus, anche il bancomat della banca di fronte al commissariato si è preso qualche colpo.

La sera di Capodanno, a Kremlin-Bicêtre, gli sbirri vogliono arrestare due giovani che avrebbero esibito una pistola. I due si ribellano ed è con gran difficoltà che le guardie li portano via. Ma quando i due vengono portati al commissariato, ecco un bel gesto di solidarietà: una decina di persone arriva e se la prende con l’edificio della polizia, chiedendo la loro liberazione. Spaccano dei vetri (riuscendo a danneggiare un computer in un ufficio!) e poi se ne vanno velocemente.
L’attacco delle divise blu starebbe diventando un nuovo sport nel Val-de-Marne [dipartimento della cintura parigina, NdT]? Alcuni esempi lasciano ben sperare: già la notte del 31 dicembre 2012, due gruppi di persone avevano attaccato i commissariati di Choisy e Champigny. Quest’ultimo era stato attaccato anche il 14 luglio 2013, a colpi di fuochi d’artificio. E fra giugno e novembre 2013 sono tre le bottiglie di acido che sono atterrate sul commissariato di Boissy-Saint-Léger!

Il 29 gennaio, a Les Lilas, il commissariato che si trova dietro il municipio finisce con le finestre e la porta a vetri sfondate e un comunicato che rivendica l’attacco termina con le parole: “Attacchiamo i guardiani dello zoo umano!”.

Qualche giorno più tardi, il 3 febbraio, il locale che ospita i Points d’accès au droit3 ed altri servizi comunali, nella cité Champagne (XX arr.) si ritrova pure lui con i vetri infranti, perché senza giustizia niente polizia e viceversa.

Bisogna credere che il trio Polizia-Giustizia-Prigione non avrà mai un consenso unanime!




Seguono aggiornamenti a partire dai giornali e dal sito lechatnoiremeutier:
 http://lechatnoiremeutier.antifa-net.fr/

Continua…

Venerdì 24 gennaio un “normale controllo” della polizia, in un quartiere popolare di Neuilly-sur-Marne, ha la risposta che merita: numerosi giovani della zona se la prendono con gli sbirri, lanciando loro vari proiettili. Perché torni la calma ci vogliono tre ore, un centinaio di guardie ed un elicottero.

A fine gennaio, a Chelles, uno sbirro si fa spaccare il naso da cinque ragazzi. I cinque stavano litigando con un autista d’autobus quando il poliziotto, che non era in servizio, ha voluto intervenire. Avrebbe fatto meglio a pensare ai cazzi suoi… Purtroppo i cinque giovani sono stati arrestati.

La notte fra il 6 ed il 7 febbraio, un furgone di Orange [grande impresa di telecomunicazioni, ex France Telecom, NdT] viene incendiato nel XIX arr. di Parigi. Il comunicato di rivendicazione chiama in causa la partecipazione di Orange al controllo sociale ed il fatto che questa azienda (come molte altre) utilizza il lavoro dei detenuti. “A fuoco il mondo virtuale! A fuoco quelli che ci rinchiudono”.
Stessa sorte, qualche giorno dopo e sempre nella stessa zona, per un furgone della SPIE,  impresa coinvolta nella costruzione di centrali nucleari e del sistema di videosorveglianza della città di Parigi.

Giovedì 13 febbraio, verso le 23 a Les Ulis, un gruppo di una decina di persone prende a sassate il commissariato. Anche una macchina della polizia, parcheggiata lì vicino, si prende delle pietre. Intanto, parecchi fuochi d’artificio vengono lanciati in direzione della caserma delle guardie. Questo stesso luogo di tortura e d’oppressione era già stato bersagliato nel novembre 2012 e nel gennaio 2013 e per fortuna nessuno degli assalitori è stato preso. 

…continua…

e intanto, a breve, a Parigi: una manifestazione per non abbassare mai più gli occhi
da informa-azione.info

24 febbraio 2014

KORIDALLOS: TESTO COLLETTIVO SULLO SCIOPERO DELLA FAME E DELLA SETE

 
Il seguente testo è una presentazione di ciò che è seguito dopo l’incidente e anche alcuni pensieri generali riguardo all’istituzione del carcere e a come ci rapportiamo ad esso in quanto anarchici. Il nostro desiderio era di farlo prima, ma il nostro trasferimento in un altro padiglione, il pestaggio di Yannis Naxakis da parte della CCF e altre questioni carcerarie lo hanno rallentato.

Il 13/12/2013 quando è stato chiuso il cortile abbiamo ridato alla guardia di persone Yannis Milonas una piccola parte della violenza che lui applica quotidianamente tenendo una chiave. Questa persona specifica aveva insistito col suo atteggiamento litigioso quando alcuni compagni lo avevano richiamato per dei commenti ironici fatti il giorno prima.
L’incidente è stato, per l’amministrazione, il motivo per rompere la nostra comunità che era diventata una spina costante per essa. In tempi recenti ci sono stati numerosi scontri che abbiamo cercato in vari modi e per motivi che riteniamo nodale per (sciopero della fame dei comunisti turchi, collocamento del filo spinato sopra i cortili) sabotare, in modo possibile, il funzionamento del carcere.
La prima mossa dell’amministrazione è stata trasferire cinque di noi nelle celle punitive, due nel 4° padiglione, uno nel 5° e i tre rimasti nel 1°. Le prime ore sono state acute e abbiamo capito subito le intenzioni dell’amministrazione di romperci e indebolirci. I compagni che si sono trovati nelle anguste celle punitive del 3° padiglione, in celle dove neanche un cane starebbe, hanno deciso di iniziare uno sciopero della fame e della sete per richiedere la riunione immediata della nostra comunità e cosi non c’è stato tempo per l’amministrazione di pianificare mosse successive.
La richiesta era di tornare tutti al 1° padiglione dato che li stavano la maggioranza dei compagni (oltre a quelli nelle celle punitive), le persone con cui abbiamo relazioni amichevoli e anche le nostre cose. Inoltre venne proposto il 1° padiglione per assicurarci contro un possibile nostro trasferimento in un padiglione di isolamento. La condizione complicata che si è creata ha mostrato che sarebbe stato più saggio non proporre questo padiglione specifico ma uno qualsiasi. Spiegheremo perché.
Lo sciopero ha fatto impanicare l’amministrazione e nel pomeriggio del giorno dopo l’ispettore è venuto a chiederci di sospenderlo dicendoci che saremmo stati trasferiti TUTTI al 4° padiglione. Ci disse anche che il fine dell’amministrazione era di tenerci dai cinque ai dieci giorni nelle celle punitive e poi dividerci. Ci rifiutammo di andare al 4° dato che lo consideravamo una sorta di punizione più leggera.
Quel pomeriggio anche Babis Tsilianidis iniziò lo sciopero dal 4° dove si trovava. Più tardi quel giorno tornò l’ispettore insistendo per farci smettere lo sciopero e accettare il trasferimento al 4°, spiegando che non era l’amministrazione ad avere problemi a farci tornare al 1° ma alcuni prigionieri. Ciò ci ha fatto infuriare dato che non avevamo problemi con alcun prigioniero e quindi lo abbiamo considerato come un bluff da parte dell’amministrazione per portarci al 4°.
Più tardi nello stesso giorno un compagno rimasto al 1° che aveva comunicato con i prigionieri informa i compagni nelle celle punitive e in altri padiglioni che alcuni capi del padiglione hanno espresso timori perché il nostro ritorno avrebbe creato problemi con le perquisizioni fatte dal EKAM (forze speciali di polizia) e altre cose fantasiose, senza comunque dire chiaramente che avevano problemi col nostro ritorno. A causa della difficoltà di comunicazione questi pezzi di informazioni non si unirono per tempo.
La mattina del terzo giorno, Grigoris Sarafoudis (che nel frattempo era stato trasferito dal 5° al 4° dietro sue pressioni) inizia lo sciopero della fame e della sete.
Nella sua quotidiana interazione con noi, il sergente ci dice che ogni intento punitivo dell’amministrazione è caduto e che se risolviamo coi prigionieri del 1° padiglione possiamo ritornarci. Poco dopo, per caso, viene annunciato ai nostri compagni nel 1° da alcuni prigionieri che loro non vogliono il nostro ritorno al 1°. Questo viene detto nelle celle punitive da un compagno, quindi capiamo che quanto detto dall’amministrazione era vero. A questo punto smettiamo di voler tornare al 1° dato che non avevamo intenzione di dare garanzie che saremmo rimasti calmi al fine di risultare tollerabili. Nel pomeriggio dello stesso giorno abbiamo pressato affinché i compagni del 1°, 4° e delle celle punitive si incontrassero per parlarsi e decidere le mosse davanti a questo inaspettato sviluppo.
Visto che la richiesta dello sciopero era tornare al 1° abbiamo pensato di insistere, tornare al 1° e poi cambiare padiglione in un momento che avremmo deciso dopo. Ci sono state buone possibilità per farlo, visto che durante lo sciopero l’amministrazione era paralizzata e ad un certo punto avrebbe pressato i prigionieri del 1° che non volevano farci tornare.
Ma lo sciopero della fame (e della sete) è uno strumento politico di lotta che mira all’avversario politico, l’amministrazione nel nostro caso, e non le gerarchie informali del carcere. Sarebbe completamente insensato richiedere la mediazione dell’amministrazione per le nostre divergenze coi prigionieri anche come ultima soluzione, un ossimoro per noi continuare uno sciopero della fame e della sete per chiedere qualcosa che non vogliamo più. Pertanto decidemmo di interrompere lo sciopero e andare al 4°.
L’autocritica è il fattore più importante di sviluppo e facendola comprendiamo il nostro errore di non aver capito l’estensione e la profondità della mediazione che usa l’amministrazione, condividendo con alcuni prigionieri la responsabilità di mantenere l’equilibrio carcerario. Nonostante siamo riusciti a neutralizzare le guardie facendogli capire che difenderemo la nostra comunità, siamo stati piuttosto ingenui nel non vedere un nemico invisibile (fino a quel momento), i gruppi di gerarchie informali.
Alla fine comunque il nostro sciopero della fame e della sete ci ha fatto uscire da una situazione molto difficile, siamo riusciti a mantenere la nostra comunità che era stata colpita nelle nostre acquisite condizioni di vita. E soprattutto con mezzi coerenti con i valori della lotta anarchica. Pensiamo che lo sciopero sarebbe stato più duro senza le mosse pubbliche di propaganda e azione diretta. I due presidi dove le nostre voci si sono unite a quelle dei solidali e hanno sconvolto le celle punitive e il fuoco dell’attacco incendiario alla caserma di Exarchia ci hanno mostrato che molto è ancora in corso.

Ringraziamo i prigionieri che abbiamo incontrato “dimenticati” nelle celle punitive del 3° padiglione che ci hanno supportato con l’astensione dal prendere i pasti della prigione, che in quelle condizioni di povertà assoluta è quasi uno sciopero della fame.

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Pensiamo che questo descriva la prigione cosi come l’abbiamo vissuta nel miglior modo.
“Nel perimetro non ci sono guardie, loro ci guardano dalla guardina che è sopraelevata rispetto al cortile. Ma il vero controllo è quello elettronico basato sulla presenza di telecamere ovunque. E’ difficile evitarle. Ma l’Amministrazione pensa a tutto e ha cura che ci siano abbastanza punti ciechi in questo controllo, cosicché i “mostri” possono curare i loro affari senza nessuno che li disturbi. Tranne che sono gli affari dell’amministrazione stessa con uno o l’altro scagnozzo. Che importa se uno o due poveri diavoli vengono fritti con l’acqua bollente o sfigurati con un coltello auto costruito? Che importa? Non ci vorranno più di tre righe per fare rapporto. La carriera di chi è “adatto” non corre pericolo. E inoltre, un carcere è gestito meglio cosi perché c’è sempre questa veloce violenza fratricida. Almeno fosse per motivi seri, ma lo è sempre per stupidaggini. Un bullo di grande fama può dire ciò che vuole senza che gli accada nulla o un razzista responsabile di attacchi contro gli arabi può girare tra questi senza problemi.
C’è sempre una persona subdola e risentita che appicca il fuoco dell’amarezza. Il fuoco brucia lentamente per settimane e mesi, e dopo che alcuni prigionieri aumentano il ritmo i colpi arrivano come pioggia. Le stanze fanno eco di urla e calci, piatti rotti e tavoli capovolti. Lo sconfitto prova a raggiungere la porta blu per uscire dall’isola. Un giovane cammina lasciando scie di sangue per terra, con un taglio dalla bocca all’orecchio.
In un momento le armi spuntano ovunque. Un calzino diventa terribile quando contiene una boccia! Un prezzo di plexiglass preso da una finestra rotta è una spada che taglia come un rasoio.
Appena corre il primo sangue, i pazzi perdono l’autocontrollo. Ci sono piranha che girano per le sale cercando facili prede. Dopo gli scontri spuntano sempre due o tre che le hanno prese senza centrare nulla con gli incidenti iniziali. Un giovane con la testa rotta nel bagno dove lo hanno sorpreso mentre pisciava. Un ragazzo con dieci buchi da coltello, che non ha fatto nulla. (…)
Contro questo, neanche un prigioniero può riconoscere legge o giustizia. Neanche se è cieco. Loro vedono solo una gang opposta forte di tonnellate di stupidità, strutture di merda, rifiuto criminale di ogni responsabilità e umiliazioni arbitrarie. Una gang sempre pronta a fare il minimo possibile ed evitare ogni cambiamento, ogni disputa. L’individuo che entra in carcere ammanettato mani e piedi deve sapere che diventerà uno schiavo di un fangoso capo di guerra e dei suoi uomini armati. Il resto, cosi come anche i pettegolezzi sulla comunità carceraria, non è altro che stupidaggini per la galleria dei comitati parigini.” (Jean-Marc Rouillan)
Il fatto che la prigione sia l’istituzione più sadica della società capitalista è un fatto difficilmente contestabile. Ciò che si contesta quando ne oltrepassi i cancelli è l’assioma che dato che la prigione è un’istituzione inumana e oppressiva, il suo soggetto deve essere santificato.
Riteniamo utile dire alcune cose riguardo alla realtà della prigione e al modo in cui funziona, almeno per quanto abbiamo percepito finora, chiarendo ovviamente che da carcere a carcere ci sono differenze, cosi come da un padiglione all’altro dello stesso carcere. Quindi, ciò che scriviamo potrebbe applicarsi a vari gradi o anche per niente in altri casi.
Nonostante tutto ciò, una cosa è sicura e non cambia in base al carcere ed è il ruolo specifico che ha nella società capitalista. E’ lo spazio principale dove accade l’osmosi di primo grado della criminalità spontanea col crimine organizzato e in secondo grado del crimine organizzato con i “colletti bianchi”. Una connessione e una sovrapposizione che compone totalmente l’economia. E’ uno spazio dove disciplina, gerarchia e mediazione (di autorità formali e informali) sono consolidate e riprodotte in modo quasi assoluto nelle relazioni.
Il carattere punitivo del carcere non sta nella creazione di bravi cittadini ma persone che assumono e riproducono i suddetti valori nel loro funzionamento.
La prigione non è una comunità romantica di criminali, è una “comunità” imposta dalla giustizia penale. Infatti, persone di irrilevanti (tra loro) categorie sociali vengono fatte coesistere e relazionarsi. Lo scagnozzo, lo spacciatore di eroina, il tossico, l’autore di crimini passionali, il rapinatore di banche, il rapinatore di bar, lo scippatore, il killer prezzolato, il contrabbandiere, il killer involontario, il bombarolo, il “terrorista” (molti appartengono a più di una categoria), sono “riuniti” sotto il comune denominatore della criminalità, un raggruppamento fatto dalla giustizia penale, la giustizia punitiva del capitale.
Infatti, qualcuno crede che la comune esperienza di limitazione, oppressione ed esclusione di questa comunità alzi la volontà di lottare e resistere ma ciò è artefatto e falso. Ecco perché il sentire della comunità e la volontà di lottare sono svalutate dalla rassegnazione, apatia, razzismo, delega e mediazione.
La brutalità del capitalismo si riproduce anche in modi più sporchi in carcere. Dallo “spatholouro”(1) e il “legeni”(2) fino al “bravos”(3) e il “taxi” (4),* ogni prigioniero trova una posizione nella complessa gerarchia carceraria. Una posizione che è direttamente connessa al potere che ogni prigioniero ha.
In questo modo la disciplina e il controllo sono individualizzati, sia perché qualcuno è una spia e l’amministrazione ne ha bisogno, o perché fornisce una percentuale degli affari all’amministrazione, o perché ha gente fuori che può fare pressione, o perché è una figura pubblica, o perché è detenuto di lungo corso e ha influenza sugli altri detenuti. Ogni prigioniero vince la sua posizione nel sistema carcerario in base al potere di “negoziabilità” con l’amministrazione. E questo potere è definito dal grado di influenza che ha nei gruppi di detenuti che di solito hanno caratteristiche razziali o sono organizzati in base alla provenienza.
Generalmente la prigione è un mondo di equilibri, tra varie gerarchie e gruppi di detenuti, tra diversi poli di autorità di detenuti e guardie, tra prigionieri e amministrazione (sia come individualità che come totalità).
Questo, insieme ad altre varie ideologie ampiamente diffuse qui come fuori, con la paura e una varietà di fattori interni ed esterni porta molti detenuti ad uno stato di apatia. Essi rassegnatamente aspettano la fine della tortura, “attraversano la condanna” chiusi nel loro microcosmo tollerando molte volte insulti da parte di altri prigionieri e dell’amministrazione.
In verità abbiamo vissuto questo nei giorni successivi all’attacco alla guardia dato che le persone con cui avevamo relazioni amichevoli e avevamo condiviso una simpatia reciproca, sebbene condizionati dalla condotta dell’amministrazione e degli altri prigionieri non hanno avuto la possibilità di reagire, rimanendo praticamente al di fuori.
Ovviamente, l’apatia è perpetrata anche dalle grandi dosi di psicofarmaci, valvola di sfogo che inevitabilmente è creata dalla condizione di prigionia e dai mezzi di controllo, imposizione, profitto e rafforzamento dell’economia anche informale.
Nel contesto dei prima citati equilibri e data la condizione di esistenza di poli gerarchici di autorità all’interno del carcere, è importante cercare di chiarire a che livello si collegano queste due cose.
I gruppi in prigione non differiscono molto da quelli nel resto della società. Sono strutturati sia sulla provenienza o sulla “rete” di interessi, spesso entrambi.
C’è infatti un modo di organizzarsi (complicato in molti casi) basato sul potere di negoziabilità che abbiamo descritto prima, con relazioni piuttosto agili all’interno cosi come tra i gruppi, dove le decisioni per le questioni carcerarie principali vengono prese dai vertici della gerarchia. Un diretto risultato di ciò è ovviamente la frammentazione della “comunità” delle prigionieri, qualcosa che è supportato e promosso anche dall’amministrazione con la logica del “divide e impera” col fine ultimo, come sempre, di smussare il funzionamento della prigione.
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Da parte nostra vogliamo chiarire ai nostri compagni fuori il modo in cui cerchiamo di muoverci qui e i motivi per i quali sta avvenendo ciò.
In carcere abbiamo conosciuto molta gente nuova, scambiato opinioni, siamo andati d’accordo e non, e abbiamo capito che una delle cose sulle quali concordiamo è stato il nostro desiderio di non essere assimilati e non accettare il carcere come uno spazio e un modo di funzionare. Per il noi il fatto che un anarchico rivoluzionario sia in ostaggio per un periodo di tempo non vuol dire che dimentica il motivo per il quale è entrato in carcere, né che si comprometterà con la situazione fino a quando uscirà. Infatti, indipendentemente dai punti di accettazione con i quali ci compromettiamo per necessità, non possiamo non resistere contro l’amministrazione e i gruppi autoritari cosi come le logiche della sottomissione e del cannibalismo che questi promuovono.
Abbiamo percepito chiaramente che il carcere è un luogo dove dominano le convenzioni, abbiamo sperimentato intensamente la nostra debolezza nello scontrarci direttamente col nemico, siamo cosi furibondi che anche i bisogni elementari come vedere i nostri cari sono mediati. La prigione come spazio e relazioni che la governano ha il suo modo di controbattere, isolare e individualizzare. La realtà condensata dentro le mura ci ha fatto tornare alle convinzioni e fatto tollerare situazioni che non avremmo neanche pensato fuori.
Ecco perché riteniamo molto importante creare una comunità con caratteristiche politiche. Una comunità che funzioni in modo antigerarchico, senza mediazioni con l’amministrazione –cioè, che non intenda trasformarsi in un altro mezzo di mediazione tra amministrazione e prigionieri– e riesca ad unire i prigionieri che sono sensibili a questi valori cosi come i compagni e le strutture fuori.
La comunità in nessun caso implica identificazione di idee. Visto che il suo fine è diffondersi dentro le mura e unirsi ai progetti anarchici fuori, sperimentare esperienze e percezioni. Essa mira alla nostra difesa contro le condizioni alienanti della nostra prigionia e all’attacco contro l’istituzione carceraria. Si prefigge di costruire relazioni basate non sulla cultura machista-carceraria delle bravate, come forza e imposizione, ma relazioni basate sul mutuo rispetto e sul riconoscimento delle differenze.
In base a ciò alcuni di noi insieme ad altri prigionieri hanno creato l’Iniziativa degli ostaggi anarchici a Koridallos e la Rete dei prigionieri anarchici. Queste due formazioni operano sull’iniziativa, che vuol dire una composizione non rigida su alcuni argomenti comuni mirati al nostro intervento, parole e azioni, in vari incidenti dentro e fuori il carcere. Inoltre promuoviamo la coordinazione e la cooperazione tra prigionieri in vari carceri in Grecia, anarchici o no, che riconoscono l’importanza e la necessità di azioni organizzate e aggressive contro le prigioni.
Una comunità di prigionieri anarchici può agire come catalizzatore e sabotare il funzionamento del carcere. In base alla composizione di ogni padiglione e al livello di rapporto che ha con l’amministrazione può causare esplosioni contro l’istituzione, cosi come può accettare l’oppressione dei prigionieri stessi al fine di mantenere l’equilibrio. Può sembrare a strano per chi sta fuori mala realtà del carcere è che se devi scegliere di attaccare una delle sue strutture e chi le rappresenta, devi prendere in considerazione non solo le reazioni dell’amministrazione e dello stato in generale, ma anche quelle dei prigionieri stessi. Questo ovviamente non vuol dire che smetteremo di continuare e cercare di condividere momenti di lotta con altre persone vere dentro e fuori le mura.
Non abbiamo bisogno di sottolineare quanto le condizioni di crisi economica, la polarizzazione sociale, l’apparizione di nuovi progetti rivoluzionari, la conseguente intensificazione dell’oppressione e la situazione sociale generale liquida continueranno sempre più a nutrire le prigioni con chi lotta o semplicemente chi è inutile per il capitalismo e lo stato.
Ciò che serve è capire che le prigioni sono un altro campo dell’intervento anarchico rivoluzionario e prepararsi a questo.
Yannis Michailidis
Grigoris Sarafoudis
Andreas-Dimitris Bourzoukos
Alexandros Mitrousias
Dimitris Politis
Fivos Harisis
Tasos Theofilou
Argyris Ntalios
Giorgos Karagiannidis
Babis Tsilianidis
* 1 – L’aspirante bullo; 2 – detenuto sottomesso a causa della sua posizione; 3 – lo scagnozzo; 4 – prigioniero di basso livello che viene pagato per commissioni come servo di altri prigionieri.