9 giugno 2016

SVIZZERA/ITALIA: ESERCITAZIONE ODALESCHI - TRA MILITARIZZAZIONE E PROPAGANDA DEL RISCHIO

riceviamo e diffondiamo:

Esercitazione Odescalchi, un'altra lettura

Tra il 19 ed il 22 giugno prossimo, nella zona di confine tra Chiasso e Como, si svolgerà un'imponente esercitazione militare, denominata "Odescalchi". L’esercito svizzero e quello italiano sono i due protagonisti, ma a gestire l'incendio di un treno merci contenente sostanze nocive e l'evacuazione della popolazione dall'area ci sono anche i diversi corpi di polizia, le guardie di confine, la protezione civile, i vigili del fuoco, ossia tutte le rotelle dello stesso ingranaggio, che possiamo denominare repressione, guerra, controllo, democrazia, Stato.
Naturalmente non poteva mancare la RUAG, azienda elvetica produttrice di tecnologie belliche, fornitrice dell’esercito svizzero ed esportatrice di armi. Le ferrovie svizzere (SBB-CFF-FFS) collaboreranno, mettendo a disposizione il treno che subirà l’incidente. Mentre per documentare il tutto, saranno presenti i media di regime, l’RSI (radio-televisione della Svizzera Italiana), i quali già ora non hanno mancato nell'elogiare l'esercitazione per il suo nobile scopo: la protezione della popolazione.
In tempi resi incerti dai continui allarmismi mediatici, la gente ha bisogno di sentirsi maggiormente rassicurata e protetta, per cui eccoli, a mobilitarsi in 5'000 per sbarcare nel mendrisiotto e mettersi in bella mostra nell'esercizio della protezione civile.

La percezione che abbiamo noi è però ben diversa, e nella loro retorica senza macchie e sbavature vi scorgiamo crepe e specchietti per le allodole.

Abituarci alla nocività

Il progresso industriale ci ha fatto ritrovare a vivere le nostre vite in ambienti colonizzati dalle esigenze dell'economia di mercato e della società tecno-industriale. L'aria si fa sempre meno respirabile e le "superfici verdi" spariscono per fare posto all'urbanizzazione che avanza. La Svizzera è riconosciuta a livello internazionale, almeno in ambito turistico, come un’oasi di natura incontaminata. Montagne, boschi, sorgenti da cui zampilla acqua fresca e pulita. Il turismo è evidentemente una forma di marketing subdola tanto quanto schizofrenica, che elogia vallate incontaminate ma si dimentica di qualche altro piccolo dettaglio: di Beznau, la centrale nucleare con i suoi 47 anni di produzione di scorie radioattive di cui tutt'ora s'ignora il modo con cui smaltirle, del distretto farmaceutico basilese con il suo inquinamento delle falde acquifere e dei suoli per i decenni di attività di industrie chimiche e farmaceutiche (alcune delle quali di proprietà di politici del governo elvetico) dei concimi, diserbanti e trattamenti “fitosanitari” chimici spruzzati costantemente, senza i quali l’agricoltura convenzionale moderna non può campare, delle sedi delle multinazionali (da nestlè a novartis) che hanno più scheletri che soldi negli armadi, degli assi stradali che ci regalano enormi quantità di CO, O3, NO2, SO2, C6H6, PM10, PM2.5 e tante altre schifezze. Insomma, l'isola felice non c'è. Non esiste più fiume o boccata d'ossigeno che non contenga sostanze chimiche nocive e il funzionamento della società tecno-industriale ha bisogno del loro continuo passaggio attraverso l’Europa.
 L'esistenza e l'impiego di queste nocività, nonché il loro frequente traffico (anche da Chiasso) non viene messo nemmeno in discussione pur davanti alla triste realtà che parla da sé: nei numeri di tumori che colpiscono le persone, negli ecosistemi che spariscono, nel cambiamento climatico in atto ecc.  Anzi, attraverso questa esercitazione militare provano invece a legittimarne e a tutelarne l’utilizzo, fornendo alla popolazione una sensazione di rassicurazione. Viviamo in un territorio riempito di nocività ma tutto è sotto controllo!
L'ordine impartito è: ubbidire e sottomettersi alla nocività.

Esercitarci alla sottomissione

Sin da piccoli/e siamo abituati all'obbedienza. Dai genitori, ai docenti, ai preti, agli allenatori, agli sbirri... ci crescono inculcandoci profondamente l’idea di dover ubbidire e sottostare a delle figure autoritarie. L'esercito è anche tra queste, anzi, storicamente, quella più ossessionata con l'ubbidienza e la sottomissione. L'uniforme non tollera la discussione, impartisce comandi. D’altro canto, siamo stati/e abituati/e a pensare di vivere in una società libera, capendo però che è libera soltanto nella misura in cui ciò che siamo liberi/e di fare è deciso da uno Stato autoritario. Sappiamo bene tutti/e infatti, che nel caso dovessimo vivere un “evento eccezionale”, che sia una "catastrofe naturale" o piuttosto un "attentato terroristico", le nostre libertà non saranno più trattabili e il nostro vivere quotidiano sarà sottomesso ad arbitrarie restrizioni: le "disposizioni emergenziali". Nell'ultimo decennio lo stato di emergenza attuato dai regimi democratici europei, cavalcando l’onda degli attacchi terroristici, attraverso le politiche populiste, le campagne razziste (vedi l'attuale legge contro la dissimulazione del volto detta “anti burqa”) contro i flussi migratori, ha preparato un terreno fertile in cui la paura e l’insicurezza comune fanno da concime ai semi del controllo e della militarizzazione del territorio.
In un decennio, attraverso lo stato di emergenza continuo con cui mediaticamente veniamo martellati/e dal quel lontano 11 settembre 2001,  è stata costruita una formidabile accettazione popolare alla militarizzazione del territorio e, senza più un vero fronte in cui si combatte, la guerra è tra le nostre vite, nelle vie addobbate da telecamere, è in un telefono controllato, in un’abitazione perquisita, in un blocco di polizia, in un individuo sbattuto fuori da un treno al confine, in migliaia di morti nei mari o nei campi profughi. I due antagonisti sono il controllo e chi da esso vuole sfuggire e combatterlo.
La libertà è un bene in concessione e non una condizione che ci appartiene. L'Operazione Odescalchi è qui a ricordarcelo e ci aiuta a interiorizzare la nozione per cui non sottomettersi non è un opzione.

Ricordarci la repressione

Sbirciando tra i contenuti dell’esercitazione, notiamo un inaspettato legame tra i compiti che verranno svolti dai militari durante quest'ultima e una, se non l'unica, situazione di reale "emergenza" prospettate a breve termine dai maghi degli uffici di polizia della Confederazione. Si aspettano, naturalmente, l'“invasione” di massa da parte di migranti durante il periodo estivo. Guarda caso, negli ultimi mesi è stato anche deciso, in ambito governativo, che in caso di una "crisi migratoria" l'esercito potrà essere impiegato lungo le frontiere e già da subito le reclute si stanno esercitando al fianco delle guardie di confine per imparare e affinare le tecniche di raccolta d'informazione, di controllo, di fermo e di arresto.
Durante quest’esercitazione, il compito dell’esercito sarà principalmente quello della gestione degli “sfollati” che dovranno lasciare le loro case a causa della pericolosità della nube tossica creata dall’incidente. L'esercito sarà allora chiamato a dover gestire grandi quantità di persone, riuscire a spostarle e piazzarle in campi allestiti dai militari, mantenere l’ordine e il controllo. Vediamo chiaro e netto il legame nelle finalità dell'esercitazione e la situazione migratoria attuale. In soccorso a questa nostra tesi, c'è l'allestimento, previsto a Riva San Vitale, di un carcere in cui le reclute della scuola di polizia provvederanno a rinchiudere i cosiddetti "sciacalli", ovvero persone che potrebbero approfittare del caos momentaneo per provare ad appropriarsi di quanto solitamente a loro viene negato.

Chiasso brucia, la popolazione si trova a dover respirare le esalazioni tossiche di centinaia di litri di gas butano esploso mentre piange le vittime, e lo Stato interviene a ricordare qual è la sua funzione principale, allestendo un carcere ad una quindicina di chilometri dall'incidente. La ragion di Stato è quella che prevale e nella sua logica non può esistere soccorso senza repressione, non ci può essere aiuto senza sottomissione. Ce lo insegnano le politiche di "accoglienza", ce lo riconferma un'esercitazione che davanti a una catastrofe annunciata, costruisce un carcere per chi non starebbe ai giochi ma deciderebbe di ribellarsi.

Non accettiamo le nocività che stanno distruggendo il pianeta, non accettiamo l’intero sistema tecnologico industriale che le produce. Non accettiamo la repressione, nemmeno quando travestita da salvatrice. Non accettiamo le frontiere. Non accettiamo l'autorità.

NON ESISTONO DIVISE BUONE! NON ESISTONO FRONTIERE GIUSTE!
NO ALLA MILITARIZZAZIONE DELLE NOSTRE VITE E DEI LUOGHI IN CUI VIVIAMO!



anarchici/che


VENTIMIGLIA: SU RASTRELLAMENTI DI MIGRANTI E REPRESSIONE DI SOLIDALI

Aggiornamenti da noborders20miglia

Non c'è stato alcuno sgombero del campo di Ventimiglia. È bastata la minaccia di un'azione di forza della polizia a far ripiegare il campo di fortuna sorto qualche settimana fa sulle rive del fiume Roya. È evidentemente la scelta di una comunità fragile, poco sicura di se stessa perché nata in mezzo alle ostilità, in quest'europa in guerra. I/le migranti in viaggio hanno sperato fino all'ultimo che di fronte a una scelta tanto umile l'intervento militare non ci sarebbe stato.

Domenica quindi all'ora indicata dall'ordinanza del sindaco Ioculano migranti e solidali si trovavano in spiaggia, in assemblea, a discutere di dove andare, come rimanere visibili, come riuscire a rimanere a Ventimiglia senza essere deportati. Ai telefoni dei/delle solidali presenti cominciano a giungere telefonate allarmanti. Avvocati, associazioni e altre fonti sono unanimi: ci sono almeno 150 uomini delle forze dell'ordine a Imperia che si preparano ad una grossa operazione. Pullman e aerei sono pronti per il giorno successivo.

L'assemblea ricomincia e alla scelta di resistere prevale il bisogno di protezione. Non tutti sono d'accordo, ma alla fine ci si dirige verso la chiesa più vicina. L'idea è di occuparla senza mediazioni. Le porte della chiesa vengono chiuse, si prova a forzare e il prete pare spaventato, ma poi interviene il Vescovo, di nuovo lui, Suetta, che quando le cose precipitano è sempre pronto a metterci una buona parola.

Molte persone, circa duecento, trovano quindi rifugio in chiesa. In città ce n'è almeno un altro centinaio. In molti non ci stanno e si dirigono verso il confine, altri provano a nascondersi in città. Diversi solidali, vista la situazione, preferiscono restare in strada e continuare a monitorare quanto accade. Si smonta il campo in spiaggia e si cerca comunque di supportare i/le migranti in chiesa. La loro scelta non piace a tutti/e, ma sebbene sia evidente la difficoltà a costruire insieme un discorso collettivo non schiacciato dalla paura, rimane la determinazione di tante persone a non andarsene da Ventimiglia.

Lunedì mattina, poco prima delle 6, è scattata l'operazione di "sgombero" della città. La situazione è grottesca: squadroni di carabinieri, militari, agenti di polizia e della guardia di finanza sfilano per la città dando la caccia ai/alle migranti. Gruppi di almeno una ventina di agenti rastrellano e inseguono poche persone che si nascondono o che non sanno nemmeno cosa stia succedendo.

Una disparità di forze terribile e agghiacciante. La città è militarizzata. I controlli si concentrano dapprima nella zona della spiaggia, della stazione e nel lungo Roia. Le persone vengono fermate, alcune chiuse dentro la sala d'attesa della stazione e viene loro tolto il telefono. Verso le 9 del mattino parte il primo autobus pieno di persone senza documenti, pare diretto verso qualche centro vicino a Ventimiglia.

Per tutto il giorno tra la frontiera alta e la città continuano questi rastrellamenti. Vengono fermate le persone che arrivano con il treno da Genova. Altri due autobus partono verso le 13, questa volta la direzione è Genova dove ad aspettarli pare ci siano dei voli della Mistralair, compagnia area delle Poste Italiane, diretti verso i cara di Mineo e di Bari. Gli ultimi due autobus partono, invece, verso le 16 in direzione dell'autostrada. Non è chiara quale sia la loro meta.

La situazione in stazione a Ventimiglia torna alla normalità: nel corso del pomeriggio i rastrellamenti avvengono direttamente a Genova Principe, dove almeno una decina di persone sono state fermate. Dopo il primo giorno di rilancio del piano Alfano la strategia delle autorità appare la stessa di qualche settimana fa: deportare le persone senza documenti presenti a Ventimiglia e bloccare nuovi arrivi in città. Solo che a questo punto il fallimento di questa politica razzista e violenta può essere mitigato dal protagonismo di santa romana chiesa.

In chiesa le assemblee si susseguono, mentre le notizie di quanto accade a Ventimiglia riempiono i media locali e nazionali. Le cronache dicono che le operazioni di polizia scorrono tranquille, come se la pulizia etnica di una città fosse ordinaria amministrazione. Il resto della scena è tutta del vescovo Suetta, sempre pronto alle emergenze, che propone una tendopoli nel giardino del seminario gestita da Croce Rossa e Protezione Civile. Le tendopoli poi diventano tre, ma in realtà si sa ancora poco delle trattative tra Vescovo, Sindaco e Prefetto. Suetta sembra non aver alcun problema a stare allo stesso tavolo dei responsabili delle deportazioni in corso.

I limiti di queste giornate sono evidenti. La scelta dell'assemblea è stata più un'espressione del bisogno di protezione e della volontà di superare il confine, che una scelta politica. Chiesa cattolica e Croce Rossa hanno mostrato un attivismo già visto in passato e stanno continuando a spostare il discorso pubblico sui bisogni, eludendo la questione centrale, quella del confine e della sua chiusura e guardandosi bene dal denunciare violenze e deportazioni, a cui peraltro la CRI ha spesso e volentieri partecipato. Per la polizia la giornata è stata fin troppo tranquilla, con duecento persone protette dalla chiesa non restava che rastrellare le strade prendendo i/le migranti in piccoli gruppi e aspettando quelli/e che arrivavano in stazione.

Restano comunque delle possibilità. Le persone rifugiate in chiesa sono sfuggite alla deportazione e da due giorni sono in assemblea permanente con i/le solidali presenti. Domani si dovrà uscire da quella maledetta chiesa e a quel punto si capirà meglio dove va la determinazione delle persone in viaggio e di chi le supporta e fino a che punto le autorità sono disposte ad arrivare pur di tener fede ai loro propositi razzisti. La strategia del governo è fallimentare, su questo non ci sono dubbi, e le persone continueranno ad arrivare a Ventimiglia e a bruciare il confine, tutti i giorni.

alcune/i solidali di Ventimiglia e dintorni
al fianco di chi viaggia, contro ogni frontiera


AGGIORNAMENTO:

Post scriptum: mentre finiamo di scrivere queste righe la polizia è entrata dentro la chiesa dove si sono rifugiate le persone senza documenti e ha preso tutte le/gli europee/i solidali. Quindici persone sono state portate nella caserma di polizia e stanno subendo una perquisizione personale ed un identificazione fotodattiloscopica.
Sono stati successivamente emanati fogli di via per molti/e solidali.

La frontiera è ovunque, fermare le merci per fare passare le persone, bloccare tutto, inceppare la macchina delle espulsioni!

RADIOCANE: NUOVI BANDITI A TORINO

Dopo la messa al bando di altri dodici compagni/e da Torino, si discute di queste misure e di come si inseriscano in un piano di normalizzazione più ampio che coinvolge interi pezzi di città e la loro messa a profitto. Come reagire a questa strategia repressiva è un qualcosa su cui tornare a riflettere, ma anche a cui rispondere nell’immediato. Ce ne hanno parlato alcuni/e torinesi ricordandoci di come, a volte, scegliere tra andare o restare diventa una questione di spazi contesi e di scelta tra il mettersi di traverso o il farsi da parte.

ascolta qui: nuovi banditi da Torino

RADIOCANE: ARGO PANOPTES E LA LOTTA DI CLASSE ASIMETRICA - UNA CONVERSAZIONE CON JOE VANELLI

Talvolta tocca lavorare. Talvolta si perde il lavoro. Non spetta a noi stabilire che cosa sia peggio.Sta di fatto che, nelle maglie ordite dal Jobs Act, occupati o «disponibili al lavoro» si è comunque sottoposti allo sguardo vigile del gigante Argo tuttocchi (Argo Panoptes), affinché possa la vita intera essere messa a valore. Dopo aver sondato i rapporti tra nuova legislazione antiterrorismo e distruzione del Welfare, in questo contributo scandagliamo le più recenti innovazioni in materia di diritto del lavoro, affidandoci a un acuto osservatore che ne mette a nudo le tentacolari implicazioni autoritarie.
ascolta:
http://www.radiocane.info/argo-panoptes/