Riceviamo e diffondiamo:
Il
14 marzo è uscito in prima pagina sulla Gazzetta di Parma un articolo,
firmato da Chiara Pozzati, col seguente titolo: "Cinque giovani dei
centri sociali indagati per violenza sessuale", menzionato poi anche in
notiziari nazionali, citando esplicitamente che i coinvolti sarebbero
militanti antifascisti.
A tal proposito ci sembra decisamente utile
fare alcune riflessioni piuttosto che puntare il dito accusando
qualcuno, atto che non ci si addice proprio. Siamo ben consapevoli che
l'argomento sia spinoso e non facile, ma ci sembra necessario chiarire
alcuni punti.
Abbiamo deciso di non esprimerci per nulla sul fatto in
sé dato che le indagini sono ancora in corso e quindi si rischia di
danneggiare qualcuno degli imputati; non ci sembra il momento opportuno,
ma siamo sicuri che, a tempo debito, le cose da dire saranno tante.
Fermo restando che l'atto dello stupro non è e non deve essere
tollerato.
L'articolo, per poter essere letto e analizzato
seriamente, non va considerato isolato dal contesto. Infatti, già da
alcuni mesi viene portata avanti una campagna mediatica dalla Gazzetta
di Parma (e spesso gli articoli sono firmati dalla stessa Chiara
Pozzati) e non solo, incentrata sulla lotta contro gli sfratti, gli
antifascisti e un centro sociale in particolare (SPA Sovescio).
Lo
stesso giorno, infatti, nella stessa pagina, quasi come se i due
articoli fossero collegati, se non proprio consequenziali, era presente
anche un altro articolo riguardante lo SPA Sovescio e i suoi inquilini.
Inoltre
anche il giorno precedente lo spazio sociale e i suoi inquilini si sono
guadagnati la prima pagina della Gazzetta di Parma. E anche questo
articolo firmato da Chiara Pozzati. Tutto questo a dimostrare la volontà
mediatica di sbattere il mostro in prima pagina e il ruolo dei media di
ingranaggio della macchina repressiva. La loro funzione quella di
creare terra bruciata attorno a chi viene, per un motivo o per l'altro,
colpito dalla repressione, di creare terreno fertile per la stessa e di
dividere le realtà in lotta.
I fatti, secondo quanto ricostruiscono i
giornali, sarebbero avvenuti in Via Testi, nello specifico in una
piccola stanza, allora sede della Rete AntiFascista Parmigiana (ma anche
di altre realtà). Ci sembra totalmente strumentale il voler collegare
questa sede con uno spazio occupato nato in un altra zona della città e a
3 anni di distanza dai fatti in questione.
Nei giorni subito
seguenti si è verificata una levata di scudi. In tanti, troppi, hanno
fermamente e superficialmente preso una posizione in merito. Per quanto
riguarda partiti e politicanti vari non ci interessa citarli, lasciano
il tempo che trovano. Per quelli che, d'altro canto, incrociano il
nostro cammino durante alcune lotte, invece, ci sono alcuni punti che ci
preme evidenziare.
Ci sembra, infatti, che ogni qual volta vengano
toccati certi tasti ( "stupro", "terrorismo", "mafia", ... )
l'obiettività di molti verso i media scompare immediatamente e tutto ciò
che viene scritto o detto viene preso come oro colato.
Tante sono
state le voci che, al limite del forcaiolo, nella foga dell'esprimere la
propria estraneità a queste pratiche e fatti, hanno augurato che la
giustizia (dello Stato) faccia il suo corso. Arrivando inoltre ad
auspicare agli indagati di non incrociare mai le loro strade.
Da ciò,
le questioni secondo noi importanti sono due: riteniamo che sia
inaccettabile prendere posizioni e distanze senza aver prima
effettivamente verificato, per quanto possibile, i fatti, ma anzi, dare
pieno credito a sbirri magistrati e giornalisti vari. Pensiamo che
questo sia un precedente importante e che questa strada non vada
intrapresa alla leggera, altrimenti agli organi repressivi basterebbe
un'infamata pubblica, con o senza elementi, veritieri o inventati che
siano, per annientare un'intera realtà.
L'altra questione che ci
preme trattare è l'importanza e il peso delle parole. Una lezione che i
media hanno imparato molto bene è proprio questa: certe parole sono più
patite di altre. Quando le sentiamo, infatti, andiamo in confusione e
non vediamo più chiaramente i fatti. Non ci si rende però conto che
l'utilizzo strumentale di certi termini è un comportamento infame, nel
significato letterale di "non degno della pubblica stima", e in quanto
tale andrebbe lasciato al nemico, non andrebbe imitato. Tuttavia si ha
troppo spesso questa tendenza a puntare il dito e accusare senza averne
alcuna certezza.
Chiunque voglia distruggere l'esistente e/o
lottare contro questa società in toto, ma anche chi decide di spendersi
senza compromessi per traguardi e lotte specifiche, può essere colpito
dalla repressione.
Senza lottare contro di essa, però, ogni
sforzo rivoluzionario (o antifascista, antisessista...) risulterà vano.
Proprio per questo ci sembra totalmente ipocrita e inaccettabile
lamentarsi delle manganellate della polizia, delle denunce più o meno
pesanti, di campagne mediatiche e quant'altro quando si viene colpiti in
prima persona, per poi invocare la giustizia dello Stato o dissociarsi
da chi viene accusato e indagato da sbirri magistrati e giornali. È
proprio in questi momenti che è necessario rivolgersi ai diretti
interessati e trarre le proprie conclusioni (ed eventualmente agire di
conseguenza) dalle parole di un compagno, e non da quelle di un
giornale, o delle carte processuali. Ipocrisie come queste sono utili
soltanto a rafforzare la repressione stessa.
L'ultima, ma non per
importanza, riflessione in merito è invece relativa alle tempistiche.
Pensiamo sarebbe stato doveroso socializzare l'apertura delle indagini e
le conseguenti perquisizioni molto tempo prima dei tempi giudiziari o
mediatici, quanto meno per informare le realtà vicine di quanto stava
succedendo. Ci rendiamo conto che l'argomento sia molto delicato e
proprio per questo possiamo capire come mai ciò non sia stato fatto;
ovviamente, col senno di poi, questo ci dimostra come sia stato miope e
deleterio sottovalutare la questione.
Che tutto questo possa servire da esempio, per poter limitare i danni in caso di altre operazioni simili.
Alcuni compagni di Parma
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