15 gennaio 2014

DAL DOMINIO DELLA CONDOTTA ALLA DISCPLINA TOTALIZZANTE



1. "L'inversione funzionale delle discipline". In origine, si chiedeva loro soprattutto di neutralizzare dei pericoli,
di stabilizzare popolazioni inutili o agitate, di evitare gli inconvenienti di assembramenti troppo numerosi;
ormai si chiede loro, poiché ne sono divenute capaci, di giocare un ruolo positivo, facendo aumentare la
possibile utilità degli individui. La disciplina militare non è più semplicemente un mezzo per impedire il
saccheggio, la diserzione o la disobbedienza delle truppe; essa diviene una tecnica di base per l'esistenza
dell'esercito, non più come folla ammassata, ma come unità che ricava da questa stessa unità una maggiorazione
di forze; la disciplina fa crescere l'abilità di ciascuno, coordina queste abilità, accelera i movimenti, moltiplica
la potenza di fuoco, allarga il fronte d'attacco senza diminuirne il vigore, aumenta la capacità di resistenza,
eccetera. La disciplina di fabbrica, pur rimanendo una via per far rispettare i regolamenti e le autorità, impedire i
furti o la dissipazione, tende ad accrescere le attitudini, le velocità, i rendimenti, e dunque i profitti; essa
continua a moralizzare le condotte ma, sempre più, finalizza i comportamenti, e fa entrare i corpi in un
ingranaggio e le forze in una economia. Allorché, nel secolo Diciassettesimo, si svilupparono le scuole di
provincia e le scuole cristiane elementari, le giustificazioni che se ne davano erano soprattutto negative: i
poveri, non avendo i mezzi per allevare i figli, li lasciavano «nell'ignoranza dei loro obblighi: le preoccupazioni
che hanno per vivere, ed essendo stati essi stessi male educati, non possono comunicare una buona educazione
che non hanno mai avuto»; il che genera tre inconvenienti principali: l'ignoranza di Dio, l'infingardaggine (con
tutto il suo corteggio di ubriachezza, corruzione, furtarelli, brigantaggio); e la formazione di quelle bande di
straccioni, sempre pronti a provocare disordini pubblici, «buoni proprio ad esaurire i fondi dell'Hôtel Dieu»
(102). Ora, all'inizio della Rivoluzione, lo scopo che si prescriverà all'insegnamento primario sarà, tra l'altro, di
«fortificare», di «sviluppare il corpo», di disporre il bambino «in avvenire, a qualche lavoro meccanico», di
dargli «un giusto colpo d'occhio, la mano sicura, le abitudini pronte»(103). Le discipline funzionano sempre di
più come tecniche per fabbricare individui utili. Di qui, il fatto che esse si liberano della posizione marginale ai
confini della società, si staccano dalle forme dell'esclusione o della espiazione, della reclusione o del ricovero.
Di qui il fatto che esse sciolgono lentamente la loro parentela con le regole e le clausure religiose. Di qui anche
ch'esse tendono ad installarsi nei settori più importanti, più centrali, più produttivi della società e vanno ad
innestarsi su alcune delle grandi funzioni essenziali: la produzione manifatturiera, la trasmissione delle
conoscenze, la diffusione delle attitudini e delle abilità, l'apparato bellico. Di qui infine la doppia tendenza, che
vediamo svilupparsi nel corso del secolo Diciottesimo, a moltiplicare il numero delle istituzioni disciplinari ed
a disciplinare gli apparati esistenti.
2. "La proliferazione dei meccanismi disciplinari". Mentre da una parte gli stabilimenti di disciplina si
moltiplicano, i loro meccanismi hanno una certa tendenza a «disistituzionalizzarsi», ad uscire dalle fortezze
chiuse dove funzionavano, ed a circolare allo stato «libero»; le discipline massicce e compatte si scompongono
in procedimenti flessibili di controllo, che si possono trasferire ed adattare. Talvolta, sono gli apparati chiusi ad
aggiungere alla loro funzione interna e specifica un ruolo di sorveglianza esterna, sviluppando all'intorno tutta
una fascia di controlli laterali. Così la scuola cristiana non deve più soltanto formare giovani docili, ma deve
anche permettere di sorvegliare i genitori, di informarsi del loro sistema di vita, delle loro risorse, della loro
pietà, dei loro costumi. La scuola tende a costituire minuscoli osservatori sociali per penetrare fino agli adulti
ed esercitare su di loro un controllo regolare: la cattiva condotta di un alunno, o la sua assenza, è, secondo
Lamia, pretesto legittimo per andare ad interrogare i vicini, soprattutto se si ha ragione di credere che la
famiglia non dirà la verità; poi gli stessi genitori, per verificare se sappiano il catechismo e le preghiere, se
siano risoluti a sradicare i vizi dei figli, quanti siano i letti e come vi si ripartisca durante la notte; la visita si
concluderà eventualmente con un'elemosina, il dono di un'immagine, o l'attribuzione di letti supplementari
(104). Nello stesso modo, l'ospedale viene sempre più concepito come punto d'appoggio per la sorveglianza
medica della popolazione esterna; dopo l'incendio all'Hôtel Dieu, nel 1772, vengono avanzate numerose
richieste perché si sostituiscano i grandi stabilimenti, così pesanti e disordinati, con una serie di ospedali di
dimensioni ridotte; essi avranno la funzione di accogliere gli ammalati di quartiere, ma anche di riunire
informazioni, di vegliare sui fenomeni endemici o epidemici, aprire dispensari, dare consigli agli abitanti e
tenere al corrente le autorità sullo stato sanitario della regione (105).
Vediamo inoltre le procedure disciplinari diffondersi, partendo non da istituzioni chiuse, ma da centri di
controllo disseminati nella società. Gruppi religiosi e associazioni di beneficenza hanno giocato a lungo questo
ruolo di «messa in disciplina» della popolazione. Dopo la Controriforma, fino alla filantropia della monarchia
di Luglio, le iniziative di questo tipo si sono moltiplicate; esse avevano obiettivi religiosi (la conversione e la
moralizzazione), economici (il soccorso e l'incitamento al lavoro), politici (si trattava di lottare contro lo
scontento o l'agitazione). E' sufficiente citare a titolo di esempio i regolamenti per le compagnie di carità delle
parrocchie parigine. Il territorio da coprire è diviso in quartieri e cantoni, che i membri della compagnia si
ripartiscono. Questi devono visitarli regolarmente: «essi lavoreranno ad impedire i cattivi ritrovi, tabaccherie,
accademie, bische, scandali pubblici, bestemmie, empietà, ed altri disordini che venissero a loro conoscenza»;
dovranno anche fare visite individuali ai poveri. I punti di informazione sono precisati dai regolamenti: stabilità
dell'alloggio, conoscenza delle preghiere, frequentazione dei sacramenti; conoscenza di un mestiere, moralità (e
«se non sono caduti in povertà per colpa loro»); infine «bisogna informarsi abilmente in qual modo si
comportano nell'intimità, se sono in pace tra loro e coi vicini, se si prendono cura di allevare i figli nel timore
di Dio... se non fanno dormire nello stesso letto e con loro i figli grandi di sesso diverso, se non sono affetti da
libertinaggio e da lusinghe nelle famiglie, specialmente verso le figlie maggiori. Se si dubita che siano sposati,
bisogna chiedere un certificato del loro matrimonio» (106).
3. "La statizzazione dei meccanismi disciplinari". In Inghilterra, furono gruppi privati, d'ispirazione religiosa ad
assicurare, per lungo tempo, le funzioni di disciplina sociale (107); in Francia, se una parte di questo ruolo
rimase nelle mani delle società di patronato, un'altra - e senza dubbio la più importante - passò ben presto
all'apparato di polizia.
L'organizzazione di una polizia centralizzata apparve a lungo, ed agli occhi degli stessi contemporanei, come
l'espressione più diretta dell'assolutismo reale; il sovrano aveva voluto avere «un magistrato suo, al quale
potesse affidare direttamente i suoi ordini, i suoi incarichi, le sue intenzioni, e che fosse incaricato
dell'esecuzione degli ordini e delle "lettres de cachet"» (108). In effetti, pur rappresentando un certo numero di
funzioni preesistenti - ricerca di criminali, sorveglianza urbana, controllo economico e politico -, le
luogotenenze di polizia e la luogotenenza generale che le coronava a Parigi, le trasponevano in una macchina
amministrativa, unitaria e rigorosa: «Tutti i raggi di forza e di informazione che partono dalla circonferenza,
vengono a sboccare al luogotenente generale... E' lui che fa muovere tutte le ruote il cui insieme produce ordine
e armonia. Gli effetti della sua amministrazione non possono essere meglio paragonati che al moto dei corpi
celesti» (109).
Ma sebbene la polizia come istituzione sia stata organizzata sotto forma di un apparato dello Stato, sebbene sia
stata collegata direttamente al centro della sovranità politica, il tipo di potere ch'essa esercita, i meccanismi
ch'essa mette in gioco e gli elementi ai quali li applica, sono specifici. E', un apparato che deve essere
coestensivo all'intero corpo sociale, e non solamente per i limiti estremi che raggiunge, ma per la minuzia dei
dettagli che prende in carico. Il potere poliziesco deve vertere «su tutto»: tuttavia non è la totalità dello Stato né
del regno come corpo visibile e invisibile del monarca; è la polvere degli avvenimenti, delle azioni, delle
condotte, delle opinioni - «tutto ciò che accade» (110); l'oggetto della polizia, sono quelle «cose di ogni
istante», quelle «cose da poco» di cui parlava Caterina di Russia nella sua Grande Istruzione (111). Siamo, con
la polizia, nell'indefinito di un controllo che tenta idealmente di raggiungere il pulviscolo più elementare, il
fenomeno più passeggero del corpo sociale: «E ministero dei magistrati e ufficiali di polizia è fra i più
importanti; gli oggetti che esso abbraccia sono in qualche modo indefiniti, non si può percepirli che attraverso
un esame sufficientemente dettagliato» (112): l'infinitamente piccolo del potere politico.
E per esercitarsi, questo potere deve darsi lo strumento di una sorveglianza permanente, esaustiva, onnipresente,
capace di rendere tutto visibile, ma a condizione di rendere se stessa invisibile. Essa deve essere come uno
sguardo senza volto che trasforma tutto il corpo sociale in un campo di percezione: migliaia di occhi appostati
ovunque, attenzioni mobili e sempre all'erta, una lunga rete gerarchizzata, che, secondo Le Maire, comporta, per
Parigi, quarantotto commissari, e venti ispettori, gli «osservatori» pagati regolarmente, gli informatori pagati a
giornata, poi i denunciatori e infine le prostitute. E questa incessante osservazione deve essere cumulata in una
serie di rapporti e di registri; nel corso di tutto il secolo Diciottesimo, un immenso testo poliziesco tende a
ricoprire la società grazie ad una complessa organizzazione documentaria (113). E, a differenza dei metodi di
scritturazione giudiziaria o amministrativa, quello che si registra sono condotte, attitudini, virtualità, sospetti -
una permanente presa in carico del comportamento degli individui.
Ora, è necessario notare che questo controllo di polizia, sebbene per intero «nelle mani del re», non funziona in
una sola direzione. In effetti è un sistema a doppia entrata: deve rispondere, mettendo in moto l'apparato
giudiziario, alle volontà immediate del re; ma è anche suscettibile di rispondere a sollecitazioni dal basso; nella
loro immensa maggioranza, le "lettres de cachet", che furono a lungo il simbolo dell'arbitrio reale e che
squalificarono politicamente la pratica della detenzione, erano in effetti richieste dalle famiglie, dagli avvocati,
dai notabili locali, dagli abitanti dei quartieri, dai curati di parrocchia; e avevano la funzione di far sanzionare
con un internamento tutta una infra-penalità, quella del disordine, dell'agitazione, della disobbedienza, della
cattiva condotta; ciò che Ledoux voleva cacciare dalla sua città architettonicamente perfetta, e che chiamava i
«delitti da insorveglianza». Insomma, la polizia del secolo Diciottesimo, al suo ruolo di ausiliaria della
giustizia nella ricerca dei criminali e di strumento per il controllo politico dei complotti, dei movimenti di
opposizione o delle rivolte, aggiunge una funzione disciplinare. Funzione complessa perché unisce il potere
assoluto del sovrano alle più piccole istanze di potere disseminate nella società; perché, tra le differenti
istituzioni disciplinari chiuse (fabbriche, esercito, scuole), tende una rete intermedia, agente là dove quelle non
possono intervenire, disciplinando gli spazi non disciplinari: essa li ricopre, li collega fra loro, li garantisce con
la sua forza armata: disciplina interstiziale e metadisciplina. «Il sovrano, con una saggia polizia, abitua il
popolo all'ordine e all'obbedienza» (114).
L'organizzazione dell'apparato di polizia, nel secolo Diciottesimo, sanziona una generalizzazione delle discipline
che raggiunge le dimensioni dello Stato. Si capisce come, benché sia stata legata nella maniera più esplicita a
tutto ciò che nel potere del sovrano eccedeva l'esercizio della giustizia codificata, la polizia abbia potuto, con un
minimo di modificazioni, resistere alla riorganizzazione del potere giudiziario; e perché non abbia cessato di
imporgli sempre più pesantemente, fino ai nostri giorni, le proprie prerogative; ne è senza dubbio il braccio
secolare, ma, assai meglio dell'istituzione giudiziaria, essa fa corpo, per la sua estensione e i suoi meccanismi,
con la società di tipo disciplinare. Sarebbe inesatto, tuttavia, credere che le funzioni disciplinari siano state
confiscate e assorbite una volta per tutte da un apparato dello Stato.
La «disciplina» non può identificarsi né con una istituzione, né con un apparato; essa è un tipo di potere, una
modalità per esercitarlo, comportante tutta una serie di strumenti, di tecniche, di procedimenti, di livelli di
applicazione, di bersagli; essa è una «fisica» o una «anatomia» del potere, una tecnologia. E può essere presa in
carico sia da istituzioni «specializzate» (i penitenziari o le case di correzione del secolo Diciannovesimo), sia da
istituzioni che se ne servono come strumento essenziale per un fine determinato (istituti di educazione,
ospedali), sia da istanze preesistenti che vi trovano il mezzo per rinforzare o riorganizzare i loro meccanismi
interni di potere (sarà necessario un giorno mostrare come le relazioni intrafamigliari, essenzialmente nella
cellula genitori-figli, si siano «disciplinate», assorbendo dopo l'età classica schemi esterni, scolastici, militari,
indi medici, psichiatrici, psicologici, che hanno fatto della famiglia il luogo di emergenza privilegiato per la
questione disciplinare del normale e dell'anormale); sia da apparati che hanno fatto della disciplina il loro
principio di funzionamento interno (disciplinarizzazione dell'apparato amministrativo, a partire dall'epoca
napoleonica), sia infine da apparati statuali che hanno la funzione, non esclusiva ma principale, di far regnare la
disciplina a scala dell'intera società (la polizia).
Possiamo dunque parlare, nell'insieme, di formazione di una società disciplinare in quel movimento che va
dalle discipline chiuse, sorta di «quarantena» sociale, fino al meccanismo indefinitamente generalizzabile del
«panoptismo». Non è che la modalità disciplinare del potere abbia sostituito tutte le altre; ma si è infiltrata fra
le altre, talvolta squalificandole, pur servendo loro da intermediario, collegandole fra loro, prolungandole, e
soprattutto permettendo di portare gli effetti del potere fino agli elementi più sottili e più lontani. Essa assicura
una distribuzione infinitesimale del potere.
Pochi anni dopo Bentham, Julius redigeva il certificato di nascita di questa società (115). Egli, parlando del
principio panoptico, diceva che vi era in esso ben più di una ingegnosità architettonica: era «un avvenimento
nella storia dello spirito umano». In apparenza non è che la soluzione di un problema tecnico; ma attraverso di
essa si disegna tutto un tipo di società. L'antichità era stata una civiltà di spettacolo. «Rendere accessibile ad
una moltitudine di uomini l'ispezione di un piccolo numero di oggetti»: a questo problema rispondeva
l'architettura dei templi, dei teatri, dei circhi. Con lo spettacolo, predominavano nella vita pubblica le feste. In
questi rituali, dove colava il sangue, la società ritrovava vigore e formava per un istante come un grande corpo
unico. L'età moderna pone il problema inverso: «Procurare ad un piccolo numero, o perfino ad uno solo, la
vista istantanea di una grande moltitudine». In una società in cui gli elementi principali non sono più la
comunità e la vita pubblica, ma gli individui privati da una parte e lo Stato dall'altra, i rapporti si possono
regolare solo in una forma che sia esattamente l'inverso dello spettacolo: «E' ai tempi moderni, all'influenza
sempre crescente dello Stato, al suo intervento di giorno in giorno più profondo in tutti i dettagli e in tutte le
relazioni della vita sociale, che era riservato l'aumentarne e perfezionarne le garanzie, utilizzando e dirigendo
verso questo grande fine la costruzione e la distribuzione di edifici destinati a sorvegliare nello stesso momento
una grande moltitudine di uomini».
Julius leggeva come un processo storico compiuto ciò che Bentham aveva descritto come un programma
tecnico. La nostra società non è quella dello spettacolo, ma della sorveglianza; sotto la superficie delle
immagini, si investono i corpi in profondità; dietro la grande astrazione dello scambio, si persegue
l'addestramento minuzioso e concreto delle forze utili; i circuiti della comunicazione sono i supporti di un
cumulo e di una centralizzazione del potere; la bella totalità dell'individuo non è amputata, repressa, alterata dal
nostro ordine sociale, ma l'individuo vi è accuratamente fabbricato, secondo tutta una tattica di forze e di corpi.
Noi siamo assai meno greci di quanto non crediamo. Noi non siamo né sulle gradinate né sulla scena, ma in
una macchina panoptica, investiti dai suoi effetti di potere che noi stessi ritrasmettiamo perché ne siamo un
ingranaggio. L'importanza, nella mitologia storica, del personaggio napoleonico trova forse qui una delle sue
origini: esso è al punto di congiunzione dell'esercizio monarchico e rituale della sovranità e dell'esercizio
gerarchico e permanente della disciplina indefinita. Egli è colui che domina ogni cosa con un solo sguardo, ma
al quale nessun dettaglio, per infimo che sia, sfugge mai: «Voi potete giudicare come nessuna parte dell'Impero
sia priva di sorveglianza, come nessun crimine, nessun delitto, nessuna contravvenzione resti senza un
procedimento penale e come l'occhio del genio che sa tutto illuminare abbracci l'insieme di questa vasta
macchina, senza che nemmeno il minimo dettaglio possa sfuggirgli» (116). La società disciplinare, nel
momento della sua piena manifestazione, prende ancora, con l'Imperatore, il vecchio aspetto del potere di
spettacolo. Come monarca usurpatore dell'antico trono e nello stesso tempo organizzatore del nuovo Stato, egli
ha riunito in una figura simbolica e definitiva tutto il lungo processo per cui i fasti della sovranità, le
manifestazioni necessariamente spettacolari del potere, si sono estinti uno ad uno nell'esercizio quotidiano della
sorveglianza, in un panoptismo in cui la vigilanza di sguardi incrociati renderà presto inutile l'aquila quanto il
sole.
La formazione della società disciplinare rinvia ad un certo numero di vasti processi storici all'interno dei quali
essa prende posto: economici, giuridico-politici, scientifici.
1. In senso globale, possiamo dire che le discipline sono tecniche per assicurare la regolamentazione delle
molteplicità umane. E' vero che in questo non vi è nulla di eccezionale e neppure di caratteristico: ad ogni
sistema di potere si pone lo stesso problema. Ma, peculiare delle discipline, è che esse tentano di definire nei
riguardi delle molteplicità una tattica di potere che risponde a tre criteri: rendere l'esercizio del potere il meno
costoso possibile (economicamente, con la spesa modesta che richiede; politicamente, per la sua discrezione, la
sua esteriorizzazione limitata, la sua relativa invisibilità, la scarsa resistenza che suscita); fare sì che gli effetti di
questo potere sociale siano portati al massimo d'intensità ed estesi quanto più lontano possibile, senza scacchi,
né lacune; collegare infine questa crescita «economica» del potere al rendimento degli apparati all'interno dei
quali esso si esercita (che siano apparati pedagogici, militari, industriali, medici); in breve far crescere insieme
la docilità e l'utilità di tutti gli elementi del sistema. Questo triplice obiettivo delle discipline risponde ad una
congiuntura storica ben nota. E' da una parte, la grande spinta demografica del secolo Diciottesimo: aumento
della popolazione fluttuante (uno dei primi oggetti della disciplina, è il fissare; essa è un procedimento di
antinomadismo); cambiamento di scala quantitativa dei gruppi che si tratta di controllare o di manipolare
(dall'inizio del secolo Diciassettesimo alla vigilia della Rivoluzione francese la popolazione scolastica si è
moltiplicata, come senza dubbio la popolazione ospedalizzata; l'esercito in tempo di pace contava, alla fine del
secolo Diciottesimo, più di 200000 uomini). L'altro aspetto della congiuntura è la crescita dell'apparato
produttivo, sempre più esteso e complesso, sempre più costoso anche, e di cui si tratta di aumentare la
produttività. Lo sviluppo dei procedimenti disciplinari risponde senza dubbio a questi due processi o piuttosto
alla necessità di calibrare la loro correlazione. Né le forme residue del potere feudale, né le strutture della
monarchia amministrativa, né i meccanismi locali di controllo, né il concatenamento instabile che essi
formavano fra loro, potevano assicurare questo ruolo: ne erano impediti dalla estensione lacunosa e irregolare
della loro rete, dal loro funzionamento spesso conflittuale, ma soprattutto dal carattere «dispendioso» del potere
che vi si esercitava. Dispendioso in molti sensi: perché, direttamente, costava troppo al Tesoro, perché il
sistema della venalità degli uffici o quello degli appalti gravava in maniera indiretta ma molto pesante sulla
popolazione, perché le resistenze che incontrava lo trascinavano in un ciclo di continuo rafforzamento, perché
procedeva essenzialmente per prelevamenti (prelevamento di denaro o di prodotti da parte della fiscalità
monarchica, signorile, ecclesiastica; prelevamento di uomini o di tempi con le "corvées" o gli arruolamenti, la
reclusione dei vagabondi o il loro bando). Lo sviluppo delle discipline segna l'apparire di tecniche elementari
del potere che derivano da tutt'altra economia: meccanismi di potere che in luogo di intervenire «in deduzione»,
si integrano dall'interno all'efficacia produttiva degli apparati, alla crescita di questa efficacia e all'utilizzazione
di ciò che essa produce. Al vecchio principio «prelevamento-violenza» che reggeva l'economia del potere, le
discipline sostituiscono il principio «dolcezza-produzione-profitto». Esse devono essere considerate come delle
tecniche che permettono di adeguare fra loro, secondo questo principio, la molteplicità degli uomini e la
moltiplicazione degli apparati di produzione (e con ciò bisogna intendere non solo «produzione» propriamente
detta, ma la produzione di sapere e di attitudini nella scuola, la produzione di salute negli ospedali, la
produzione di forza distruttrice dell'esercito).
In questo compito di adeguamento, la disciplina deve risolvere un certo numero di problemi, per i quali l'antica
economia del potere non era sufficientemente armata. Essa può far decrescere la «disutilità» dei fenomeni di
massa: ridurre ciò che, in una molteplicità, fa sì ch'essa sia molto meno maneggevole di una unità; ridurre ciò
che si oppone all'utilizzazione di ciascuno dei suoi elementi e della loro somma; ridurre tutto ciò che in essa
rischia di annullare i vantaggi del numero; perciò la disciplina fissa, stabilizza o regola i movimenti; risolve le
confusioni, le agglomerazioni compatte su circolazioni incerte, le ripartizioni calcolate. Essa deve anche
dominare tutte le forze che si formano partendo dalla costituzione stessa di una molteplicità organizzata; deve
neutralizzare gli effetti di contropotere che ne nascono, opponendo resistenza al potere che vuole dominarla:
agitazioni, rivolte, organizzazioni spontanee, coalizioni - tutto ciò che può dipendere da congiunzioni
orizzontali. Di qui il fatto che le discipline utilizzano i procedimenti di separazione e di verticalità; che
introducono, tra i differenti elementi di uno stesso piano separazioni tanto stagne quanto è possibile; che
definiscono reti gerarchiche rigorose; in breve che oppongono alla forza intrinseca e contraria della molteplicità
il procedimento della piramide continua e individualizzante. Esse devono ugualmente far crescere l'utilità
singola di ogni elemento della molteplicità, ma con mezzi che siano i più rapidi e i meno costosi possibili,
ossia utilizzando la molteplicità stessa come strumento di questa crescita: di qui, per estrarre dai corpi il
massimo di tempi e di forze, quei metodi d'insieme che sono gli impieghi del tempo, l'addestramento
collettivo, le esercitazioni, la sorveglianza globale e dettagliata insieme. Bisogna inoltre che le discipline
facciano crescere l'effetto di utilità proprio delle molteplicità, e rendano ciascuna di esse più utile della semplice
somma dei suoi elementi: è per accrescere gli effetti utilizzabili del multiplo che le discipline definiscono
tattiche di ripartizione, di adattamento reciproco dei corpi, dei gesti e dei ritmi, di differenziazione delle
capacità, di coordinazione reciproca in rapporto ad apparati o a compiti. Infine la disciplina deve far giocare i
rapporti di potere non al disopra, ma nel tessuto stesso della molteplicità, nel modo più discreto possibile, il
meglio articolato rispetto alle altre funzioni di queste molteplicità, ed anche il meno costoso: a tutto ciò
rispondono strumenti di potere anonimi e coestensivi alla molteplicità che essi irreggimentano, come la
sorveglianza gerarchica, la registrazione continua, il giudizio e la classificazione perenni. Insomma sostituire a
un potere che si manifesta con lo splendore di coloro che lo esercitano, un potere che oggettivizza
insidiosamente coloro sui quali si esercita; formare un sapere a proposito di questi, piuttosto che dispiegare i
segni fastosi della sovranità. In una parola, le discipline sono l'insieme di minuscole invenzioni tecniche che
hanno permesso di accrescere la grandezza utile delle molteplicità facendo decrescere gli inconvenienti del potere
che, per renderle giustamente utili, deve reggerle. Una molteplicità, sia che si tratti di una fabbrica o una
nazione, un esercito o una scuola, raggiunge la soglia della disciplina quando il rapporto tra l'uno e l'altra
diviene favorevole.
Se il decollo economico dell'Occidente è cominciato coi processi che hanno permesso l'accumulazione del
capitale, possiamo dire, forse, che i metodi per gestire l'accumulazione degli uomini hanno permesso un decollo
politico in rapporto a forme di potere tradizionali, rituali, costose, violente, che, ben presto cadute in
desuetudine, sono state sostituite da tutta una tecnologia sottile e calcolata dell'assoggettamento. In effetti i due
processi, accumulazione degli uomini e accumulazione del capitale, non possono venir separati; non sarebbe
stato possibile risolvere il problema della accumulazione degli uomini senza la crescita di un apparato di
produzione capace nello stesso tempo di mantenerli e di utilizzarli; inversamente le tecniche che rendono utile la
molteplicità cumulativa degli uomini accelerano il movimento di accumulazione del capitale. A un livello
meno generale, le mutazioni tecnologiche dell'apparato di produzione, la divisione del lavoro e l'elaborazione di
procedimenti disciplinari hanno mantenuto un insieme di rapporti molto stretti (117). Ciascuno di essi ha reso
l'altro possibile, e necessario; ciascuno di essi ha servito di modello all'altro. La piramide disciplinare ha
costituito la piccola cellula di potere all'interno della quale la separazione, la coordinazione e il controllo sono
stati imposti e resi efficaci; e l'incasellamento analitico del tempo, dei gesti, delle forze, dei corpi, ha costituito
uno schema operativo che è stato possibile trasferire facilmente dai gruppi da sottomettere ai meccanismi della
produzione; la produzione massiva dei metodi militari sull'organizzazione industriale è stata un esempio di
questo modellarsi della divisione del lavoro su schemi di potere. E viceversa, l'analisi tecnica del processo di
produzione e la sua scomposizione «in automatismi» si sono proiettate sulla forza lavoro che aveva il compito
di assicurarlo: la costituzione di queste macchine disciplinari dove vengono composte, e con ciò amplificate, le
forze individuali che esse associano, è l'effetto di questa proiezione. Diciamo che la disciplina è il procedimento
tecnico unitario per mezzo del quale la forza del corpo viene, con la minima spesa, ridotta come forza
«politica», e massimalizzata come forza utile. La crescita di una economia capitalistica ha richiesto la modalità
specifica del potere disciplinare, di cui le formule generali, i processi di assoggettamento delle forze e dei corpi,
l'«anatomia politica» in una parola, possono venir messe in opera attraverso regimi politici, apparati o
istituzioni molto diverse fra loro.
2. La modalità panoptica del potere - a livello elementare, tecnico, umilmente fisico, dove essa si colloca - non
è sotto la dipendenza immediata né nel prolungamento diretto delle grandi strutture giuridico-politiche di una
società; tuttavia, non ne è del tutto indipendente. Storicamente, il processo per cui la borghesia è divenuta nel
corso del secolo Diciottesimo la classe politicamente dominante si è riparato dietro la messa a punto di un
quadro giuridico esplicito, codificato, formalmente egalitario, e attraverso l'organizzazione di un regime
parlamentare e rappresentativo. Ma lo sviluppo e la generalizzazione dei procedimenti disciplinari hanno
costituito l'altro versante, oscuro, di quei processi. La forma giuridica generale che garantiva un sistema di
diritti uguali in linea di principio, era sottesa da meccanismi minuziosi, quotidiani, fisici, da tutti quei sistemi
di micropotere, essenzialmente inegalitari e dissimmetrici, costituiti dalle discipline. E se, in modo formale, il
regime rappresentativo permette che direttamente o indirettamente, con o senza sostituzioni, la volontà di tutti
formi l'istanza fondamentale della sovranità, le discipline forniscono, alla base, la garanzia della sottomissione
delle forze e dei corpi. Le discipline reali e corporali hanno costituito il sottosuolo delle libertà formali e
giuridiche. Il contratto poteva ben essere postulato, come fondamento ideale del diritto e del potere politico; il
panoptismo costituiva il procedimento tecnico, universalmente diffuso, della coercizione. Esso non ha cessato
di operare in profondità nelle strutture giuridiche della società, per far funzionare i meccanismi effettivi del
potere contro il quadro formale che questo si era dato. I «Lumi» che hanno scoperto le libertà, hanno anche
inventato le discipline.
In apparenza le discipline non costituiscono altro che un infra-diritto. Sembrano immergere fino al livello
infinitesimale delle singole esistenze, le formule generali definite dal diritto; o ancora, appaiono come metodi
di un apprendistato che permette agli individui di integrarsi alle esigenze generali. Esse perpetuerebbero lo
stesso tipo di diritto cambiandolo di scala e rendendolo con ciò più minuzioso e senza dubbio più indulgente.
Bisogna invece piuttosto vedere nelle discipline una sorta di controdiritto. Esse hanno il ruolo preciso di
introdurre dissimmetrie insormontabili e di escludere le reciprocità. Prima di tutto perché la disciplina crea tra
gli individui un legame «privato», che è un rapporto di costrizioni interamente differente dall'obbligazione
contrattuale; l'accettazione di una disciplina può ben essere sottoscritta contrattualmente, ma la maniera con cui
essa viene imposta, i meccanismi che fa giocare, la subordinazione non reversibile degli uni in rapporto agli
altri, il «più di potere» che è sempre fisso dalla stessa parte, l'ineguaglianza delle posizioni dei diversi
«partners» in rapporto al regolamento comune, oppongono il legame disciplinare al legame contrattuale e
permettono di falsare sistematicamente quest'ultimo, a partire dal momento in cui esso ha come contenuto un
meccanismo di disciplina. Sappiamo ad esempio, quanti procedimenti reali sconfessino la finzione giuridica del
contratto di lavoro: la disciplina di fabbrica non è il meno importante. In più, mentre i sistemi giuridici
qualificano i soggetti di diritto secondo norme universali, le discipline caratterizzano, classificano,
specializzano, distribuiscono lungo una scala, ripartiscono attorno ad una norma, gerarchizzano gli individui gli
uni in rapporto agli altri, e, al limite, squalificano e invalidano. Per quanto, regolare e istituzionale possa
essere, la disciplina, nel suo meccanismo, è un «contro-diritto». E se il giuridismo universale della società
moderna sembra fissare i limiti dell'esercizio dei poteri, il suo panoptismo diffuso ovunque vi fa funzionare, di
contro al diritto, un meccanismo immenso e minuscolo insieme, che sostiene, rinforza, moltiplica la
dissimmetria dei poteri e rende vani i limiti che le sono stati posti. Le discipline minutissime, il panoptismo
di ogni giorno, possono facilmente sottendere al livello di emergenza dei grandi apparati e delle grandi lotte
politiche. Esse sono state, nella genealogia della società moderna, con la dominazione di classe che l'attraversa,
la contropartita politica delle norme giuridiche secondo le quali Veniva ridistribuito il potere. Di qui senza
dubbio l'importanza attribuita da così lungo tempo ai piccoli procedimenti della disciplina, alle piccole astuzie
ch'essa ha inventato o ancora ai saperi che le conferiscono un aspetto confessabile; di qui il timore di disfarsene
se non si trova loro un sostituto; di qui l'affermazione che esse sono il fondamento stesso della società, e del
suo equilibrio, mentre sono in realtà una serie di meccanismi per disequilibrare definitivamente e ovunque le
relazioni di potere; di qui il fatto che ci si ostina a farle passare per la forma umile ma concreta di ogni morale,
mentre sono un fascio di tecniche fisico-politiche.
E per ritornare al problema dei castighi legali, la prigione, con tutta la tecnologia correttiva che l'accompagna,
deve essere collocata qui: nel punto in cui avviene la torsione del potere codificato di punire in potere
disciplinare di sorvegliare; nel punto in cui i castighi universali delle leggi vengono ad applicarsi selettivamente
a certi individui e sempre a quelli; nel punto in cui la riqualificazione del soggetto di diritto per mezzo della
pena diviene addestramento utile del criminale; nel punto in cui il diritto si inverte e passa all'esterno di se
stesso e in cui il contro-diritto diviene il contenuto effettivo e istituzionalizzato delle forme giuridiche. Ciò che
generalizza allora il potere di punire, non è la coscienza universale della legge in ciascuno dei soggetti di diritto,
è l'estensione regolare, è la trama infinitamente sostenuta dei processi panoptici.
3. Presi uno ad uno, la maggior parte di questi procedimenti ha dietro di sé una lunga storia. Ma il punto di
novità, nel secolo Diciottesimo, è che combinandosi e generalizzandosi essi raggiungono il livello a partire dal
quale formazione di sapere e maggiorazione di potere si rinforzano con regolarità secondo un processo circolare.
Le discipline oltrepassano allora la soglia «tecnologica». Dapprima l'ospedale, poi la scuola, più tardi ancora la
fabbrica, non sono stati semplicemente «messi in ordine» dalle discipline; sono divenuti, grazie ad esse, degli
apparati tali che ogni meccanismo di oggettivazione può valere come strumento di assoggettamento, e ogni
crescita di potere dà luogo a possibili conoscenze; è a partire da questo legame, proprio dei sistemi tecnologici,
che nell'elemento disciplinare hanno potuto formarsi la medicina clinica, la psichiatria, la psicologia dell'età
evolutiva, la psicopedagogia, la razionalizzazione del lavoro. Doppio processo, dunque: sblocco
epistemologico, partendo da un affinamento delle relazioni di potere; moltiplicazione degli effetti del potere
grazie alla formazione e al cumulo di nuove conoscenze.
L'estensione dei metodi disciplinari si inscrive in un vasto processo storico: lo sviluppo, quasi nella stessa
epoca, di altre numerose tecnologie - agronomiche, industriali, economiche. Ma bisogna riconoscerlo: a
confronto delle industrie minerarie, della nascente chimica, dei metodi della contabilità nazionale, a lato degli
altiforni o della macchina a vapore, il panoptismo è stato poco celebrato. Non si riconosce in esso più di una
bizzarra piccola utopia, il sogno di una cattiveria - un po' come se Bentham fosse stato il Fourier di una società
poliziesca, in cui il Falansterio avrebbe avuto la forma del "Panopticon". E nondimeno c'era qui la formula
astratta di una tecnologia ben reale, quella degli individui. Ch'essa abbia avuto poche lodi, è certo per molte
ragioni: la più evidente è che i discorsi cui ha dato luogo, raramente hanno raggiunto, salvo nelle qualificazioni
accademiche, lo "status" di scienze; ma la più reale, senza dubbio, è che il potere ch'essa mette in opera, e che
permette di maggiorare, è un potere diretto e fisico che gli uomini esercitano gli uni sugli altri. Per un punto
d'arrivo senza gloria, un'origine difficile da confessare. Sarebbe ingiusto confrontare i procedimenti disciplinari
con invenzioni come la macchina a vapore o il microscopio di Amici. Essi valgono assai meno; e, tuttavia, in
un certo modo, valgono assai di più. Se fosse necessario trovar loro un equivalente storico o per lo meno un
punto di confronto, dovrebbe essere piuttosto dalla parte della tecnica «inquisitoriale».
Il secolo Diciottesimo ha inventato la tecnica della disciplina e dell'esame, un po' come il Medioevo ha
inventato l'inchiesta giudiziaria. Ma per tutt'altre vie. La procedura d'inchiesta, vecchia tecnica fiscale e
amministrativa, si era sviluppata soprattutto con la riorganizzazione della Chiesa e l'accrescersi degli Stati
principeschi nei secoli Diciassettesimo e Diciottesimo. Fu allora che essa penetrò con l'ampiezza che ci è nota,
nella giurisprudenza dei tribunali ecclesiastici, poi nelle corti laiche. L'inchiesta, come ricerca autoritaria di una
verità constatata o attestata si opponeva così alle antiche procedure del giuramento, dell'ordalia, del duello
giudiziario, del giudizio di Dio o ancora della transazione tra privati. L'inchiesta era il potere sovrano che si
arrogava il diritto di stabilire il vero attraverso un certo numero di tecniche codificate. Ora, sebbene l'inchiesta
abbia da quel momento fatto corpo con la giustizia occidentale (e fino ai nostri giorni), non bisogna dimenticare
né la sua origine politica, né il suo legame con la nascita degli Stati e della sovranità monarchica, e nemmeno il
suo ulteriore spostamento e il suo ruolo nella formazione del sapere. In effetti l'inchiesta fu l'elemento,
rudimentale senza dubbio, ma fondamentale per la costituzione delle scienze empiriche; essa fu la matrice
giuridico-politica di quel sapere sperimentale, che, come ben sappiamo, venne rapidamente sbloccato alla fine
del Medioevo. E' forse vero che le matematiche, in Grecia, nacquero dalle tecniche della misura; le scienze della
natura, in ogni caso, nacquero in parte, alla fine del Medioevo, dalle pratiche dell'inchiesta. La grande
conoscenza empirica che ha coperto le cose del mondo e le ha trascritte disponendole nell'ordine di un discorso
indefinito, che constata, descrive e stabilisce i «fatti» (e ciò nel momento in cui il mondo occidentale
cominciava la conquista economica e politica di questo stesso mondo) trova senza dubbio il suo modello
operativo nell'Inquisizione - questa immensa invenzione che la recente dolcezza ha posto nell'ombra della nostra
memoria. Ora, ciò che questa inchiesta politico-giuridica, amministrativa e criminale, religiosa e laica fu per le
scienze della natura, l'analisi disciplinare fu per le scienze dell'uomo. Queste scienze, davanti alle quali si
incanta la nostra «umanità» da più di un secolo, hanno la loro matrice tecnica nella minuzia pignola e cattiva
delle discipline e delle loro investigazioni. Queste sono forse rispetto alla psicologia, alla psichiatria, alla
pedagogia, alla criminologia, ciò che il terribile potere di inchiesta fu per il calmo sapere sugli animali, le
piante o la terra. Altro potere, altro sapere. Alle soglie dell'età classica, Bacone, l'uomo della legge e dello
Stato, tentò di costruire per le scienze empiriche la metodologia dell'inchiesta. Quale Grande Sorvegliante farà
quella dell'esame, per le scienze umane? A meno che, precisamente, ciò non sia possibile. Perché, se è vero che
l'inchiesta, divenendo una tecnica per le scienze empiriche, si distaccò dalla procedura inquisitoriale dove
storicamente si radicava, l'esame, al contrario, è rimasto vicinissimo al potere disciplinare che l'ha creato; ed è
ancora e sempre elemento intrinseco delle discipline. Certamente, esso sembra aver subito un'epurazione
speculativa, integrandosi a scienze come la psichiatria, la psicologia. E in effetti, sotto forma di test,
conversazioni, interrogatori, consultazioni, lo vediamo rettificare in apparenza i meccanismi della disciplina: la
psicologia scolare è incaricata di correggere i rigori della scuola, come il trattamento medico o psichiatrico è
incaricato di rettificare gli effetti della disciplina di lavoro. Ma non bisogna lasciarsi ingannare; queste tecniche
non fanno che rinviare gli individui da una istanza disciplinare ad un'altra, e riproducono, sotto forma
concentrata o formalizzata, lo schema di potere proprio di ogni disciplina (118). La grande inchiesta che aveva
dato luogo alle scienze della natura, si era distaccata dal suo modello politico-giuridico; l'esame, al contrario, è
sempre preso nella tecnologia disciplinare.
La procedura dell'inchiesta nel Medioevo si era imposta alla vecchia giustizia accusatoria, ma attraverso un
processo venuto dall'alto; la tecnica disciplinare ha invece invaso, insidiosamente e come dal basso, una
giustizia penale che è ancora, in linea di principio, inquisitoria. Tutti i grandi movimenti di deriva che
caratterizzano la penalità moderna - la problematizzazione del criminale dietro il suo crimine, la preoccupazione
di una punizione che sia una correzione, una terapeutica, una normalizzazione, la divisione dell'atto del
giudicare tra differenti istanze che hanno il compito di misurare, valutare, diagnosticare, guarire, trasformare gli
individui - tutto ciò tradisce la penetrazione dell'esame disciplinare entro l'inquisizione giudiziaria.
Ciò che ormai si impone alla giustizia penale come punto di applicazione, come oggetto «utile», non sarà più il
corpo del colpevole eretto contro il corpo del re; non sarà più neppure il soggetto di diritto di un contratto
ideale; bensì l'individuo disciplinare. Il punto estremo della giustizia penale sotto l'"Ancien Régime" era
tagliare in infiniti pezzi il corpo del regicida: manifestazione del più forte tra i poteri sul corpo del più grande
tra i criminali, la cui distruzione totale fa prorompere il crimine nella sua verità. Il punto ideale della penalità di
oggi sarebbe la disciplina illimitata: un interrogatorio che non avesse termine, un'inchiesta che si prolungasse
senza fine in una osservazione minuziosa e sempre più analitica, un giudizio che fosse nello stesso tempo la
costituzione di un dossier mai chiuso, la dolcezza calcolata di una pena che fosse intrecciata alla accanita
curiosità di un esame, una procedura che fosse insieme la misura permanente di uno scarto in rapporto ad una
norma inaccessibile e il moto asintotico che costringe a raggiungerla all'infinito. Il supplizio compie
logicamente una procedura comandata dall'Inquisizione. Mettere in «osservazione», prolunga naturalmente una
giustizia invasa dai metodi disciplinari e dalle procedure d'esame. Che la prigione cellulare, con le sue
cronologie scandite, il suo lavoro obbligatorio, le sue istanze di sorveglianza e di annotazione, con i suoi
maestri di normalità, che sostituiscono e moltiplicano le funzioni del giudice sia divenuta lo strumento
moderno della penalità, come può meravigliare? E, se la prigione assomiglia agli ospedali, alle fabbriche, alle
scuole, alle caserme come può meravigliare che tutte queste assomiglino alla prigioni?

tratto da SORVEGLIARE E PUNIRE di Michel Foucault

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