da finimondo.org
Sull'attenti, di paura
Allineati di paura ringraziamo
la paura che ci salva dalla follia.
Decisione e coraggio è merce rara
e la vita senza vita è più sicura.
Avventurieri ormai senza avventura
combattiamo, allineati di paura,
ironici fantasmi, alla ricerca
di ciò che fummo, di ciò che non saremo.
Allineati di paura, con voce fioca,
col cuore fra i denti, siamo
i fantasmi di noi stessi.
Gregge che la paura insegue,
viviamo così vicini e così soli
che della vita abbiamo perso il senso.
(Alexandre O'Neill, 1962)
Si dice che nel corso della riunione annuale del famigerato Club
Bilderberger — il gotha mondiale della politica, dell'economia e della
finanza — tenutasi nel maggio 1992 ad Evian, in Francia, l'ex-segretario
di Stato statunitense Henry Kissinger abbia dichiarato a proposito
della grande rivolta che poche settimane prima aveva infiammato Los
Angeles: «Se delle truppe delle Nazioni Unite entrassero a Los Angeles
per restaurare l'ordine, gli americani oggi si sentirebbero oltraggiati
domani ne sarebbero riconoscenti. Ciò avverrebbe soprattutto se li si
informasse che un attacco proveniente dall'aldilà minaccia la loro
esistenza. In tal caso i popoli della terra pregherebbero i propri
leader di liberarli da quei malvagi. Ciò che tutti gli uomini temono è
l'ignoto. Quando verrà presentato loro questo scenario, saranno pronti
ad abbandonare i loro diritti individuali in favore del proprio
benessere, garantito dal loro governo mondiale».
Autentica o apocrifa che sia questa citazione, esprime
perfettamente un caposaldo della ragione di Stato. Per ottenere
obbedienza, nulla è più efficace dell'arma della paura. Il terrore
paralizza i movimenti, ottunde la mente, rende deboli e indifesi.
Ammutolisce la critica e spinge tutti ad invocare aiuto, senza guardare
in faccia i soccorritori e senza metterne in dubbio intenzioni e mezzi.
Questo terrore così funzionale deve quindi essere creato ed alimentato
in permanenza. A differenza dei regimi dittatoriali, che storicamente si
contraddistinguono proprio perché è lo stesso governo ad esercitare il
terrore sui propri cittadini-sudditi, nelle democrazie il panico viene
creato attraverso l'evocazione di una minaccia esterna. Agitandone lo
spauracchio, lo Stato può ritagliarsi e recitare il ruolo di eroe
salvatore — da ripagare con gratitudine, e a cui essere riconoscenti per
la vita.
Ciò spiega il motivo per cui, all'interno della grande
rappresentazione mediatica della paura, il palcoscenico non rimane mai
vuoto. Personaggi terrificanti si susseguono uno dopo l'altro, si
incrociano, si accoppiano, prolificano pure, accalcandosi talvolta nello
stesso momento e nello stesso spazio. Ma il canovaccio resta sempre lo
stesso. Un grave pericolo incombe su tutti noi, onnipresente,
invisibile, pronto a colpirci all'improvviso. Bisogna stare attenti, e
quindi bisogna innanzitutto mettersi sull'attenti. Ogni angolo buio che
attraversiamo potrebbe diventare la scena di un delitto — ben vengano i
controlli che ci difendono da assassini e stupratori. Ogni straniero in
cui ci imbattiamo (soprattutto se povero) potrebbe essere un terrorista —
ben vengano i centri di identificazione, le deportazioni e la chiusura
delle frontiere che ci proteggono dai kamikaze. Persino ogni abbraccio e
ogni bacio che ci scambiamo potrebbe essere fatale — ben vengano le
vaccinazioni di massa (come stanno cercando di fare in quest'ultimo
periodo in Toscana per debellare una meningite che dicono abbia causato
una decina di morti in quindici mesi, compreso chi è morto subito dopo
essersi fatto vaccinare!) per prevenire le malattie.
Per riacquistare pace & serenità basta mettersi nelle mani
degli esperti, dei professionisti, di chi ha le conoscenze e le
competenze in materia. In una parola, nelle mani dello Stato. Quello
Stato da cui siamo sempre più dipendenti e che, sebbene mostri ogni
giorno di più la propria infamia, costituisce il punto di riferimento
costante e ineludibile. Biasimiamo i suoi pretoriani quando torturano e
ammazzano i malcapitati che finiscono nelle loro grinfie, ma poi li
acclamiamo quando temiamo che qualcuno possa disturbare il nostro sonno.
Insultiamo i suoi funzionari quando veniamo a conoscenza delle
quotidiane malefatte che commettono, ma poi li votiamo quando loro
stessi ci convocano alle urne.
Lo Stato prima inocula il veleno che causa la morte sociale, poi
offre l'antidoto che promette uno straccio di sopravvivenza. Pensiamo ad
esempio alla «minaccia» odierna che sarebbe costituita dagli stranieri,
da quelle masse di profughi che premono ai confini europei così come da
quei pochi terroristi che si fanno saltare in aria nelle strade europee
(non sono affatto da equiparare, lo sanno tutti, ma è molto più facile
presentare i primi come infiltrati dai secondi per suscitare una comune
esecrazione). Prima i loro paesi vengono invasi, colonizzati, sfruttati,
affamati, bombardati — e da chi? —, poi quando chi vi abita scappa qui
disperato a portarci la miseria in casa, quando chi vi combatte viene
qui furioso a portarci la guerra in casa... ci stringiamo attorno allo
Stato in attesa di misure razziste e poliziesche che dovrebbero
salvarci.
È quanto accade in tutti gli ambiti, nessuno escluso. Chi ha
costruito armi e centrali nucleari è lo stesso che si invoca in caso di
fuga di radiazioni. Chi ha autorizzato il commercio e l'uso di sostanze
tossiche è lo stesso da cui si pretende la bonifica dei territori che ha
contaminato. Chi ha creato in laboratorio virus letali è lo stesso a
cui ci si affida per debellarli con cure miracolose. Il mondo della
politica, dell'economia, della finanza, della scienza... ha rovinato la
nostra vita, privandola di ogni bellezza e passione, riducendola a un
quotidiano trascinare di catene per elemosinare una briciola e un
sorriso. Ed è a questo stesso mondo composto da tanti carnefici non
lordati di sangue, ben presentabili nei loro doppiopetto e nei loro
camici bianchi, che ci rivolgiamo per avere protezione dai pericoli che
loro stessi hanno provocato.
Nemmeno il flusso continuo di informazioni contrastanti
sull'effettiva natura delle minacce che graverebbero su di noi pare
consigliare una sana diffidenza nei confronti delle dichiarazioni delle
autorità, tanto meno induce a mettere in discussione queste campagne del
terrore che vengono periodicamente scatenate. Al contrario, non fa che
alimentare l'ansia, quell'apprensione o spiacevole tensione provocata
dall'intimo presagio di un pericolo imminente e di origine sconosciuta. E
l'ansia è sempre sproporzionata allo stimolo noto, alla minaccia e al
pericolo che ci sovrastano realmente. E si finisce per ritrovarsi in un
paesello di campagna a scrutarsi continuamente attorno per timore del
«Salah» di turno.
A detta degli stessi esperti, esistono due forme di paura. La cosiddetta «paura primaria» è quella che stimola
e fa reagire l'individuo, che in questo modo riesce a controllare e a
superare la minaccia. La cosiddetta «paura secondaria» invece è quella
che paralizza l'individuo e lo rende inerme, passivo di fronte a
quanto lo turba. Non c'è reazione, c'è solo annichilimento. Ed è
quest'ultima paura ad essere oggi alimentata in tutte le maniere, con
l'evocazione di scenari da incubo e di complicazioni giudicate
insormontabili.
In realtà, il pericolo più terribile che incombe è quello che si riassume nel concetto di fatalità.
L'alta tecnologizzazione dell'esistente, la sua apparente
invincibilità, la sensazione che nulla sia possibile, l'inutilità delle
parole e l'inefficacia delle azioni, l'atomizzazione e le sue
conseguenze, ed infine la potenza assoluta della polizia, del denaro e
dello Stato, costringono la rabbia, il rifiuto e i loro sviluppi critici
a rimanere sul terreno della passività. È questa la minaccia che
dovremmo scongiurare. Perché, o ci arrendiamo alla paura o la
combattiamo. Non possiamo andarle incontro a metà strada.
[12/4/16]
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