Avete mai provato ad esprimere compiutamente un pensiero e accorgervi,
immediatamente dopo, della incompletezza dell’esposizione?
Vi siete mai sentiti afflitti dall’ineffabile incertezza di non essere riusciti a dire tutto quello che avete pensato?
Anche sfogliando tutto il lessico disponibile non riusciamo a trovare una parola capace di dare aspetto concettuale al nostro pensiero.
Una fonte d’incertezza e di confusione e’ data dall’imperfezione del linguaggio. Se parliamo, ad esempi, di malattia, siamo certi che il nostro interlocutore utilizzi lo stesso nostro metodo relazionale tra concettualita’ e contestualita’? Ma non e’ perfezionando il linguaggio, e quindi riducendo la sua imprecisione, che si risolve il problema.
Secondo me esiste un altro aspetto, ancora piu’ importante: quello: quello che riguarda l’impossibilita’ di comunicare attraverso la parola, non solo i nostri pensieri, ma anche aspetti del nostro modo di essere.
Quali parole sono utilizzabili per esprimere il nostro personale, piacere nell’attacco con pugnace veemenza lo stato di cose esistente o la gioia nel vedere crollare ai nostri piedi i luoghi e le persone che rappresentano, generano e rigenerano il potere?
Le vicende dell’animo e dell’intelletto si afferrano solo col parteciparvi direttamente. Possono essere comprese solo da chi ti ha conosciuto, ti ha amato, ti ha contrastato, ha condiviso con te momenti di gioia e di dolore, di felicita’ o di sacrificio: uno sguardo, un gesto, il silenzio. In questo modo e’ possibile percepire frammenti di emotivita’, di sensibilita’ relativi ad un preciso istante, e cio’ senza varcare la soglia della parola scritta o parlata.
A chi dunque dovremmo lasciare la parola?
Lasciamola alle nostre pulsazioni, alla voglia di distruggere tutto cio’ che ci opprime, al piacere e al desiderio di essere vivi e liberi, al fuoco e alle fiamme.
Michele Pontolillo.
testo apparso sul giornale anarchico CANE NERO n.21 31 marzo 1995
Vi siete mai sentiti afflitti dall’ineffabile incertezza di non essere riusciti a dire tutto quello che avete pensato?
Anche sfogliando tutto il lessico disponibile non riusciamo a trovare una parola capace di dare aspetto concettuale al nostro pensiero.
Una fonte d’incertezza e di confusione e’ data dall’imperfezione del linguaggio. Se parliamo, ad esempi, di malattia, siamo certi che il nostro interlocutore utilizzi lo stesso nostro metodo relazionale tra concettualita’ e contestualita’? Ma non e’ perfezionando il linguaggio, e quindi riducendo la sua imprecisione, che si risolve il problema.
Secondo me esiste un altro aspetto, ancora piu’ importante: quello: quello che riguarda l’impossibilita’ di comunicare attraverso la parola, non solo i nostri pensieri, ma anche aspetti del nostro modo di essere.
Quali parole sono utilizzabili per esprimere il nostro personale, piacere nell’attacco con pugnace veemenza lo stato di cose esistente o la gioia nel vedere crollare ai nostri piedi i luoghi e le persone che rappresentano, generano e rigenerano il potere?
Le vicende dell’animo e dell’intelletto si afferrano solo col parteciparvi direttamente. Possono essere comprese solo da chi ti ha conosciuto, ti ha amato, ti ha contrastato, ha condiviso con te momenti di gioia e di dolore, di felicita’ o di sacrificio: uno sguardo, un gesto, il silenzio. In questo modo e’ possibile percepire frammenti di emotivita’, di sensibilita’ relativi ad un preciso istante, e cio’ senza varcare la soglia della parola scritta o parlata.
A chi dunque dovremmo lasciare la parola?
Lasciamola alle nostre pulsazioni, alla voglia di distruggere tutto cio’ che ci opprime, al piacere e al desiderio di essere vivi e liberi, al fuoco e alle fiamme.
Michele Pontolillo.
testo apparso sul giornale anarchico CANE NERO n.21 31 marzo 1995
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