Introduzione all'etnocidio
Robert Jaulin
Rispetto alle esigenze professionali, questo lavoro è rischioso o
addirittura incomprensibile, ma non è questo che mi preoccupa. Avrei voluto
sviluppare di più alcune parti, e forse lo farò: queste pagine non sono che la
prima parte di una ricerca.
Il tema su cui essa verte è la nostra totalità culturale, considerata nel
suo rapporto con le altre e con ciò che sta «al di là». Di solito la
comprensione della totalità viene identificata con la somma delle comprensioni
di ogni singola parte: ma io non ho seguito questa strada, che considero
pessima. Mi sembra piuttosto che la comprensione di una parte dipenda dalla
comprensione della totalità (che indubbiamente è dinamica, non cristallizzata,
«storica») e che il concetto di «somma delle comprensioni delle parti» sia
impreciso e non pertinente.
È difficile esprimere giudizi sulla totalità, poiché essi sono
necessariamente «teorici» e «soggettivi». Certo li esporrò a critiche di ogni
genere: vorrei solamente, tanto per cambiare, che non fossero ipocrite.
Il tempo, dietro di noi, è lungo o per meglio dire è denso: la nostra
civiltà giudaico-cristiana conta settemila anni di peripezie, di eventi, di
accidenti sistematici. Questo ci rende difficile un certo distacco: per
raggiungerlo ci manca e ci mancherà ancora a lungo la tranquillità necessaria;
ci occorrono dunque l'«altrove», il confronto, dei termini nuovi di riferimento.
Questi termini saranno le altre civiltà, che ci permetteranno di conoscerci, se
non le distruggiamo troppo presto. La contraddizione consiste appunto in questo,
che accostandoci ad esse per conoscerle, finiamo per distruggerle.
Il linguaggio con cui condurremo i ragionamenti differenziali dovrà farsi
astratto, perché capiremo meglio che cosa è stato il nostro passato e che cosa
potrebbe essere il nostro avvenire, se li esprimeremo ambedue con le «immagini»
teoriche che la comprensione delle altre civiltà ci avrà permesso di elaborare.
Quando ragioniamo in termini differenziali, sono appunto le totalità che
dobbiamo porre a confronto. Finché mancherà una teoria relativa a queste
totalità (teoria che implica il confronto delle totalità culturali), il
considerare separatamente «settori» arbitrariamente denominati (l'economia, il
mito, ecc.) e derivati da civiltà diverse è un procedimento assurdo e
colonialista.
Ci mancherà la tranquillità necessaria per capire ciò che siamo – noi, cioè
una civiltà – finché la nostra regola aurea saranno le guerre di ogni genere, la
negazione dell'altro. La criminalità culturale, l'etnocidio, è una conseguenza
dell'estensione di noi stessi e deriva dal carattere marcato, contraddittorio,
delle relazioni che noi imponiamo, che ci si impongono, che noi rappresentiamo.
(...)
L'«integrazione» è un diritto di vita che accordiamo all'altro a patto che
diventi come noi. Ma la contraddizione, o meglio, la frode insita in questo
sistema sta nel fatto che l'altro, privato della sua personalità, muore
immediatamente. (...)
Si sostiene spesso che esiste una differenza fondamentale tra politica
d'integrazione e politica di assimilazione: l'integrazione consisterebbe
nell'accordare a tutti gli abitanti di uno Stato gli stessi diritti,
riconoscendo ad ogni sottogruppo la libertà culturale, mentre l'assimilazione
metterebbe in discussione questa libertà culturale riducendo tutti ad uno stesso
stampo comune.
Questa distinzione pone l'accento solo sul potere centrale e giuridico;
essa ha portato ad una falsa liberazione degli «schiavi», così come oggi porta
ad un falso riconoscimento della libertà culturale, perché l'una e l'altra (la
libertà e la cultura) sono intese in senso così ristretto da farci dimenticare
la loro coordinata maggiore: il riferimento alla totalità.
I diritti accordati a un gruppo o a un uomo chiusi in gabbia – quella
gabbia che la civiltà bianca è divenuta per tutta l'umanità – sono
necessariamente illusori e a volte ambigui. Solo la cronaca può distinguere fra
l'integrazione, che è sempre integrazione ad un territorio nazionale (cfr.
coloniale), e l'assimilazione culturale.
L'integrazione è dunque un procedimento di giustificazione o di
«autentificazione» degli Stati coloniali, che per lo più hanno frontiere
ecologiche e culturali artificiali, e si formano partendo da una minoranza
straniera che si impadronisce del potere, anche se poi questa minoranza
apparentemente «sparisce» a vantaggio dei «meticci» o dei nazionali che le
succedono e la perpetuano. L'assimilazione non dà invece importanza allo spazio
coloniale quanto alla «civiltà» coloniale. Lo spazio conquistato dipende però
strettamente dal carattere espansionistico proprio della civiltà occidentale,
qui chiaramente identificata con la civiltà bianca. L'opposizione tra i due
termini è certamente importante, ma si limita a distinguere i procedimenti o le
parole che di volta in volta vengono associate alla negazione dell'altro.
Ogni tentativo di etnocidio è odioso, grandi o piccole che siano le
comunità; tuttavia le dimensioni delle comunità rendono questi tentativi
diversi.
[Robert Jaulin, La pace bianca. Introduzione
all'etnocidio, 1970]
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