7 luglio 2014

LA STRADA DELLA DISTRUZIONE


Rivoluzione

Una parola ed un'idea che attraverso la storia ha gettato nella battaglia milioni di persone. Che molte volte ha fatto tremare le fondamenta di questa società di ricchi e di poveri, di oppressori e di oppressi. Che è stata anche accaparrata da nuovi dittatori, e che, deformata e mutilata, ha pure generato nuove oppressioni, nuovi massacri.

Ieri, era da alcuni decenni che non se ne parlava più, l'idea che aveva spinto tante persone a insorgere coraggiosamente contro il dominio era stata ricoperta da uno spesso strato di polvere, di oblio e di disperazione. Oggi, questa idea di uno sconvolgimento totale della società attuale comincia di nuovo a forzare le porte delle coscienze. Timidamente ma fieramente, la si pronuncia, sperando di trovare persone il cui cuore non ha cessato di battere. Persone che abbiano riconosciuto nei recenti sollevamenti del mondo arabo un assalto liberatorio, e che ora vogliono abbracciarlo e viverlo a loro volta.
Ma cosa può significare oggi la rivoluzione? Come parlarne fra di noi senza ricadere nel vocabolario del potere, che ormai è penetrato in profondità nella vita di ciascuno? Se noi ci rifiutiamo di arrischiarci sul terreno di dare senso a questo grido di libertà che è la rivoluzione, altri lo faranno al posto nostro, e con le peggiori intenzioni. Se non osiamo già qui ed ora cercare di vivere, contro e al di là delle leggi e delle abitudini, quello che desideriamo come nuovo mondo; se non abbiamo il coraggio di rivoltarci ognuno di noi, senza deleghe né mediazioni, contro tutto ciò che ci opprime in questo mondo, la rivoluzione sarà solo un fantasma, un'illusione di più, un miraggio estremamente utile in questi tempi incerti a coloro che vogliono sempre manipolare, comandare, governare.
Allora, proviamoci anche noi. Dalle colonne di questo piccolo giornale, si cerca di contribuire a riempire di significato e di idee la tensione rivoluzionaria che con audacia ha rialzato la testa, e che non tarderà a minacciare l'ordine esistente, qui come altrove. Ma è una tensione fragile, e non si metterà mai sufficientemente in guardia contro coloro che vogliono falsificarla, manipolarla e canalizzarla verso nuove oppressioni.
Per rivoluzione non intendiamo un semplice cambiamento di regime, ma una trasformazione profonda della società intera, su nuove basi. Come diceva un compagno di Tunisi oggi latitante dopo il sollevamento dello scorso febbraio, «abbiamo segato l'albero del potere, abbiamo tagliato i suoi rami, ma non abbiamo distrutto le sue radici. Oggi in Tunisia su queste stesse radici preme già un nuovo albero del potere, di oppressione». La rivoluzione, come l'intendiamo noi, deve seminare il sale e lo zolfo sulle radici del potere. Non si tratta di barattare una dittatura particolarmente odiosa in cambio di una democrazia con la sua casta di politicanti, oppure una democrazia parlamentare particolarmente corrotta con una democrazia più "onesta", ma di abbattere tutte le istituzioni che pretendono di dirigere la vita. Non vogliamo una rivoluzione politica che cambia i volti dei potenti, ma una rivoluzione sociale che distrugge ogni potere politico, per rimettere la responsabilità e l'organizzazione della vita sociale nelle mani di tutti. Dunque vogliamo una rivoluzione non per cambiare o sistemare lo Stato, ma per distruggerlo. E siamo sicuri che questa distruzione non sarà seguita dal caos e dal massacro civile, come cercano di farci credere da secoli, ma piuttosto dall'auto-organizzazione. Come quei quartieri o quei villaggi in Tunisia che, dopo aver allontanato i dirigenti politici e la polizia, sono riusciti (prima dell'instaurazione del nuovo potere) ad organizzare da sé la vita sociale, ad organizzarla in maniera diretta fra di loro, senza mediazione politica né potere centrale. Sarà un percorso di sperimentazione lungo e forse difficile, ma almeno sarà un percorso verso la libertà, verso la liberazione e lo sviluppo di ogni essere umano. La rivoluzione sociale è esattamente l'insieme di questo percorso.
La rivoluzione sociale è nella coerenza fra i fini ed i mezzi. Siamo intimamente convinti che se si utilizzassero metodi e procedimenti politici e autoritari, ciò non potrebbe che dare risultati politici e autoritari. Ecco perché gli anarchici non vogliono organizzarsi in partito politico, né in organizzazione centralizzata, né servirsi di mezzi che appartengono al potere e lo legittimano (elezioni, petizioni, manipolazioni, collaborazione, partecipazione al potere). Qui ed ora, vogliamo già tendere il più possibile verso il mondo nuovo che portiamo nei nostri cuori, un mondo in cui la libertà degli uni estende all'infinito quella degli altri. Ecco perché insistiamo sul fatto di non accettare nessun capo, né del potere né della contestazione. E come diceva un anarchico cent'anni fa, «se devo erigere potenze per vincere, preferisco perdere».
Sarà violenta, questa rivoluzione? A questa domanda, rispondiamo senza esitare di . Del resto, lo è di già. Non è pensabile immaginare che i potenti cederanno senza opporre resistenza, che i padroni saranno d'accordo di abolire i loro privilegi e rimettere tutta la ricchezza sociale nelle mani di tutti, a ciascuno secondo i propri bisogni, che gli industriali e gli scienziati al soldo del potere abbandoneranno il profitto ricavato dai loro progetti di distruzione dell'ambiente, di avvelenamento del pianeta. Occorre opporsi con la forza. Non con questa violenza terribile che incatena come la loro, ma con una violenza liberatrice che demolisce le strutture del potere, che apre le celle dell'esistenza, e che la fa finita con coloro che sono o vogliono essere dei capi. Come si vede in Tunisia, in Egitto e altrove, non sono gli insorti a versare il sangue in maniera indiscriminata, a bruciare le case dei poveri, ma il potere e i suoi servitori. Sono loro sanguinari, torturatori, carnefici, loro non esitano a sacrificare la vita di migliaia di persone per preservare il loro potere, e sono ancora loro che ci fanno la morale, dicendo che gli insoddisfatti di questo mondo devono rispettare le loro regole, la loro legalità, e che alla violenza degli spari sulla folla bisogna opporsi solo con le mani nude. Il potere si mantiene sia grazie alla sua forza armata ed al suo denaro sia grazie alla menzogna ed alla falsa morale.
Per terminare queste righe vorremmo ancora dire che la rivoluzione non è la grande sera da attendere con pazienza, ma la tensione che fa già palpitare qui ed ora le vene di coloro che hanno deciso di farla finita con lo sfruttamento e l'autorità. In ciascuno dei nostri rifiuti, delle nostre disobbedienze, dei nostri colpi, individuali o collettivi, contro il dominio, la rivoluzione prende corpo. In ciascuna delle nostre esperienze di autentica solidarietà al posto della carità, di autentico mutuo appoggio al posto della concorrenza e della competizione, di autentica auto-organizzazione al posto di lasciare l'iniziativa al potere, la rivoluzione vive.
Oggi il furore e la speranza dei sollevamenti nel mondo arabo hanno aperto brecce nella continuità del dominio, laggiù come qui. La paura è sul punto di cambiare di campo, e deve farlo di più. Siamo perfettamente consapevoli che il cammino è ancora lungo e sarà forse doloroso. Forse abbiamo qualcosa da perdere – e questa affermazione in sé è già discutibile, in questo mondo totalitario che non lascia quasi posto ad altro che non sia la propria oppressione – ma abbiamo soprattutto molto da guadagnare. Oggi, decidersi di schierarsi a fianco di coloro che insorgono per la libertà è un passo da fare senza esitazioni. Oggi, scegliere di demolire strada facendo le false idee che ci hanno messo in testa, significa sbarazzarsi degli ostacoli maggiori sul cammino verso la libertà.
 
[Hors Service, n. 19, 15/6/2011]

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