Attorno alla lotta contro la costruzione di una maxi-prigione a Bruxelles
Questo è un dossier sulla lotta contro la costruzione d’una maxi-prigione a Bruxelles, lotta cominciata alla fine del 2012 e tuttora in corso.
Questo è un dossier sulla lotta contro la costruzione d’una maxi-prigione a Bruxelles, lotta cominciata alla fine del 2012 e tuttora in corso.
Una lotta specifica, contro una struttura concreta del dominio. Se
non ci si vuole limitare a intervenire qui e là, cercando di rintuzzare i
mille orrori che quotidianamente ci impone questa società, allora si
può sempre prendere in considerazione la possibilità di scegliere uno
dei suoi progetti più significativi e decidere di iniziare una lotta
autonoma contro di esso. Per non disperdersi in troppi rivoli, per non
fare da truppa a battaglie altrui.
Una lotta contro la repressione dello Stato, ma al tempo stesso
contro una concezione della vita stessa e dello spazio urbano che la
deve contenere. Messi in fila sotto gli occhi delle telecamere, chi nei
raggi di un carcere e chi nelle corsie di un supermercato, detenuti e
“liberi” cittadini condividono giorni e notti non troppo dissimili:
sorvegliati nei percorsi, controllati negli spostamenti, registrati nei
contatti, catalogati nelle richieste, sfruttati sul lavoro, alienati nei
desideri, sedati dalla televisione.
Una lotta contro un obiettivo facilmente identificabile da tutte le
«classi pericolose», ancora ben presenti nei quartieri della capitale
belga, ma che è potenzialmente riconoscibile da (quasi) tutti. Perché
con l’incremento delle misure securitarie, con l’inasprimento
legislativo, la possibilità di finire dietro le mura di quella prigione
rischia di conoscere ben poche eccezioni. E più una minaccia è
indiscriminata, più l’interesse per la sua neutralizzazione può
diventare generalizzato.
Una lotta capace di unire la chiarezza delle parole espresse in più
maniere alla molteplicità dei fatti diurni o notturni, individuali o
collettivi. Ricchezza che non conosce proprietari, a cui si può
contribuire e da cui si può attingere liberamente. Senza giuramenti di
fedeltà, senza tessere di partito. Perché lo scopo è di diffondere un
metodo che è al tempo stesso una prospettiva, non di vedere esaudita una
rivendicazione umanitaria.
Una lotta lanciata da chi non nasconde la propria ostilità
permanente nei confronti di ogni forma di potere, ma ripresa anche da
altri. Considerato come l’orizzonte istituzionale stia colonizzando
l’intero immaginario umano, l’anarchismo oggi non rischia di godere di
grande popolarità. Ma gli anarchici impegnati in questa lotta, da un
lato non si trincerano nell’autoreferenzialità, ma vanno alla ricerca
dei loro possibili complici; dall’altro non elemosinano consensi a
chicchessia, conoscendo bene l’abisso che separa il desiderio di
sovvertire questo mondo dal bisogno di riformarlo.
Mai confondere il crimine chiamato libertà con l’affare chiamato politica.
Il primo ha bisogno di teste calde che si trovano solo in basso. Il
secondo ha bisogno di buoni tutori che stanno solo in alto. E forse è
proprio questa consapevolezza il migliore suggerimento che ci sta dando
questa lotta ancora in corso.
[Febbraio 2015, trad. da la Cavale]
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