riceviamo e diffondiamo:
In questo numero:
Una
mappa per accedere al cervello
Gli
alberi geneticamente modificati e la bioeconomia
Verso
una stagione di consenso biotech?
Il
selvatico recintato nel panino di Expo
Note
a margine di un corteo ogm
Francois
Kepes, razionalizzatore delle macchine viventi
Parole
in movimento: dialogo con Luana, attivista per la liberazione
animale sottoprocesso a Brescia per la liberzione dei beagle da Green
Hill
Dichiarazione
al processo di Green Hill
Sabotaggio
antinucleare: dopo dieci anni si ritorna a processo
Editoriale:
Questi
mesi sono stati intensi di iniziative che ci hanno visto come
collettivo resistenze al nanomondo e redazione dell’Urlo della
Terra in numerosi posti e situazioni per discussioni su temi come
l’ecologismo radicale, scienze convergenti, liberazione animale. I
nostri incontri pubblici seguono la stessa modalità con cui viene
fatto e distribuito questo giornale: non esistono aree precise o
interlocutori privilegiati a cui facciamo riferimento. Certo, ci
piacerebbe dire che questo è un giornale per “chiunque”, che si
potrebbe distribuire ovunque, accendendo animi sopiti. Sappiamo bene
che non è così. Sicuramente facciamo riferimento ad ambienti e
contesti più sensibili dove perlomeno esiste già una qualche forma
di attenzione o preoccupazione per quello che ci succede intorno,
dentro di noi, agli altri animali e al pianeta, dove alcuni pensieri
possono portare a dei dubbi, a momenti di rottura. Una rottura con
questa normalità sempre più normalizzante che sempre più aliena e
abitua ad uno sfruttamento che si fa di giorno in giorno più
insidioso, portandoci a pensare di trovarci di fronte a un monolite a
cui non ci si può opporre, se non con pratiche permeate da una mera
parvenza di conflittualità.
Molti
dei temi che trattiamo in questo giornale, come gli sviluppi
tecnologici, l’ecologismo e l’abbattimento di una visione
antropocentrica non rappresentano una novità. Negli ultimi anni si è
visto crescere un’attenzione senza precedenti: nei media, nella
così detta opinione pubblica e di conseguenza in ogni settore
economico. Il grande critico della tecnica Jacques Ellul impiegava
spesso una formula che, si è “ sempre rivelata esatta”: “
Quando in una società si parla esageratamente di un certo requisito
umano è perchè questo non esiste più, se si parla esageratamente
di libertà, è perchè la libertà è stata annullata”.
Questa
attenzione da parte dello stato, dell’economia e di gran parte
delle multinazionali è in continua crescita e si rafforza giorno
dopo giorno. Questo processo non è qualcosa di separato dalla
società, vengono create delle condizioni tecniche per cui questo
mondo sia il più desiderabile possibile. Mai si è parlato tanto
della difesa della natura come in questi tempi, non si smette di
invocarla, di riferirsi ad essa e consacrarvi magniloquenti dibattiti
e profondi discorsi. Tutto questo proprio in un periodo storico che
vede una distruzione della natura così forte, un’avvelenamento
così totale di acqua, terra e cielo, una disumanizzazione così
globale che i nostri stessi corpi sono a rischio di monocoltura.
Di
fatto, nostro malgrado, ci si trova ad affrontare questioni così
vitali dentro ad un unico grande calderone dove imperversano
associazioni ambientaliste, animaliste, organismi internazionali di
protezione della natura, comitati etici... La cosa si fa ovviamente
molto più complessa, soprattutto per chi vuole ancora riconoscere e
dare forza ai pensieri e significato alle parole. Il processo che
vede il potere accaparratore di istanze “verdi” e “antisistema”
non è ineluttabile, è sempre possibile creare momenti di rottura
che possano disgregarne alcune parti. Queste fermate non previste
possono dare il tempo (nuovo) per allargare lo sguardo e scoprire le
interconnessioni e le relazioni che legano le catene dello
sfruttamento.
L’ineluttabilità
del dominio sembra essere entrata profondamente in noi, tanto che
spesso i progetti, le situazioni di critica e opposizione, si
presentano come una mera sopravvivenza, quasi una testimonianza.
Anche ambienti critici verso l’esistente a volte rimangono
intrappolati nel recinto, sembra vi sia una segreta fiducia in questo
sistema, si mantiene con esso un legame indissolubile che è frutto
della insicurezza e della paura. Si pensa, o probabilmente si vuole
pensare, che una qualche soluzione arriverà anche da questo stato di
cose. In fondo non siamo sotto una dittatura fascista, non viviamo in
una democrazia? Ci si abitua sempre di più a questa vicinanza, a
questa coesistenza con il potere. I vari progetti e idee pagano poi
il prezzo di questa visione: restano, nella migliore delle ipotesi,
parziali, o nella peggiore servono al consolidamento del potere
stesso in Green, equo-solidale, animalista... Anche in ambienti
critici si sente parlare positivamente delle possibilità della
società tecnica. Con le nanotecnologie, si può anche far progredire
la medicina e ultimamente, come ricordano a Expo, con i nanoalimenti
si potrà nutrire il pianeta. Sembra di sentire i vecchi discorsi su
un uso civile del nucleare e quelli sugli ogm. Ancora una volta
quello che si presenta di fronte è una riscrittura della realtà su
un copione già noto, cambiano solo i materiali con cui è costruito,
anche la manipolazione ritorna sempre, con innovazioni sempre più
ricombinabili e inafferrabili nella loro essenza e dimensione.
In
pochi, di questi tempi, pensano di impossessarsi degli sviluppi
tecnologici per un uso “altro”. In tantissimi però,
apparentemente pieni di buon senso, danno il loro contributo ad
alleviare le fatiche dello schiavo, ormai abbandonata qualsiasi idea
di liberarsi dalla schiavitù. Lo sviluppo tecnoscientifico è questo
che porta: non solo nocività che ormai sono ampie quanto il mondo,
ma un’obbedienza su base volontaria, un’accettazione senza
condizioni, perchè è questo l’unico mondo possibile. Un mondo
dove è anche prevista la contestazione, dove ci si può indignare e
creare masse anonime di indignati in comunicazione via social
network.
Anche
molte situazioni di base, autogestite, informali, sono colpite da
questi pericoli: il vuoto del non-senso in molti casi ha preso il
sopravvento, ed ecco a sostenere pratiche di lotta o idee di
cambiamento che sono meno radicali di quelle espresse dagli
eco-guerrieri della Green Economy. Questi promettono di sovvertire il
mondo per come l’abbiamo conosciuto fino adesso. Sappiamo che non
stanno scherzando, ma che lo stanno pianificando passo dopo passo,
con strumenti che neanche si riescono a cogliere e immaginarne la
portata, e quando occorre c’è sempre la guerra, quella
incomprensibile da lontano e terrificante da vicino.
Quando
non è la fiducia al sistema a prevalere si vedono nascere progetti e
si sentono idee di alternative avverse a questa realtà. Ad una
economia ecocida si risponde con una conviviale e di condivisione.
Spesso questi progetti, che partono da una riscoperta della natura e
da un’altra convivenza con essa, sono dettati dalle migliori
intenzioni. Ma si può pensare di cambiare qualcosa di questo
esistente costruendo qualcosa al suo interno? Con i suoi materiali,
le sue leggi, i suoi veleni e le sue imposizioni? Dal momento che si
dice di coltivare biologico non si è forse già accettato una delle
regole chiave della Green Economy, facendo propria la sua propaganda,
dove quello che è naturale è già stato sostituito da
qualcos’altro, un qualcosa di migliore, che sa di migliorato, in
sintonia con la tecno-industria e i suoi supermercati del futuro?
È
sicuramente importante, anzi fondamentale, pensare già da subito un
mondo diverso e sarebbe importante che questo fosse già
rappresentato nei nostri mezzi, nei nostri pensieri e nelle nostre
azioni. Ma questo non potrà mai realizzarsi senza sbarazzarsi di
quello presente. Il fine non dovrebbe essere solo il chiudere un
laboratorio, proteggere una foresta o una valle, dovremmo sempre
avere lo sguardo verso la distruzione di questo sistema di morte.
Come arriviamo a questo sogno lontano fa la differenza, si possono
creare già da subito momenti concreti di libertà in cui il nostro
agire, non mediato da calcoli da politicante o dal linguaggio
virtuale della macchina, porta a una concreta rottura. Questa ben
presto verrà ripristinata, ma saremo sempre lì a creare la
prossima.
Dedichiamo
questo numero del giornale a Elia Vatteroni, Baffardello anarchico,
che
ci ha lasciato in questi giorni di fine estate...
Per
contatti e richieste urlodellaterra@inventati.org
3
euro a copia più spese di spedizione 1,30 euro
Per i distributori minimo 5 copie: 2 euro a copia più spese di spedizione 1,30 euro
Spese di spedizione per l’estero: 5,50 euro
CONTO CORRENTE
codice IBAN: IT11A0760111100001022596116
Per L’estero: Codice BIC BPPIITRRXXX
Intestato a Marta Cattaneo, specificare la causale L’urlo della Terra
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