Ad essere raggiunta in questi giorni dalla sentenza di applicazione della Sorveglianza speciale per diciotto mesi è stata Chiara, attualmente detenuta agli arresti domiciliari per l’attacco contro il cantiere del Tav di Chiomonte del maggio 2013.
Dopo l’udienza dello scorso 4 giugno in cui si è discusso della misura non si può certo dire che i giudici teramani abbiano avuto molta fretta nel certificare la pericolosità sociale di Chiara, e del resto nel suo caso non c’era proprio alcuna urgenza.
Essendo infatti Chiara agli arresti domiciliari, la Sorveglianza speciale rimane per ora chiusa in un cassetto e inizierà ad essere applicata solo quando terminerà la detenzione domiciliare.
Solo allora diventeranno quindi esecutive le prescrizioni che caratterizzano la “sua” Sorveglianza: obbligo di vivere onestamente; obbligo di restare in casa tra le 20 (o le 21 nei mesi di ora legale) e le 7 del mattino, e nelle restanti ore di comunicare all’Autorità locale di pubblica sicurezza ogni allontanamento dalla propria dimora; obbligo di presentarsi all’Autorità locale di pubblica sicurezza ogni qualvolta questa lo richieda, e di portare con sé una copia della Carta di permanenza in cui è attestato lo status di Sorvegliata speciale; divieto di frequentare persone che hanno subito condanne o sono sottoposte a misure di prevenzione o di sicurezza; divieto di partecipare a pubbliche riunioni e di detenere armi.
A questa misura è stato poi aggiunto l’obbligo di soggiorno nel comune di residenza che, oltre a vietare di uscire dai confini del proprio comune, aggrava notevolmente le sanzioni previste per eventuali violazioni delle prescrizioni sopra elencate, fino a prevedere l’arresto in flagranza e una successiva condanna da uno a cinque anni di carcere.
Una misura niente male, insomma.
E pensare che per convincere i giudici della bontà della richiesta della Questura teramana non è che ci sia voluto poi molto: il giorno dell’udienza la procuratrice non ha proferito parola, limitandosi ad associarsi alle motivazioni questurine. I giudici dal canto loro non si sono sforzati granché nell’argomentare la loro decisione evincendo la pericolosità sociale «dall’appartenenza a frange estreme organizzate ideologicamente orientate e dalla tenuta di plurime condotte riconducibili a quelle tipiche dell’area di provenienza». La ciliegina sulla torta, naturalmente messa su un piano di assoluto rilievo, è l’attacco contro il cantiere di Chiomonte. Le tante pagine imbrattate dagli scribacchini di Questura e tribunale ruotano tutte, sostanzialmente, attorno a questi tre elementi: Chiara e il suo essere anarchica, i comportamenti “disdicevoli” - anche quelli non penalmente rilevanti - da lei tenuti nel corso delle varie lotte cui ha partecipato negli anni e l’azione di sabotaggio per cui si trova attualmente ristretta. Nel mescolare in vario modo questi tre ingredienti condendoli un po’ con tutte le salse gli inquirenti non rinunciano però a qualche invettiva e valutazione psicologica, infilandosi sopra la divisa l’abito talare e quello dello psicanalista dipingono Chiara come un «elemento di pessima condotta morale» che manifesta una «naturale e innata attitudine a delinquere» e una «perdurante insensibilità agli stimoli esterni virtuosi». Altro pezzo degno di nota, infine, quello in cui i giudici spiegano perché sia necessaria anche l’imposizione del soggiorno coatto nel Comune di residenza: «consentire un più vigile e penetrante controllo» al fine di «inibire la proliferazione del c.d. fenomeno di esportazione criminale». Una definizione, legnosa e contorta come solo le frasi in giuridichese sanno essere, che ripropone la tradizionale visione del mondo delle autorità. Quella secondo cui le lotte, con tutta la loro necessaria carica di illegalità, siano opera di untori: rinchiudendo, isolando e confinando questi la pace sociale tornerà quindi a regnare. Vana illusione. I conflitti sociali infatti, per quanto non siano inseriti in alcuna tabella degli alimenti ecosostenibili, sono prodotti rigorosamente a “km 0″.
macerie @ Settembre 8, 2015
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