da macerie
Una sfida continuamente tentata
L’operazione della settimana scorsa aveva ancora una volta l’obiettivo dell’allontanamento di compagni e compagne dalle lotte in un contesto urbano specifico, investito dagli effetti delle nuove politiche di riqualificazione. U
na violenza specifica che va a inserirsi in un processo generale di guerra di classe dall’alto mossa da pubblici amministratori, manager dalla faccia più o meno liberal, burocrati e tecnici della repressione. Una guerra, questa, che in maniera sempre più sottile quanto massiccia colpisce chi è l’ultimo anello nella catena di produzione, chi è poco profittevole o chi continua ostinatamente a organizzarsi per una controffensiva.
Oltre all’arresto di Silvia, Stefano, Antonio e Daniele, è stato notificato anche il divieto di dimora nel comune di Torino ad altri compagni, i quali stanno violando la misura e non intendono farsi cacciare, tantomeno restando inerti.
Vi proponiamo di seguito il loro comunicato:
Il possibile è solo l’insieme delle situazioni che ci si presentano davanti oggi.
È necessario tenerlo bene a mente quando attraversiamo strade costellate da frammenti di ripetizione dell’identico solo apparentemente cangianti, da neon di sirene che lacerano le rètine, dalle vite costrette all’inerzia della sopravvivenza senza mai intravedere l’altrove.
Ma ciò non è il risultato di un gioco a somma zero: c’è nella miseria generalizzata chi ha un ruolo gestionale o di responsabilità, chi progetta o mette in atto i rapporti di dominazione, e chi invece deve costituire il bacino di manodopera da spremere. Sono queste le condizioni di esistenza e riproduzione del capitalismo stesso. Anche se di questi tempi, soprattutto nei contesti urbani d’avanguardia, i governanti vorrebbero far credere il contrario, non esiste nessuna orizzontalità e la cittadinanza attiva, la partecipazione dal basso e mescolanza sociale di cui si riempiono la bocca hanno il solo scopo di eliminare dalla testa delle persone l’idea stessa di conflitto e di lotta contro i vari dispositivi di sfruttamento.
L’apocalisse della quiete a cui vogliono relegarci non è però un tuttotondo.
Lo dimostra il fatto che le persone non siano sempre disposte a subire silenti e che nella nostra piccola esperienza di lotta in alcuni quartieri a nord di Torino abbiamo potuto sentire in tante persone un po’ di odio galvanizzante contro padroni e governanti. Solo un sentore piccolo - ben poco, si dirà - ma abbastanza per continuare ostinatamente a organizzarsi insieme.
Questo ha le sue conseguenze a cadenza frequente, come qualche giorno fa in cui i tutori dell’ordine hanno arrestato Daniele, Stefano, Silvia e Antonio, e notificato a noi il divieto di dimora a Torino per aver fatto un picchetto contro uno sfratto. Non staremo qui a raccontare di come è andata quella mattinata perché non ci sarebbe niente di succoso da annoverare, ma ci interessa sottolineare come non solo per queste strade, non solo in questa città, la morsa della legge è sempre più stretta attorno a chi decide di lottare: arresti, allontanamenti coatti dal luogo di vita, misure restrittive, avvisi orali e la sorveglianza speciale.
Le misure cautelari sono scattate stavolta perché il Gip Loretta Bianco ha ratificato l’impianto accusatorio del PM Padalino basato sul reato di violenza a pubblico ufficiale. Niente di nuovo, è un buon passepartout nelle azioni repressive di ogni risma anche perché la figura del pubblico ufficiale, con l’esternalizzazione dei servizi, è diventata onnipresente.
Come agire e continuare a lottare di fronte a operazioni così cadenzate e pesanti?
Non crediamo che si possa e neanche che si debba capire quali sono gli equilibri tribunalizi. Il diritto - lo sappiamo bene - non è una struttura rigida, ciò che lo sostiene è quell’insieme di norme che impongono un certo vivere comune; se è vero che non può esaurire l’esplicarsi delle forme di potere sugli individui, è uno strumento fondamentale attraverso cui si passano al vaglio le condotte delle persone affinché i rapporti sociali continuino a riprodursi secondo le esigenze economiche capitalistiche. Un’illusione nauseante e pericolosa, dunque, quella di cui talvolta si legge che vorrebbe andare a cercare una soluzione alla repressione dialogando con le toghe meno accanite.
Dal canto nostro a questi dialoghi preferiamo cercare di rincarare la dose in strada e nelle lotte cosicché sia la forza, che lì scaturisce, ad approntare il contropiede e impedire che ogni passetto conflittuale sia immediatamente punito. È un sentiero percorso non solo da noi, non solo qui.
È una sfida continuamente tentata e che non è certo facile da ingranare alla prima.
Per questo non possiamo far altro che continuare imperterriti a lottare nonostante le offensive della controparte, in primis quelle nei quartieri in cui viviamo. Ad Aurora e Barriera di Milano i nuovi investimenti diffusi tracciano la strada per la cacciata della popolazione indigente e di chi cerca di mettere i bastoni tra le ruote ai progetti della riqualificazione. Sala rossa, piccoli politicanti, tribunale e nuovi investitori come Lavazza, Sanpaolo, Baricco ci stanno provando in tutti i modi a “bonificare il terreno”: arresti, sgomberi, allontanamenti coatti, retate, il distacco dell’acqua a interi palazzi in morosità, sfratti e pignoramenti sono ascrivibili a una progettualità ampia di rivalorizzazione urbana di questo pezzo di città.
Non ci faremo cacciare via e con un divieto di dimora in tasca continueremo a stare in queste strade, violando la misura imposta e continuando a farlo ogni qualvolta i dettami tribunalizi arriveranno per allontanarci dalle lotte.
Molto probabilmente la polizia a breve verrà a notificarci l’aggravamento di misura con l’arresto ma fino ad allora staremo nei luoghi che ci siamo scelti a combattere contro il possibile.
I colpiti dal divieto di dimora a Torino
macerie @ Dicembre 7, 2016
Una sfida continuamente tentata
L’operazione della settimana scorsa aveva ancora una volta l’obiettivo dell’allontanamento di compagni e compagne dalle lotte in un contesto urbano specifico, investito dagli effetti delle nuove politiche di riqualificazione. U
na violenza specifica che va a inserirsi in un processo generale di guerra di classe dall’alto mossa da pubblici amministratori, manager dalla faccia più o meno liberal, burocrati e tecnici della repressione. Una guerra, questa, che in maniera sempre più sottile quanto massiccia colpisce chi è l’ultimo anello nella catena di produzione, chi è poco profittevole o chi continua ostinatamente a organizzarsi per una controffensiva.
Oltre all’arresto di Silvia, Stefano, Antonio e Daniele, è stato notificato anche il divieto di dimora nel comune di Torino ad altri compagni, i quali stanno violando la misura e non intendono farsi cacciare, tantomeno restando inerti.
Vi proponiamo di seguito il loro comunicato:
Il possibile è solo l’insieme delle situazioni che ci si presentano davanti oggi.
È necessario tenerlo bene a mente quando attraversiamo strade costellate da frammenti di ripetizione dell’identico solo apparentemente cangianti, da neon di sirene che lacerano le rètine, dalle vite costrette all’inerzia della sopravvivenza senza mai intravedere l’altrove.
Ma ciò non è il risultato di un gioco a somma zero: c’è nella miseria generalizzata chi ha un ruolo gestionale o di responsabilità, chi progetta o mette in atto i rapporti di dominazione, e chi invece deve costituire il bacino di manodopera da spremere. Sono queste le condizioni di esistenza e riproduzione del capitalismo stesso. Anche se di questi tempi, soprattutto nei contesti urbani d’avanguardia, i governanti vorrebbero far credere il contrario, non esiste nessuna orizzontalità e la cittadinanza attiva, la partecipazione dal basso e mescolanza sociale di cui si riempiono la bocca hanno il solo scopo di eliminare dalla testa delle persone l’idea stessa di conflitto e di lotta contro i vari dispositivi di sfruttamento.
L’apocalisse della quiete a cui vogliono relegarci non è però un tuttotondo.
Lo dimostra il fatto che le persone non siano sempre disposte a subire silenti e che nella nostra piccola esperienza di lotta in alcuni quartieri a nord di Torino abbiamo potuto sentire in tante persone un po’ di odio galvanizzante contro padroni e governanti. Solo un sentore piccolo - ben poco, si dirà - ma abbastanza per continuare ostinatamente a organizzarsi insieme.
Questo ha le sue conseguenze a cadenza frequente, come qualche giorno fa in cui i tutori dell’ordine hanno arrestato Daniele, Stefano, Silvia e Antonio, e notificato a noi il divieto di dimora a Torino per aver fatto un picchetto contro uno sfratto. Non staremo qui a raccontare di come è andata quella mattinata perché non ci sarebbe niente di succoso da annoverare, ma ci interessa sottolineare come non solo per queste strade, non solo in questa città, la morsa della legge è sempre più stretta attorno a chi decide di lottare: arresti, allontanamenti coatti dal luogo di vita, misure restrittive, avvisi orali e la sorveglianza speciale.
Le misure cautelari sono scattate stavolta perché il Gip Loretta Bianco ha ratificato l’impianto accusatorio del PM Padalino basato sul reato di violenza a pubblico ufficiale. Niente di nuovo, è un buon passepartout nelle azioni repressive di ogni risma anche perché la figura del pubblico ufficiale, con l’esternalizzazione dei servizi, è diventata onnipresente.
Come agire e continuare a lottare di fronte a operazioni così cadenzate e pesanti?
Non crediamo che si possa e neanche che si debba capire quali sono gli equilibri tribunalizi. Il diritto - lo sappiamo bene - non è una struttura rigida, ciò che lo sostiene è quell’insieme di norme che impongono un certo vivere comune; se è vero che non può esaurire l’esplicarsi delle forme di potere sugli individui, è uno strumento fondamentale attraverso cui si passano al vaglio le condotte delle persone affinché i rapporti sociali continuino a riprodursi secondo le esigenze economiche capitalistiche. Un’illusione nauseante e pericolosa, dunque, quella di cui talvolta si legge che vorrebbe andare a cercare una soluzione alla repressione dialogando con le toghe meno accanite.
Dal canto nostro a questi dialoghi preferiamo cercare di rincarare la dose in strada e nelle lotte cosicché sia la forza, che lì scaturisce, ad approntare il contropiede e impedire che ogni passetto conflittuale sia immediatamente punito. È un sentiero percorso non solo da noi, non solo qui.
È una sfida continuamente tentata e che non è certo facile da ingranare alla prima.
Per questo non possiamo far altro che continuare imperterriti a lottare nonostante le offensive della controparte, in primis quelle nei quartieri in cui viviamo. Ad Aurora e Barriera di Milano i nuovi investimenti diffusi tracciano la strada per la cacciata della popolazione indigente e di chi cerca di mettere i bastoni tra le ruote ai progetti della riqualificazione. Sala rossa, piccoli politicanti, tribunale e nuovi investitori come Lavazza, Sanpaolo, Baricco ci stanno provando in tutti i modi a “bonificare il terreno”: arresti, sgomberi, allontanamenti coatti, retate, il distacco dell’acqua a interi palazzi in morosità, sfratti e pignoramenti sono ascrivibili a una progettualità ampia di rivalorizzazione urbana di questo pezzo di città.
Non ci faremo cacciare via e con un divieto di dimora in tasca continueremo a stare in queste strade, violando la misura imposta e continuando a farlo ogni qualvolta i dettami tribunalizi arriveranno per allontanarci dalle lotte.
Molto probabilmente la polizia a breve verrà a notificarci l’aggravamento di misura con l’arresto ma fino ad allora staremo nei luoghi che ci siamo scelti a combattere contro il possibile.
I colpiti dal divieto di dimora a Torino
macerie @ Dicembre 7, 2016
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