riceviamo e pubblichiamo:
Manifesto affisso a Bruxelles
Manifesto affisso a Bruxelles
La guerra è arrivata fin davanti alla
porta delle vostre case. I militari che stazionano nelle strade ne sono
la dimostrazione. I controlli rafforzati in strada fanno sparire
centinaia di immigrati nei campi di deportazione. Gli sbirri sono in
apprensione e applicano una tolleranza zero schiacciando tutti coloro
che non restano all’interno dei ranghi. I giornalisti fanno penetrare il
messaggio del potere nelle nostre teste. E il denaro piove per
finanziare la lotta contro «la minaccia».
Il piano annunciato dal governo di
controllare ogni casa di Molenbeek, e in seguito, come dubitarne, ogni
casa nei quartieri popolari, è rivelatore di quale sia il reale
obiettivo: gli esclusi, i poveri, i clandestini, i ribelli. Lo Stato
sfrutta l’occasione di un atto sanguinario di guerra a Parigi per dare
un giro di vite. E dà un giro di vite prima di tutto a livello mentale:
che si parteggi per i soldati dell’Isis, o per i soldati dello Stato. È
la pura logica della guerra. I due campi ci disgustano entrambi, e per
la stessa ragione: tutti e due cercano di imporci il loro potere e la
loro legge. L’uno nel nome del capitalismo e del regime democratico,
l’altro nel nome della religione e della costruzione del nuovo Stato del
califfato. E tutti e due perpetrano massacri. La sola differenza è che
uno usa i bombardieri e l’altro utilizza i kamikaze.
Entrambi hanno un nemico comune, un nemico mortale: la libertà. Lo Stato qui schiaccia la libertà per garantire lo sfruttamento capitalista e l’abbrutimento tecnologico. Lo Stato laggiù la schiaccia per imporre la sua legge che considera divina. Nella guerra che si fanno l’un l’altro, a subire le maggiori perdite sono le lotte per la libertà. Qui, come là. E non dimentichiamo che la guerra è letteralmente prodotta anche qui: le industrie di armamenti vanno a pieno regime, i centri di ricerca inventano armi sempre più micidiali e perfide, le imprese della sicurezza conoscono un boom senza precedenti.
Di fronte allo stato d’emergenza, alla guerra che si appresta a divorarci, è ora di uscire dai ranghi. Uscire dai ranghi di ogni potere, si definisca democratico o islamico. Uscire dai ranghi per creare spazi di lotta per la libertà, per non soccombere al fatalismo rassegnato del bagno di sangue.
Il luogo di incontro per i disertori dalle loro guerre e dalla loro pace fatte di sfruttamento feroce, per i ribelli contro ogni potere, è la lotta per la libertà. Una battaglia da condurre oggi con i clandestini contro le frontiere e le deportazioni, con i non sottomessi che lottano contro la costruzione di una maxi-prigione a Bruxelles, con tutti coloro che lottano contro le misure repressive e di austerità (le due facce della stessa medaglia) del governo. È qui che occorre soffiare forte sul fuoco. Perché, mentre lo Stato decreta la mobilitazione totale e ci ingozza con la sua ideologia securitaria, mentre invia il suo braccio armato nelle vie in cui abitiamo, mentre si appresta a soffocare ogni battaglia per la libertà, non si può restare disarmati. Le nostre armi sono quelle della libertà: il coraggio di pensare da soli; la determinazione di sabotare i loro edifici, le caserme, le aziende, le prigioni; la solidarietà fra ribelli.
I tempi a venire saranno difficili e sanguinosi. Ma è nelle tenebre che si riesce a veder ardere più radiosamente i fuochi di libertà, contro ogni Stato e contro ogni potere.
Entrambi hanno un nemico comune, un nemico mortale: la libertà. Lo Stato qui schiaccia la libertà per garantire lo sfruttamento capitalista e l’abbrutimento tecnologico. Lo Stato laggiù la schiaccia per imporre la sua legge che considera divina. Nella guerra che si fanno l’un l’altro, a subire le maggiori perdite sono le lotte per la libertà. Qui, come là. E non dimentichiamo che la guerra è letteralmente prodotta anche qui: le industrie di armamenti vanno a pieno regime, i centri di ricerca inventano armi sempre più micidiali e perfide, le imprese della sicurezza conoscono un boom senza precedenti.
Di fronte allo stato d’emergenza, alla guerra che si appresta a divorarci, è ora di uscire dai ranghi. Uscire dai ranghi di ogni potere, si definisca democratico o islamico. Uscire dai ranghi per creare spazi di lotta per la libertà, per non soccombere al fatalismo rassegnato del bagno di sangue.
Il luogo di incontro per i disertori dalle loro guerre e dalla loro pace fatte di sfruttamento feroce, per i ribelli contro ogni potere, è la lotta per la libertà. Una battaglia da condurre oggi con i clandestini contro le frontiere e le deportazioni, con i non sottomessi che lottano contro la costruzione di una maxi-prigione a Bruxelles, con tutti coloro che lottano contro le misure repressive e di austerità (le due facce della stessa medaglia) del governo. È qui che occorre soffiare forte sul fuoco. Perché, mentre lo Stato decreta la mobilitazione totale e ci ingozza con la sua ideologia securitaria, mentre invia il suo braccio armato nelle vie in cui abitiamo, mentre si appresta a soffocare ogni battaglia per la libertà, non si può restare disarmati. Le nostre armi sono quelle della libertà: il coraggio di pensare da soli; la determinazione di sabotare i loro edifici, le caserme, le aziende, le prigioni; la solidarietà fra ribelli.
I tempi a venire saranno difficili e sanguinosi. Ma è nelle tenebre che si riesce a veder ardere più radiosamente i fuochi di libertà, contro ogni Stato e contro ogni potere.
Anarchici
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