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CONTRO LA GUERRA IN LIBIA INCEPPIAMO LA MACCHINA MILITARE
La guerra non è più dichiarata: essa semplicemente è.
Dal 1991 Lo Stato italiano è in guerra, con le sue truppe schierate in
più di 20 paesi e la partecipazione a tutte le principali “missioni
internazionali”.
Adesso il governo Renzi si sta preparando ad
aggredire la Libia, con l’obiettivo di schierare la fanteria a difesa
dei giacimenti petroliferi e dei metanodotti dell’ENI.
Come se non bastasse, lo Stato italiano tornerà
presto in Iraq con un contingente di circa 500 soldati, che
presidieranno i lavori di ristrutturazione della diga di Mosul, affidata
all’impresa di costruzione Trevi di Cesena.
La guerra è da sempre utilizzata da Stati e classi
dominanti per affermare i propri interessi. Dall’accaparramento delle
risorse all’arrivo di manodopera a basso costo in fuga dai conflitti, la
guerra è l’ossigeno dell’impresa.
Ma non solo: la guerra è essa stessa un’impresa,
assicurando ingenti profitti ai padroni delle armi – in testa il colosso
di Stato Finmeccanica – e agli speculatori che si spartiscono gli
appalti di “ricostruzione”, passando per gli imprenditori della
logistica necessaria alle manovre.
Mentre i padroni banchettano sul mondo, la guerra la
vediamo anche qui vicino a noi, sotto forma di un’umanità braccata:
milioni di profughi si accalcano alle frontiere esterne degli stessi
Stati che li hanno bombardati, ma si trovano di fronte solo chilometri
di muri, filo spinato, acciaio, campi di internamento e militari che li
sorvegliano. I confini, apparentemente scomparsi, ritornano a farsi
materiali.
Da questa parte della frontiera, la popolazione viene
fatta vivere nel terrore che la guerra possa tornare indietro sotto
forma di attacchi indiscriminati. Si restringono gli spazi di dissenso,
peggiorano le condizioni di vita e le città vengono militarizzate. Tutto
ciò viene fatto con il tacito assenso di chi a queste scelte non oppone
resistenza.
Ma qui vicino a noi, possiamo trovare anche i
responsabili di questi orrori. Non sono infatti solo i militari che
fanno la guerra. Essi hanno bisogno anche di altri che li sostengano nel
loro compito: le industrie che producono gli armamenti, le università
che sviluppano i ritrovati tecnici e le dottrine strategiche
d’intervento, i vettori commerciali per il trasporto logistico di armi e
soldati.
Un carro armato che non viene imbarcato su una nave
non può andare a sparare oltremare; una bomba che non viene portata
fuori dalla fabbrica non può essere sganciata su un villaggio libico o
siriano. Per questo Moby Lines, Tirrenia, FS Logistica, Saima Avandero,
Ter Roma e tante altre sono complici della guerra. FS Logistica guadagna
oltre 10 milioni di euro l’anno per il trasporto su rotaia dei mezzi
militari. Moby Lines trasporta le bombe della RVM dalla Sardegna al
Continente, per permetterne l’arrivo sugli scenari di guerra.
Contro la logistica bellica, l’imminente attacco
militare alla Libia e tutti i complici del militarismo, occorre quindi
agire. Per questo dal 28 marzo al 2 aprile invitiamo alla mobilitazione
tutti i nemici della macchina militare, realizzando azioni di disturbo e
contrasto contro coloro che permettono l’arrivo di mezzi e rifornimenti
al fronte, secondo i desideri e le capacità di ognuno.
Per Sabato 2 Aprile invitiamo a manifestare nelle
piazze, di fronte a università, centri di ricerca, industrie belliche,
in quante più città possibili.
Perché alla guerra tra gli stati e i popoli
opponiamo la guerra sociale, per l’abbattimento di ogni frontiera e
contro ogni sfruttamento dell’essere umano sull’essere umano e sulla
natura.
Anarchici e antimilitaristi
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