da macerie
Tira e molla
Ancora novità dalla sezione di Alta Sicurezza femminile di Rebibbia. Vi avevamo informato su come Chiara,
dopo aver trascorso, appena arrivata a Rebibbia, alcuni giorni in cella
con un’altra compagna, fosse stata messa improvvisamente in cella da
sola e senza alcuna possibilità di incontrare le altre detenute della
sezione, in isolamento dunque, come nei precedenti cinquanta
giorni di carcere trascorsi alle Vallette. Isolamento che però in questo
caso, fortunatamente, è durato appena un giorno. Infatti dopo neanche
ventiquattr’ore a Chiara è stata ridata la possibilità di fare socialità con le altre detenute.
Dietro quest’apparente schizofrenia di chi prende le decisioni, si nasconde piuttosto, a nostro parere, un contrasto
tra le evidenti pressioni provenienti dalla Procura torinese sul
rendere quanto più afflittive possibili le condizioni di detenzione dei
quattro compagni e le esigenze di altre autorità, come la direzione del
carcere di Rebibbia, non disponibili a stravolgere il proprio operato
per assecondare le richieste provenienti da Torino.
Per
comprendere le cause dell’atteggiamento della Procura torinese è però
necessario fare un passo indietro ritornando alle ipotesi su cui si
fonda questa inchiesta. L’immagine che viene in mente, pensando alle
motivazioni che sostengono l’accusa di terrorismo contro Claudio,
Chiara, Mattia e Niccolò, è quella di una spugna. A impregnarla e
renderla così pesante non è tanto l’azione contro il cantiere e il
danneggiamento dei mezzi, avvenuti nel maggio scorsi.
Non è tanto
la natura della condotta, come si direbbe utilizzando il linguaggio
della giurisprudenza, ma piuttosto il contesto in cui quest’azione si è
verificata. Per descrivere questo contesto la procura elenca una lunga
serie di iniziative di opposizione al Tav verificatisi negli ultimi
tempi. Come sottolinea Claudio in una lettera, gli episodi in questione sarebbero 111, «dai
sabotaggi ai mezzi delle ditte che lavorano nel cantiere di Chiomonte
alle scritte nei bagni a Nichelino, dagli scontri di piazza a un pollo
morto trovato sotto casa di Esposito, da uno striscione lasciato davanti
all’abitazione del sindaco di Susa ai cassonetti bruciati durante una
sagra paesana a Sant’Antonino». Elencando questi fatti, i Pm, e i
giudici che finora hanno dato loro retta, sottolineano come è
l’opposizione al tav nel suo complesso, il tentativo costante di dare
concretezza a quel “no!” attorno a cui la lotta si è sviluppata, a
impregnare la spugna rendendola talmente pesante da consentire
l’utilizzo della categoria di terrorismo.
Claudio, Chiara,
Niccolò e Mattia, attraverso l’accusa di terrorismo, sono quindi, in
sostanza, accusati di tutte le azioni e le iniziative che da ormai
tantissimi anni mettono i bastoni tra le ruote alla realizzazione della
Torino-Lione. Per questo tra le persone offese indicate dai Pm,
compaiono la Commissione Europea e la Presidenza del Consiglio dei
ministri della Repubblica italiana oltre a Ltf e i 105 tra poliziotti,
carabinieri, finanzieri, alpini e operai presenti al cantiere nella
notte tra il 13 e 14 maggio. E anche la decisione di fissare l’inizio del processo il 14 maggio, a un anno esatto dall’azione contro il cantiere, è una scelta dal forte valore simbolico.
Se
sulle spalle dei quattro vengono scaricati tutti i problemi e le
emicranie che la lotta contro il Tav ha provocato alle autorità, non ci
si può poi sorprendere del particolare accanimento che quest’ultime
stanno riservando ai compagni.
Sotto questa lente va allora letta
la decisione di qualche settimana fa di interrompere improvvisamente i
colloqui concessi, subito dopo gli arresti e a indagini ancora aperte, a
familiari e compagni. E la decisione successiva di riaccordare questi
colloqui, a indagini ormai chiuse, ai soli familiari. In genere, in
inchieste simili i colloqui non vengono concessi inizialmente ma una
volta autorizzati magari dopo un po’ di tempo e a indagini ormai chiuse,
non subiscono improvvise e immotivate sospensioni. La logica del tira e molla
seguita in questo caso vuole soltanto tentare di logorare il più
possibile i nervi dei compagni arrestati. Non appena ci si abitua a una
certa situazione, subito questa viene stravolta con decisioni improvvise
e del tutto inaspettate rispetto alle normali procedure.
Una
situazione simile si sta verificando rispetto alle condizioni detentive.
Oltre alla situazione di Chiara che abbiamo descritto sopra,
particolarmente indicativo risulta anche il trattamento riservato ai maschietti.
Dopo
un mese e mezzo trascorso insieme nel carcere delle Vallette, Claudio,
Mattia e Niccolò vengono trasferiti in carceri predisposte a rinchiudere
detenuti sottoposti al regime di Alta Sicurezza. Claudio viene portato a
Ferrara, Mattia e Niccolò invece ad Alessandria. E proprio ad
Alessandria, oltre alle finestre con le bocche di lupo e il plexiglass opaco
che impediscono di veder fuori, oltre all’impossibilità di incontrare
qualsiasi altro detenuto che non sia catalogato in Alta Sicurezza, a
Niccolò e Mattia viene imposto il divieto di incontrarsi.
E
l’unico modo per imporre il divieto di incontro in una piccola sezione
che ospita solo sei prigionieri è quello di turnare la presenza dei
compagni durante i momenti di vita collettiva. Così nel cortile dove gli
altri detenuti in Alta Sicurezza fanno due ore d’aria, la mattina e poi
il pomeriggio, Niccolò e Mattia scendono alternati, prima uno e poi
l’altro, facendone solo una. Anche durante la socialità, nel corridoio
dove questa si svolge, prima esce uno, mentre l’altro viene blindato
dentro la cella, poi il secondo e ad esser chiuso in cella questa volta è
il primo.
Oltre a voler sfibrare i nervi dei compagni
aggravando, più di quanto già non lo siano, le loro condizioni di
detenzione, con questi provvedimenti le autorità vogliono lanciare un
chiaro monito a tutti gli altri. Ecco cosa può accadere se si continua
ostinatamente a dire “no!“. Ma, riprendendo un pezzo di una lettera di Claudio, Niccolò e Mattia, se i compagni in carcere non si stanno certo lasciando abbattere da tanto accanimento, chi continua a lottare fuori non può certo essere da meno.
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